In una di queste interviste si dice che Deleuze non è ancora post, bensì neo. Questo significa che il suo pensiero è ancora molto attuale, così come lo è la lettura che ha dato di molti autori e filosofi (da Kant, a Bergson, a Hume, a Nietzsche, a Leibniz, o nell’ambito letterario, da Prost, a Kafka, a Beckett..). Katia aggiunge anche che spesso si riscontrano due diverse modalità di approccio a questo autore un po’controverso ma fortemente suggestivo, entrambe errate, a suo dire. Il suo pensiero in effetti è un pensiero tutt’ora molto vivo, vivente, ma spesso risulta semplificato, snaturato, utilizzato in modo un po’aleatorio, “sportivo”. Nella prima delle due modalità di approccio infatti, proprio considerando la varietà di ambiti di cui si è occupato Deleuze (dalla filosofia, alla letteratura, all’arte, alla pittura, al cinema..) molti artisti, appartenenti a svariate sfere (architettura, arti visive, cinematografiche, ecc.) si richiamano alle sue riflessioni, ma rischiando di renderle troppo “pop”. È vero che egli stesso si considerava un autore pop, e ciò è dimostrato anche dall’uso di neologismi, da lui inventati, di parole persino un po’ barbare, eccentriche, ma a volte proprio questo suo aspetto viene banalizzato o comunque utilizzato in maniera poco attenta e consapevole, perdendo forse la pregnanza e la rilevanza del suo pensiero. La seconda modalità invece annovera Deleuze tra i filosofi classici, viene studiato dall’Accademia come un classico e ne viene fatto un oggetto si sapere puramente teorico e accademico, snaturando però a sua volta il senso profondo del messaggio deleuziano, anche molto critico dei saperi istituiti e delle istituzioni in generale.
Terminata l’introduzione Rossi passa a presentare i relatori: James Organisti, Sandro Palazzo e Ubaldo Fadini.
Il primo ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia teoretica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed è docente presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Bergamo e presso l’Università degli Studi di Bergamo. Tra le altre cose, ha scritto una monografia su Deleuze, intitolata: “Gilles Deleuze. Dall’estetica all’etica”, edita l’anno scorso.
Sandro Palazzo invece è dottore di ricerca presso l’Università di Bologna e ha pubblicato diversi articoli e saggi su Deleuze (con particolare attenzione al rapporto tra trascendenza e immanenza e alle riflessione deleuziane su Kant) oltre ad aver curato la traduzione delle lezioni deleuziane del 1978 su Kant (“Fuori dai cardini del tempo”, ed. Mimesis, 2004). Tra i suoi scritti, ricordiamo “Trascendentale e temporalità in Gilles Deleuze e l’eredità kantiana”, pubblicato nel 2013.
Infine, Ubaldo Fadini, che forse molti di noi conoscono, è professore associato di filosofia morale presso l’Università degli Studi di Firenze e si occupa di Deleuze da almeno venti anni. È curatore di testi importanti del filosofo francese, quali “Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori”, “Macchine desideranti. Su capitalismo e schizofrenia” (contemporaneo all’uscita del noto “L’Anti-Edipo”, scritto anche questo a quattro mani con Félix Guattari) e “Istinti e istituzioni”, piccolo ma ricco testo di Deleuze. È inoltre autore di libri importanti, in cui la figura del filosofo è costantemente presente, come “Figure nel tempo. A partire da Deleuze/Bacon” (sull’analisi deleuziana dei quadri di Francis Bacon i cui corpi dipinti rendono plasticamente bene l’idea di “corpo senza organi” di matrice deleuziana) , “Deleuze plurale. Per un pensiero nomade” e “Divenire corpo. Soggetti, ecologie, micropolitiche”, un’indagine sul rapporto tra uomo e tecnica che parte e torna a Deleuze.
