Lunedì, 15 Gennaio 2018 00:00

Big Pharma. Amici o nemici?

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Big Pharma. Amici o nemici?

L’ultima è che la Pfizer sospenderà la ricerca contro Alzheimer e Parkinson. Perché? Semplice calcolo economico o qualcosa di più profondo?

Le grandi multinazionali del settore farmaceutico sono, soprattutto negli ultimi anni, diventate, nell’immaginario collettivo, Big Pharma, un cartello semi-monopolistico che controlla il mercato, sfrutta le sofferenze delle persone e non si fa scrupoli a fare soldi sulla pelle dei malati.

In Italia questo punto di rottura si colloca tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, proprio in contemporanea con l’esplosione di Mani Pulite e il conseguente collasso della Prima Repubblica. Era il decennio terribile dell’AIDS, della paura del contagio e del terribile spot pubblicitario con i malati contornati di viola come appestati1 .

Fu anche il decennio in cui scoppiò lo scandalo del sangue infetto2 che causò migliaia di vittime e decine di migliaia di contagi. Quel sangue arrivava da aziende molto importanti ed era stato prelevato da soggetti a rischio, senza trattamenti specifici o con un tasso di controlli notevolmente inferiore a quelli richiesti. Il tutto poi oliato da un sistema di corruzione che consentiva a quei lotti di sangue ed emoderivati infetti di arrivare sul mercato. Insomma fu un disastro epocale su molti fronti, non ultimo su quello della fiducia verso chi, in qualche modo, si prende cura della nostra salute.

Inoltre il farmaceutico è spesso legato a doppio filo alla chimica e quindi riporta a quella chemiofobia di cui parlavo nel mio ultimo pezzo3. La Bayer intorno al 2000 immise in commercio un farmaco contro l’obesità (Lipobay) della famiglia delle statine4: con l’entrata sul mercato di un prodotto logicamente si allarga anche la base statistica con cui si possono osservare effetti collaterali che, in quel caso, ahimè, furono addirittura letali in decine di casi. Il risultato fu il ritiro del farmaco, milioni di euro di risarcimenti danni e chiaramente il dramma di chi aveva perso un affetto in questa vicenda.

Episodi come questo o come quello del sangue infetto minano dalle fondamenta il rapporto tra i professionisti della salute e i pazienti. Ma c’è altro, chiaramente.

Le grandi aziende sono, per l’appunto, grandi e aziende, di conseguenza hanno come obiettivo l’utile e il fatturato: non è pensabile, in un mondo come quello in cui viviamo, che le aziende farmaceutiche diventino enti di beneficienza. E qua torniamo alla Pfizer.

La Pfizer, insieme alla Merck, ha rinunciato alla ricerca su Alzheimer e Parkinson perché, nonostante i grandi investimenti finanziari, non ha visto risultati significativi. Per dare un’idea la Pfizer è parte insieme alla Glaxo-Smith-Kline e Eli Lilly di un fondo (Dementia Discovery Found5), destinato solo alla ricerca sulle neuroscienze, che mette insieme ogni anno centinaia di milioni di dollari da usare per progetti in tutto il Mondo. Eppure si è tirata fuori dalla ricerca su due delle principali malattie neurodegenerative.

Sviluppare un farmaco costa. Parecchio. Davvero parecchio. Dal principio fino alla “fine”, cioè all’immissione sul mercato, possono passare più di dieci anni e si può arrivare a spendere fino a 3 miliardi di dollari6. Sempre considerando (esempio Lipobay) che una volta sul mercato il farmaco può sempre mostrare effetti collaterali che portano al ritiro e a ingenti risarcimenti. Insomma se l’azienda trova una molecola con buone proprietà decide di studiarla (lead) e subito la brevetta per non rischiare. Da questo momento partono i venti anni di durata brevettuale.

La molecola lead viene modificata chimicamente per ottimizzarne le proprietà farmaceutiche e quando si trova la migliore soluzione si passa alla fase successiva, quella degli studi farmacologici e tossicologici. In questa fase la molecola deve dimostrare di non essere tossica, di raggiungere bene il suo target fisiologico e si studia la formulazione migliore per l’uso del farmaco. Chiaramente in ognuno di questi passaggi può andar storto qualcosa e segnare il destino della molecola, insieme a tutto l’investimento fatto fino a quel momento7.

Ammesso che si arrivi alla molecola non tossica e con ottime proprietà chimiche, fisiche e farmacologiche, iniziano le tre fasi di studi clinici sull’uomo8. Nella prima viene valutata solo la sicurezza e la tollerabilità, nella seconda si introduce il principio di rapporto richio/beneficio andando a studiare se la tossicità riscontrata vale il beneficio che il farmaco porta, mentre nella terza si va a eseguire uno studio su migliaia di pazienti in doppio cieco confrontando il farmaco con un placebo e con un altro medicinale già in commercio.

Inutile spiegare come in ognuno di questi passaggi l’agenzia regolatoria (AIFA, EMA, FDA) possa bloccare tutto e letteralmente buttare nel water tutti i soldi che l’azienda farmaceutica ha speso in quel tempo sullo sviluppo di quel farmaco. Chiaro che la sicurezza di un medicinale è prioritaria e che le agenzie che danno l’autorizzazione all’immissione in commercio sono molto attente ai controlli, però il dato oggettivo è che solo “una su mille ce la fa!”.

Allora che dobbiamo pensare della Pfizer? O dei farmaci che nessuno produce perché hanno “poco mercato”?

Una volta i cosi detti farmaci orfani erano prodotti in Italia dall’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze (quello che ora coltiva la Maria!) perché non c’erano aziende disposte a investire soldi su malattie poco diffuse. Era una scelta politica molto statalista, ma credo fosse la scelta giusta.

Così come resto convinto che, al di là delle ottime iniziative dei fondi privati, la ricerca di base non possa essere completamente delegata a un’azienda. Non possiamo fare una colpa alla Pfizer di rinunciare a un ramo di ricerca improduttivo, ma dovremmo lamentarci semmai del perché non ci sono enti pubblici che conducono quella stessa ricerca!

Big Pharma non è il male assoluto, così come non è il bene assoluto. È solo il frutto del sistema in cui viviamo. Per cambiare come si fanno i farmaci dovremmo allentare i controlli, cosa folle, mentre per indirizzare chi fa ricerca, dobbiamo “solo” farci sentire dal punto di vista sociale e politico.


1 https://www.youtube.com/watch?v=k33ta6HBotc

2 https://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_del_sangue_infetto

3 http://www.ilbecco.it/nazionale-2/societa/item/4133-perch%C3%A9-temiamo-la-chimica.html

4 http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/2001/08/21/Cronaca/BAYER-ALLARME-ASSOCIAZIONE-USA-52-MORTI-DA-ALTRE-STATINE-2_170800.php

5 http://theddfund.com/

6 https://www.aboutpharma.com/blog/2014/11/19/sviluppare-un-farmaco-costa-quasi-3-miliardi/

7 http://www.chimicare.org/curiosita/la-chimica-e-la-salute/come-nasce-un-farmaco-il-lungo-percorso-della-chimica-in-favore-della-salute/

8 http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/come-nasce-un-farmaco


Immagine liberamente tratta da www.flickr.com/photos/75012107@N05/8020220676

Ultima modifica il Sabato, 27 Gennaio 2018 23:51
Samuele Staderini

Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull'Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!

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