Riforme, decreti, slogan e così dicendo hanno fatto ripiombare l’italica gente nelle dinamiche divulgative berlusconiane.
L’anno 2014 per gli storici, gli archeologi e gli appassionati in generale sarà ricordato come l’anno dell’anniversario della morte di Ottaviano Augusto (14 d.C.), figura lontana cronologicamente da noi, ma sicuramente vicina dal punto di vista del clima politico che si venne a creare in quei remoti anni.
La ricorrenza, celebrata un po’ in tutta Italia con mostre (la più famosa tenutasi fino a febbraio alle scuderie del Quirinale) eventi e quant’altro, ha sicuramente portato alla luce il dato artistico dei reperti afferibili al grande imperatore. Forse, però, non tutti hanno colto l’importanza del messaggio politico nelle opere augustee, vero strumento di propaganda del potere, che affascinava sicuramente i suoi contemporanei e anche le generazioni successive.
La propaganda, grande strumento di potere utilizzato in serie dal nipote di Cesare, non può e non deve essere vista solo nelle opere artistiche, ma anche nelle scelte politiche effettuate nell’intervallo cronologico del suo regno, alcune delle quali assimilabili a scelte e sviluppi attuali. Un grande retaggio augusteo, lasciato intatto fino a noi, è quello della pax e dell’età dell’oro vissuta da Roma durante il suo regno, un po’ quello che il mainstream da anni propaganda tramite televisioni, radio e mezzi di comunicazione varia.
L’età dell’oro augustea si traduce nel consolidamento delle strutture imperiali e nell’assestamento dei confini, con guerre estremamente parcellizzate atte a controllare che il limes sia ben saldo. In tutto questo, si può certamente fare un parallelismo con le politiche americane in materia estera, le famose missioni di pace, che consolidano i confini dell’occidente e sicuramente ne ampliano il raggio d’azione economico.
Politiche a cui partecipa anche l’Italia di Matteo Renzi, anch’egli ambiguo nella gestione politica del suo “mandato”. Merito e abilità fondamentale di Augusto è l'aver avuto la capacità di comprendere lucidamente, da una parte, le reali esigenze (tanto quelle organizzative e istituzionali, quanto quelle militari) della compagine romana, dall'altra, quella di essere stato capace di rispettare le apparenze repubblicane, conservando così l'approvazione dei ceti più tradizionalisti e del Senato.
In una tale ottica si giustificavano la scelta di non estendere ulteriormente (e significativamente) i confini imperiali, e quella di cercare di creare un nuovo apparato istituzionale (pur il più possibile 'mascherato' sotto le vesti dell'antico ordine) che avesse un raggio d'azione molto più vasto di quello repubblicano e sanzionasse a livello politico e burocratico l'esistenza consolidata dei poteri clientelari del princeps. I poteri clientelari, figli di politiche unidirezionali, utilizzati anche oggi nella gestione di appalti pubblici e privati all’interno di opere più o meno utili.
Il principato di Augusto, inoltre, prefigura chiaramente molti dei futuri problemi dell'Impero, i problemi di carattere finanziario e quelli inerenti la gestione degli apparati imperiali. Se da un lato il princeps voleva ovviamente cambiare il modello istituzionale, da un altro preferiva mantenere una parvenza repubblicana. Oggi questa evidenza politica può essere assimilata all’odierna volontà della tanto paventata riforma costituzionale e a quella di cambiare completamente struttura, cercando di risultare assolutamente meno invasivi possibili agli occhi del cittadino medio, all’interno di una fittizia e poco reale “età dell’oro”.