James Organisti premette che il suo intervento sarà una testimonianza, piuttosto che una commemorazione. Tra l’altro Deleuze stesso probabilmente avrebbe mal gradito una sua commemorazione. E non si tratta neanche di una lezione di filosofia, afferma Organisti, per quanto da una parte ciò sia inevitabile. Il docente preferisce “raccontarci” cosa abbia scoperto studiando Deleuze e quel che ha capito, quello che lo ha portato a riflettere. Durante l’intervento si percepisce infatti una nota di emotività, significativa del fatto che probabilmente, chiunque legga questo filosofo ne rimane affascinato, catturato, calamitato, e in qualche modo, ne esce persino trasformato, perché il suo pensiero va a toccare corde profonde dell’animo umano, decostruendo ogni senso comune, ogni concetto pre-costruito che di esso possiamo avere. La lettura di Deleuze è paragonabile a una sublime catastrofe, una totale rimessa in discussione di ciò che crediamo fissato, uno sfaldamento di certezze introiettate o “istituzionalizzate” e soprattutto una percezione quasi commovente di una vita in tutta la sua struggente ricchezza e pienezza, che scorre in ciascuno di noi, che ci percorre da capo a piedi, disfacendoci continuamente, me che nel suo disfarci ci esplode dentro come una cascata inesauribile e ci trasforma in qualcosa che non sapevamo nemmeno di poter essere o diventare, ci rende consapevoli di essere un infinito fascio di possibilità e potenzialità.
Deleuze ci tocca, la sua filosofia ci inchioda per un attimo alla parete ma come farfalle, pronte poi a spiccare il volo, una volta scardinato il chiodo che ci teneva incollati a quel muro. Organisti dice di aver scoperto Deleuze durante un corso monografico su Nietzsche. Tra i commenti nelle note compariva anche il nome del filosofo francese infatti, e andando a leggere, il docente di filosofia, scorge una lettura diversa e “anticonformista” rispetto alla tradizionale esegesi del pensiero nietzschiano. Nel suo testo Deleuze scorporava Nietzsche dal nichilismo, in esso si intravede un Nietzsche non nichilista, bensì paladino dell’affermazione. Da qui Organisti è passato poi a leggere altri mirabili testi dell’autore francese che non sono soltanto testi di storia della filosofia, ma già di teoria filosofica (in particolare quelli dedicati a Bergson, Hume, Kant..) o di teoria letteraria (quali quelli dedicati a Proust, a Kafka..). “All’interno di questi testi” – prosegue James – “mi sono accorto che vi era una proposta della concezione della differenza ontologica, che rendeva ragione di alcuni aspetti”. La differenza in Deleuze si afferma soprattutto come differenza tra il mondo che tutti noi viviamo, il mondo finito, dotato di qualità, attributi, limiti e determinatezze e un mondo diverso, aperto, infinito, indeterminato, che è quello della virtualità, del virtuale. Tale scoperta ci aiuta a comprendere che per noi uomini esiste una possibilità che viene ancor prima del possibile che progettiamo. Una possibilità prima del possibile stesso. Il virtuale è una molteplicità, una cassa di risonanza, un divenire continuo, una riserva inesauribile di possibilità che appunto viene prima del possibile progetto. È essa stessa ciò che rende possibile il mio progetto, ovvero il mio possibile. Questo è un concetto bellissimo, in quanto è l’idea da cui Deleuze parte per decostruire l’idea di un soggetto prefissato, di un soggetto preformato, chiuso, come può esserlo la sostanza cartesiana.
