Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.
Twin Peaks e la sfida di David Lynch alla televisione
È un fatto ormai innegabile che negli ultimi anni stiamo assistendo a una vera epoca d'oro della fiction televisiva. Serie e miniserie stanno raggiungendo livelli qualitativi elevatissimi sia per quanto riguarda la scrittura, sia nella narrazione, nella recitazione, e nella fotografia. Se già un paio d'anni fa si cominciava ad osservare la presenza di prodotti televisivi che raggiungevano gli stessi livelli delle opere pensate per il cinema, bisogna oggi ammettere che in alcuni casi esistono produzioni televisive che non solo non hanno nulla da invidiare a quelle cinematografiche, ma sono anzi loro superiori sotto numerosi aspetti. La cosa non è sfuggita all'attenzione di attori e registi di prestigio: non è ormai insolito che gli uni o gli altri firmino contratti per serie televisive anche per più di una stagione, di fatto monopolizzando il proprio tempo lavorativo per uno o più anni, qualcosa che sarebbe stato impensabile non troppo tempo addietro, quando la fiction televisiva si vedeva riconosciuto un valore di puro intrattenimento, ma non artistico – e non "valeva la pena", per un attore o un regista con un nome importante, sacrificare così tanto tempo per un prodotto simile. La fiction televisiva, dunque, si trova in questo momento in una posizione privilegiata: si è vista riconoscere il valore artistico almeno potenziale a cui ambiva, gode di una distribuzione efficace e anzi in crescita, può vantare sempre più grandi nomi a suo supporto, e gode in generale di una maggiore libertà creativa di quella delle grandi produzioni cinematografiche, soprattutto quelle americane.
Il ritorno della mummia (nello sgabuzzino del museo)
Tutti noi, almeno una volta, abbiamo visitato un museo. Tutti noi abbiamo familiarità con l'immagine mentale di serie di stanze e corridoi pieni di teche di vetro dentro le quali sono custoditi reperti di vario genere, provenienti dall'antichità o dal medioevo: spesso pietra e ceramica, talvolta metallo, in casi eccezionalmente fortunati legno e tessuto. E siccome molti musei in Europa hanno anche una, per quanto piccola, sezione egizia, è probabile che molti di noi, nel visitare un museo, si siano a un certo punto ritrovati nella stessa stanza con una mummia.
Distopie, sessismo e un esercizio di comprensione del testo
Tra i tanti esercizi che ci toccava fare per i compiti in classe di italiano al liceo ce n'era uno che ricordo con particolare fastidio: l'esercizio di comprensione del testo. Al tempo mi pareva che le domande fossero banali e la forma del compito restrittiva, una costrizione per le reali capacità d'analisi dello studente, che avrebbero dovuto invece essere lasciate libere di spaziare e andare anche in direzioni non convenzionali, invece che guidate forzosamente nella direzione ovvia da domande le cui risposte erano altrettanto ovvie. La comprensione pareva allora una verifica superflua di una capacità che, ero certa, chiunque intorno ai quattordici anni doveva ormai avere ampiamente acquisito. Non c'era bisogno di insegnare nuovamente a studenti perfettamente capaci di farlo da soli come cogliere il significato immediato di un'opera; bisognava invece lasciarli liberi di esplorare autonomamente implicazioni, non detti e sotto testi, anche proponendo idee audaci, anche sbagliando, anche arrampicandosi talvolta sugli specchi.
L'eleganza del tanuki: di appropriazione culturale e romanzi cult
L'idea di appropriazione culturale è uno di quei concetti teorici appartenenti alla galassia del politicamente corretto, un gruppo estremamente variegato che spazia da idee eccellenti di cui si era a lungo sentito il bisogno, ad altre che sono perlomeno opinabili, ad altre ancora che si stanno rivelando più dannose che utili per lo sviluppo di un discorso generale sulla cultura. Tra i tanti, il concetto di appropriazione culturale è uno dei più discussi, sia nel bene che nel male. Chi lo difende sostiene che sia uno strumento indispensabile per riequilibrare il discorso culturale in un mondo sempre più intensamente interconnesso, bilanciando il predominio indiscusso di cui negli ultimi due secoli almeno ha goduto la cultura genericamente occidentale e bianca (si potrebbe aggiungere, di segno anglosassone). Chi lo condanna, al contrario, denuncia come assurdo un approccio che ritiene completamente superato dalla cultura del cosiddetto melting pot, in cui elementi provenienti da diverse tradizioni e diverse aree geografiche devono necessariamente entrare in contatto e essere condivisi da tutti per poter generare qualcosa di nuovo.
Questa canzone è vecchia! È del mese scorso! (Di musica e commercializzazione)
Due volte a settimana, vado a insegnare latino in una scuola superiore che, come molte scuole superiori nel Regno Unito, è troppo grande per trovare posto nel centro città e si trova quindi in una zona più isolata appena fuori città, non facilissima da raggiungere per chi, come me, non ha la patente. La soluzione al problema è che, due volte a settimana, per raggiungere la scuola prendo lo scuolabus, insieme agli studenti. L'effetto collaterale è che mi trovo ad ascoltare tutte le conversazioni degli studenti – un gruppo la cui età si aggira tra i dieci e i diciassette anni. Il più delle volte è semplice limitarsi a ignorare i cinque o sei discorsi contemporanei che avvengono nel retro del bus e pensare a tutt'altro, ma ogni tanto capita che un pezzo di conversazione mi raggiunga lo stesso. Così, capita che un paio di settimane fa io assista, volente o nolente, alla seguente scena.
Dello scontro tra Netflix e Cannes (e come il cinema potrebbe uscirne migliore)
Bong Joon-ho è un regista sudcoreano, e a detta di molti uno dei nomi da seguire nel panorama del cinema contemporaneo. I suoi film condividono un certo amore per le ambientazioni distopiche, e una particolare attenzione per le tematiche delle differenze di classe e del potere delle grandi compagnie che ha spesso conseguenze drammatiche per i più poveri.
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