Mercoledì, 27 Agosto 2014 00:00

È per voi, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti

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«Mai, vivendo l'intera esistenza, avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, la giustizia, la mutua comprensione fra gli uomini.»
Bartolomeo Vanzetti, alla giuria che lo condannò alla pena di morte

“Here’s to you, Nicola and Bart”. Si, questo è per voi, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, non solo le strofe di questa bellissima canzone scritta da Ennio Morricone e interpretata dalla voce celestiale e potente della co-autrice Joan Baez, che esplode in tutta la sua forza evocativa in alcune scene del noto film del ‘71 di Giuliano Montaldo sulla tragica vicenda di questi due uomini.

È per voi anche il nostro ricordo, il nostro pensiero che mai deve smettere di volare alla vostra storia per lottare forse meglio contro le simili ingiustizie che si ripetono, nella nostra, di storia. Per voi e per noi, per capire, per combattere, per far sì che non accadano più, che il sangue di innocenti non si riversi mai più nelle strade di nessuna città, di nessun angolo di mondo. E per far sì che la vostra vicenda, così scolpita, incisa nel cuore di molti italiani, ci apra gli occhi sul nostro tempo, sui nostri rapporti umani, soprattutto verso individui, che come voi, hanno solo la “colpa”di essere immigrati magari, o minoranze politiche, o “nemici” da eliminare perché il coraggio dei loro ideali di equità, giustizia, libertà, delle loro idee contro lo status quo, contro il sistema, contro il pensiero unico, fanno e hanno fatto paura a chi, quel pensiero unico lo vuole difendere a spada tratta, a chi odia la diversità e la protesta, a chi ha orrore del “migrante” o dell’anarchico o del comunista o del semplice operaio che scende in piazza per avere più pane.

Ed è stato per voi, Nicola e Bart, l’intenso tributo organizzato dall’Istituto De Martino, a Sesto Fiorentino il 22 agosto scorso, data di commemorazione di quel 22 dello stesso mese nel 1927 in cui i due migranti anarchici accusati (seppur innocenti) di rapina e duplice omicidio, dopo ben sette anni dall’arresto, finirono i loro giorni e spensero le loro vite su una sedia elettrica. Ma questo tributo, dice Luigi Botta, da anni impegnato nella ricostruzione della vicenda, non vuole essere una vuota commemorazione, un afflato nostalgico verso una storia ormai lontana e che ingenuamente si ritiene irripetibile. La memoria del 22 agosto non deve essere una memoria passiva ma risvegliare nelle nostre coscienze la consapevolezza dei nostri tempi, delle tante storie sporcate col sangue di altrettanti innocenti, di tante vite spezzate per motivi altrettanto assurdi, costruiti su pretesti inventati, fasulli, macchinati volontariamente credendo di fornire una giustificazione, una legittimazione alla violenza gratuita, all’omicidio (perché di questo si trattò) volontario. Storie che molto spesso rimangono ai margini, o passano inosservate o che fanno pensare “Beh, alla fine è quello che si meritano”, in fondo sono solo degli immigrati che rubano, degli anarchici che fanno casino, degli operai che rompono i coglioni per un più dignitoso stipendio,ecc ecc….

Forse sto esagerando ma anche Botta sottolinea che la memoria, la storia passata non devono rimanere commemorazioni vuote ma devono servire come leva per produrre un’azione nel presente. La tragedia di Sacco e Vanzetti deve farci riflettere. Erano innocenti e sono stati condannati perché erano dei “sans papier”, immigrati. Anche noi oggi puntiamo spesso il dito contro persone colpevoli solo di non esser cittadini italiani e li condanniamo per questo. La storia di quei due uomini, innocenti non solo per noi, ma giudicati tali anche dalla stessa giustizia dello Stato del Massachussets e degli Stati Uniti, è una storia di ingiustizia palese, basata su un’enorme menzogna, costruita a tavolino. Proprio come ciò che dette inizio alla guerra in Iraq, fondata su un altrettanto crudele inganno, quello delle presunte armi di distruzione di massa, inventate di sana pianta per avere una legittimazione nell’attaccare e occupare un paese, celando interessi e scopi ben diversi, continua Botta che conclude ricordando la scritta “remember justice crucied 22 agosto 1927” frase emblematica che portavano i membri del comitato di difesa si Sacco e Vanzetti

Il giorno dei funerali dei due migranti anarchici; la stampa italiana scrisse che avrebbero partecipato al corteo funebre 200 persone, il New York Times scrisse che erano 7000, la stampa francese addirittura 400.000. Sembra che i partecipanti arrivassero a un milione. Talmente tante che la polizia, spaventata dall’ingente numero spara dei colpi per disperdere la folla. Dopo le parole di una lettera scritta da Sacco prima della condanna, sublimate da un accompagnamento musicale e corale, prende la parola Vincenzo, dell’Ateneo Libertario fiorentino, prima di lasciare pieno spazio alle suggestive e struggenti immagini di un filmato che rappresenta i funerali di Sacco e Vanzetti. Anche Vincenzo vuole ricondurre la storia di allora a quella di oggi, alla repressione di tutti coloro che non ci stanno a questa “società restaurata”; ripensare e ricordare può aiutarci a capire da che parte stiamo andando, a comprendere che esistono ancora certe forme autoritarie che schiacciano o umiliano o tendono a sopprimere la libertà degli individui, soprattutto di quelli che si ribellano allo status quo, come Sacco e Vanzetti, che erano compagni che lottavano per la libertà dei diritti dei lavoratori, per una più equa e dignitosa redistribuzione, per una migliore condizione sociale, per una giustizia con la G maiuscola e che furono condannati in nome di una colpa che non avevano commesso, costruita sulla base di montature macchinose.