Per il filosofo francese invece il soggetto è un soggetto larvale, neonato, ma proprio per questo capace di accogliere e vivere pienamente la ricchezza infinita dell’essere e della vita. È anche un soggetto passivo, me non nel senso negativo della passività, ma in quello della ricezione, del farsi ricettacolo, accoglienza incolmabile di infinte possibilità e modalità di essere: passivo perché riceve, accoglie su di sé e dentro di sé la violenza della bellezza della vita che esplode, dell’intensità della vita che esso stesso è o che si riversa in lui. È un soggetto capace di intensità, di forze che lo percorrono, che lo attraversano, che lo lavorano dal di dentro e dal di fuori. È capace di passività feconda. La vita lo giustifica in modo ingiustificato, lo giustifica nell’ingiustificabilità della vita stessa, nella sua meravigliosa gratuità ingiustificata e priva di fondamento ben determinato. È un soggetto s-fondato, gratuito, ingiustificato appunto. In quanto soggetto larvale è un evento nella gratuità della vita, nella sua risonanza, nella sua molteplicità, nel suo incessante divenire metamorfico. In questo potrebbe apparire vicino a un pensatore post-moderno, ma di fatto non lo è, poiché il soggetto larvale non è un individuo, che guarda il proprio ombelico, concentrato sui propri bisogni e sulle proprie esigenze, ma è quel soggetto pre-individuale capace dell’intensità della vita in tutte le sue forme, in tutte le sue potenzialità, capace di ricevere questo enorme evento che è la vita stessa. In tale concezione si può sentire un’eco nietzschiana, in questa idea di soggetto da cui deriva quella dell’affermazione. Per Deleuze quest’ultima è infatti l’unico modo che l’uomo ha per restar fedele a quell’esplosione di vita che lo ha generato e che ha reso possibile l’intensità che egli stesso è. L’affermazione è l’unica possibilità pratica che egli ha di esprimere la vita in tutta la sua ricchezza e imprevedibilità. Prima ancora di iniziare a logicizzare e concettualizzare il mondo, a ridurlo a giudizi, c’è questa piena affermazione dell’evento che io stesso sono, un’affermazione che ricostituisce. La negazione in tal senso, non è che un vano tentativo di definire come un cesello l’impossibilità di ridurre ad un concetto la pienezza che sto vivendo.
Da qui emerge anche il tema, caro a Deleuze, della libertà: l’evento è come una pellicola inesprimibile, irriducibile e questo evento non è che l’accadere, l’insorgere di un’idea. L’idea è l’evento irriducibile, che si svincola dalla passione el’azione necessitante dei corpi, perché sempre apre a nuove possibilità. Quando si “accende” un’idea non c’è quindi più solo una necessità, ma una novità, una libertà innovativa. C’è possibilità di creazione, di invenzione, che liberano il soggetto, che liberano l’azione necessitante dei corpi. Oggi, che risulta tutto contabilizzato nella nostra cultura (persino in ambito universitario col calcolo dei crediti di esame), può dare molto ossigeno trovare un pensatore che ci dica che quando nasce un’idea nasce una possibilità di liberazione e la cultura dovrebbe essere precisamente questo, una scintilla di novità, di nuovo, di libertà e possibilità traboccanti. per questo occorre però diventare stranieri, anche e soprattutto nella propria lingua. Ognuno può diventare rivoluzionario all’interno della propria lingua e quindi della propria cultura se comincia a intonare ritornelli diversi, se comincia a balbettare, come direbbe Deleuze. Oggi che il linguaggio, i concetti, stanno diventando degli aridi e vuoti stereotipi privi di vita, con solo la volontà di colpire l’immaginario comune, è ancor più urgente creare nuovi ritornelli, farsi stranieri in ciò che consideriamo più nostro e fissato e quindi aprire nuove possibilità, lasciar brillare quella scintilla di novità che spazza via ciò che è dato per scontato, ciò che sembra essere stabilito una volta per tutte e operare quella rivoluzione, quello stravolgimento che solo può esprimere con parole diverse, con balbettii nuovi, l’inesauribile ricchezza della vita, del pensiero, dell’ evento, sempre traumatico, sempre catastrofico (ma in senso positivo), sempre spiazzante, che è l’idea, il meraviglioso accadere di un’idea nuova.