Martedì, 25 Dicembre 2012 00:00

La politica e le nuove sfide globali #2

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Intervista a Elena Pulcini, Professoressa ordinaria di Filosofia sociale, presso l'Università di Firenze

5) Il clima impazzito, mette a nudo le miserie del genere umano. Ad esempio, mette in evidenza il potenziale devastante della cementificazione selvaggia (basti pensare al fatto che negli ultimi 30 anni abbiamo cementificato 6 milioni circa di terreno – un quarto del territorio italiano – pur contando 10 milioni c.a. di case vuote), eppure si continua a costruire. Sembra ormai radicata l’idea che senza edilizia, senza quest’ottica di endemico liberismo economico in cui versiamo non ci sia possibilità di occupazione né crescita né sviluppo. Può darci una sua considerazione a riguardo?

Uno dei problemi che più influiscono sulla devastazione del territorio è proprio questo: un atteggiamento di totale disinteresse nei confronti dell’ambiente, fagocitato dai fattori della modernità e da una sempre più cieca economia di mercato. L’Italia è appunto uno degli esempi più lampanti di violazione estrema del territorio. Come lo è il problema della rapacità economica: questa porta ad assumere un atteggiamento sempre più “selvaggio” da parte dei paesi emergenti, quali ad esempio la Cina, la quale, pilotata com’è verso la crescita non ha alcun interesse ad affrontare certe problematiche. Mentre per alcuni paesi, non si tratta neanche solo di questa visione sfrenata di crescita produttivistica, in nome della quale viene sacrificato tutto il resto, ma purtroppo, anche di senso di impotenza: si pensi ad un paese come il Brasile, dove c’è una coscienza ecologica molto più diffusa rispetto a quella italiana, eppure, anche qui, persino un grande presidente come è stato Lula, che sarebbe stato anche disposto a prender provvedimenti su questo versante, si è trovato costretto a trascurare enormemente il problema ambientale, in quanto cozzava con il problema del lavoro, dell’occupazione e della crescita economica.

6) Pensa che potrebbe esserci un’alternativa di progresso, per così dire, sostenibile?

Dobbiamo rivedere i nostri concetti di fondo, in particolare quello della crescita appunto. Cosa vuol dire crescita? Vuol dire crescita illimitata? Dove ci sta portando questa logica? A queste domande si collega il problema fondamentale dell’erosione delle risorse, cui si preoccupa appunto, lo sviluppo sostenibile: noi abbiamo sfruttato e stiamo continuando a sfruttare il nostro pianeta in tutti i modi violenti possibili e immaginabili e le risorse naturali ed energetiche si stanno esaurendo. Ian Mc Ewan in un suo romanzo, Solar, presenta un quadro terrificante di questa situazione. Urge assolutamente trovare fonti cosiddette di energia alternativa, come il fotovoltaico, tanto per dirne una. Fino a che, però, i poteri forti, industriali, economici..non si rendono conto di questo, non si fa nulla. Dirigersi sulle fonti alternative significa riconversione, significa spesa, significa investimento, rischio.. e quindi è probabile che il grande potere economico mondiale potrebbe cambiare rotta solo secondo la logica del profitto, ovvero, solo se si rendesse conto che farebbe maggiormente il proprio interesse riconvertendo in maniera sostenibile le proprie strutture.

7) Il filosofo economista Serge Latouche è conosciuto soprattutto per la sua critica al concetto di sviluppo e di razionalità ed efficacia economica e in questa critica all’immaginario occidentale , profondamente attraversato dall’economicismo sviluppista, egli evidenzia come i maggiori problemi ambientali e sociali dei nostri giorni siano dovuti proprio alla crescita e ai suoi effetti collaterali, contro i quali l’unica risposta potrebbe essere una strategia di “decrescita felice” improntata sulla sobrietà e su fattori come il riciclo, il riutilizzo ecc.. E’d’accordo con questa visione?