Così anche oggi, continua Vincenzo, assistiamo impotenti o disinteressati, o ovattati in una cieca e sorda omertà, alla repressione quotidiana di coloro che reclamano i diritti che gli spettano: si pensi a coloro che difendono il proprio posto di lavoro, che passano a forme di lotta e di azione dirette e così finiscono per opporsi alla legalità ufficiale diventando perseguibili di reato, sono costretti ad agire per difendere ciò che gli spetta di diritto, ma la loro azione sbocca nell’ “illegalità ufficiale”. Stessa cosa accade per quelli che difendono la casa e ne occupano una o un terreno inutilizzato – vedi il caso di Mondeggi bene comune o il movimento per la casa – e che così facendo commettono un reato nonostante la loro lotta sia la lotta contro un’ingiustizia, un sopruso. Chi non si arrende all’ordine delle cose, chi non si rassegna di fronte agli abusi e al furto, al saccheggio di diritti o libertà imprescindibili, allo “stupro” della propria dignità umana, viene spinto inevitabilmente verso situazioni per cui verrà perseguito, verrà considerato un “nemico della società”, dell’ordine sociale, semplicemente perché il “sistema” stesso non è in grado di gestire i bisogni di questi individui, di garantire loro diritti inalienabili, di proteggere coloro che sono ai margini della società, di accogliere coloro che fuggono da guerre o miseria, di assicurare pari dignità e giustizia per tutti e che vede nella punizione, nell’odio, nella paura, nell’emarginazione, nella repressione “legale”, gli unici modi per contrastare chi si ribella, chi non ci sta. Terminato il discorso molto accalorato cade un silenzio carico di significato di fronte alle immagini del filmato, immagini che solo sette volte sono state proiettate. Non esistono altri filmati del funerale dei due uomini se non questo, realizzato clandestinamente il 28 agosto grazie alla mobilitazione dei membri del comitato di difesa di Sacco e Vanzetti di Boston, coordinato da un altro italiano anarchico, Aldino Felicani ma che poi viene fatto sparire dalla circolazione, come tutti i filmati sul caso dei due italiani, su ordine del governo americano – si pensi che anche i giornali dovevano eliminare ogni traccia della vicenda dei due condannati, pena il bruciare dei giornali stessi. Questo video è stato salvato, grazie soprattutto al lavoro di pulitura e montaggio eseguito da Jerry Kapland e alla disponibilità della “Sacco e Vanzetti society”.

La storia di questo filmato comunque è lunga e travagliata. Nel novembre del ’29 un giornalista si chiede che fine abbia fatto quel video che viene riproiettato, poi nel 1930. Poi disparisce. Solo nel 1950 l’autore del forse libro “Sacco e Vanzetti” lo ritrova e lo manda a New York per farlo restaurare. La storia del video segue altre vicissitudini passando per il 1979 quando la Public Library di Boston recupera il filmato, fino ad arrivare al vicino 2010 quando viene proiettato di nuovo e al 2013 in cui si completa l’operazione di restauro. E infine questa sera, e le immagini sono commoventi, potenti, da brivido. A conclusione dell’evento ci hanno deliziato con la loro musica sociale la compagnia Garibaldi d’Assalto – il nome lo prendono dalla terza e la 23esima brigate garibaldine – e le bellissime canzoni-storie di Alessio Lega, con testi anche molto attuali o tratti da poesie, come la canzone tratta da un poeta partigiano tedesco, o una canzone dedicata alla morte di tre lavoratori uccisi nel settembre del ‘45 perché stavano manifestando sotto la bellissima basilica di Santa Croce a Lecce – uno dei simboli, insieme all’attiguo Convento dei Celestini, della città – che sovrasta la piazza, indifferente nella sua eterna bellezza, ma forse quel giorno il suo splendido occhio di rosone pianse e piange ancora oggi lacrime di sangue. O come la storia di una delle prime donne vittime di quello che oggi la comunicazione mediale chiama femminicidio, la poetessa meridionale del ‘500 Isabella di Morra, vessata e poi uccisa dai suoi stessi fratelli, solo perché donna e per di più scrittrice di sonetti, in un tempo e in un luogo che disprezzava entrambe le cose. O la canzone costruita su Bella Ciao, in cui prende vita la fantomatica figura femminile che avrebbe ispirato il titolo e le parole dell’inno partigiano. E a suggellare il tutto Lega e il coro dei Garibaldi d’Assalto si animano in musiche e canzoni popolari, immortali della nostra tradizione fino all’interpretazione rivisitata dell’Internazionale. Una serata per ricordare, per pensare, per cantare, per non smettere di lottare per un mondo e un’esistenza più giusti e rispettosi di ogni vita e ogni pensiero, perché come si legge in una lettera di Sacco al figlio Dante, “Sì, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre idee, che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire.”

« Vi rendo omaggio Nicola e Bart
Per sempre riposate qui nei nostri cuori
Il momento estremo e finale è vostro
Questo dolore è il vostro trionfo! »
(Joan Baez, The Ballad of Nick & Bart)

 

Ultima modifica il Martedì, 26 Agosto 2014 17:30
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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