Fin dalla sua prima apparizione, dimostrò di essere qualcosa di più: quasi una versione speculare al femminile di Diabolik, scaltra e abile quanto lui nell’eseguire i colpi. Sì trattò di una prima, timida, rivoluzione nel mondo del fumetto italiano, che fino ad allora aveva concesso ben poco spazio all’emancipazione femminile.
Eva però non fu unica nel suo genere: il periodo compreso tra la prima metà degli anni Sessanta e gli anni Settanta vide, infatti, la nascita di altre “donne di carta” particolarmente forti e indipendenti, che divennero vere e proprie icone di stile. Sull’onda del successo del fumetto nero italiano, nel dicembre 1964 fece la sua prima comparsa Satanik, “la rossa del Diavolo” creata dal prolifico duo Max Bunker-Magnus (padri anche di Kriminal e Alan Ford). Satanik fu la prima donna protagonista di un fumetto per adulti, e si impose ben presto come una portabandiera della libertà d’espressione femminile, anticipando i temi femministi che sarebbero di lì a poco esplosi con il Sessantotto. Satanik non solo rifiuta di farsi intimidire dall’autorità maschile, ma è capace anche di uccidere, sedurre e perfino di spogliarsi davanti ai suoi lettori (sebbene non sia mai stata protagonista di scene di nudo): una peccaminosità imperdonabile in un mondo a fumetti che aveva sempre prodotto eroi belli e buoni, che non infrangevano la legge né tantomeno facevano sesso. E c’è di più: la sua bellezza è solo un artificio, un trucco di magia nera. La bruttissima Marny Bannister si trasforma con una pozione nella splendida e perfida Satanik, come se la mutazione dischiudesse la sua vera natura e la rendesse libera di vendicarsi contro chi l’ha derisa.
La creatura di Magnus e Bunker fu messa letteralmente alla gogna dalla stampa del tempo, occupando in più di un’occasione le prime pagine dei giornali, in un periodo in cui la censura si abbatteva con ferocia sui fumetti che considerava immorali e diseducativi. Gli autori furono costretti a smorzare i toni a circa metà della serie, facendo perdere a Satanik gran parte del suo fascino. Rimane però indiscussa la forte carica innovativa che seppe imprimere al fumetto italiano.
Risale invece al 1965 la prima apparizione di un altro personaggio simbolo dell’emancipazione femminile, che meglio di qualsiasi altro ha saputo esprimere lo spirito degli anni Sessanta: Valentina Rosselli, la fotografa di moda milanese nata dal genio del compianto Guido Crepax, scomparso nel 2003. La sua genesi è emblematica: destinata inizialmente al ruolo di personaggio secondario, comparve nella terza puntata del fumetto di fantascienza “Neutron: la curva di Lesmo”, come fidanzata del protagonista Philip Rembrant. I ruoli ben presto si invertirono, e Valentina rubò la scena al suo compagno, diventando non solo la più grande icona femminile del fumetto italiano, ma anche un vero e proprio simbolo nella storia del costume e della comunicazione. Indipendente, mondana, al tempo stesso forte e fragile, Valentina s’inserì alla perfezione nel turbolento periodo della contestazione studentesca e del femminismo, e aprì l’editoria a fumetti italiana a un pubblico adulto e acculturato, attratto dalle tematiche oniriche e non convenzionali, condite da un raffinato erotismo e dallo stile inimitabile di Crepax. Valentina è raffigurata come una donna emancipata, imprenditrice di se stessa, che mantiene i propri spazi nonostante un compagno e un figlio, che in passato ha fatto i conti con l’anoressia mentale e che non è immune allo scorrere del tempo. Nata il 25 dicembre 1942, Valentina invecchia come tutte le comuni mortali, fino a diventare una donna matura nella sua ultima apparizione, nel 1995. E’ forse l’unico personaggio a fumetti di cui è raffigurata anche la carta d’identità: uno dei tanti elementi di realismo e di vicinanza alla quotidianità che hanno reso il personaggio di Crepax così amato e noto anche al di là dei confini nazionali.