Conosco personalmente Latouche e so che è animato dalle migliori intenzioni ma credo che il tema della decrescita sia da prendersi in modo provocatorio. Ci sono nuclei di economisti che si ribellano fortemente alla logica della crescita illimitata, c’è anche tutta un’economia “della felicità”, che ritiene che il PIL sia un coefficiente troppo limitato e poco esaustivo per un vero “calcolo” del benessere e della felicità dei singoli. E sono convinta che effettivamente il reddito non sia un fattore esaustivo per misurare il benessere dei cittadini. Ritengo però che la decrescita sia più uno slogan, per quanto sia una parola d’ordine molto importante e utile, in quanto mette di fronte al mito della crescita; ma una sua applicazione comporterebbe una trasformazione radicale dell’antropologia umana, della nostra cultura. Leggevo l’altro giorno in una sua intervista a lui in cui dice di smettere di consumare, ma è un discorso estremamente rischioso, perché se si smette di consumare il ciclo economico si blocca. Anche questa comunque è una provocazione importante per demonizzare tutto quello spreco, quel consumismo sfrenato, quell’eccesso, quell’illimitatezza, quel superfluo..in cui siamo immersi fino al collo. Più che non consumo direi che una possibilità interessante sarebbe il consumo critico: consumare prodotti che vengono da sistemi alternativi, imprese verdi, prodotti equosolidali ecc.. E sono proprio le nuove generazioni, i giovani che forse possono cambiar qualcosa. Insomma, se i miti del successo, del denaro,dell’arricchimento, del potere, vengono ridimensionati, allora può esserci speranza.

8) Il contatto con la natura, con la campagna, i prodotti della terra, l’aria fresca e aperta è qualcosa che la nostra generazione ha perso o sta perdendo e temibilmente quelle successive si ritroveranno in mano un mondo tecnolocizzato che è un enorme blocco di cemento, senza spazi verdi, con un cielo tossico e un’aria sempre più malsana a causa dell’inquinamento. Che impatto può avere tutto questo, oltre che sulla salute fisica delle persone, su quella psicologica, emotiva e mentale?

Sicuramente vi è un impatto su di essa. Io sono olistica da questo punto di vista: l’aspetto fisico e l’aspetto psico-antropologico sono strettamente connessi. Tant’è che infatti questo distacco dalla natura non è che ci abbia portato ad essere più felici. Tutto questo genera malessere profondo che abbiamo difficoltà a ricondurre a questo tipo di cause, ma a cui invece è profondamente legato. E’ veramente inquietante ed allarmante pensare a come si sia perso completamente il contatto con il ciclo naturale della terra, dei prodotti, delle stagioni, e quando varchiamo certi limiti in questa esasperata manipolazione della natura e dei processi naturali (per quanto io ritenga che la natura in qualche modo sia sempre e comunque artificiale, non esiste una natura pura e incontaminata, se non, forse, alle origini del mondo), ci condanniamo non soltanto a un’erosione delle risorse e quindi a un problema di sopravvivenza, ma anche ad un malessere sempre più ingestibile ed abissale.

9) Da dove si potrebbe partire per recuperare questo contatto, anche familiare, con la natura, prima che venga del tutto deturpata?

Molto si può fare sul piano dell’educazione, della scuola. Capita di vedere cose allucinanti, come casi di bambini convinti che i polli nascano nei supermercati inscatolati nel cellofan. Quindi ritengo che la funzione della scuola sia fondamentale da questo punto di vista, in modo da abituare fin da piccoli i bambini a capire che il pollo prima di arrivare al supermercato è un pulcino che nasce, cresce, viene nutrito ecc..o che il prosciutto non nasce nelle vaschette ma è la parte di un animale chiamato maiale, e così via. Insomma molto si può fare sul piano dell’educazione e ancora una volta, sul piano dell’amministrazione: c’è proprio una politica, non solo nazionale, ma anche amministrativa in cui non vi è traccia di una minima sensibilità nei confronti di questo tema. Poi sì, vi sono pure casi positivi di piccoli comuni virtuosi, piccoli paesi, in cui c’è un’attenzione a quest’aspetto e infatti le cose sono molto più vivibili. La città diventa molto più vivibile, perché anch’essa può mantenere un suo contatto con la natura, attraverso parchi, giardini, spazi verdi..attraverso la consapevolezza che non siamo immersi solo tra tante mura, che c’è dell’altro.

Ultima modifica il Martedì, 25 Dicembre 2012 10:44
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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