Lunedì, 31 Dicembre 2012 00:00

La politica e le nuove sfide globali #3

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Immagine tratta da wikipedia.it

Intervista a Elena Pulcini, Professoressa ordinaria di Filosofia sociale, presso l'Università di Firenze 

10) Ritiene che la cosiddetta green economy o l’ edilizia sostenibile possano servire a sovrastare il problema della cementificazione cieca e selvaggia, o che alla fine, per usare una metafora, esse possano soltanto alleviare i dolori del paziente terminale ma non gli salvano affatto la vita?

 

Le due prospettive coesistono in modo quasi schizofrenico. Da una parte appunto ci sono questi tentativi di green economy, ma essi rimangono molto di nicchia, e quindi vengono schiacciati dall’altra prospettiva, ovvero quell’andamento secolare di costruzione, cementificazione che continua a muoversi esattamente con gli stessi parametri. Addirittura andando sempre in una direzione più preoccupante e drammatica, perché la cementificazione oggi si porta dietro tutte quelle dinamiche di speculazione, corruzione, affarismi, infiltrazioni mafiose ecc.. e quindi diventa sempre più difficile, se non impossibile, contrastarla.

11) La vicenda dell’Ilva ha aperto un profondo dibattito tra il diritto al lavoro e quello della vita, che può essere garantita solo se certe condizioni di minor impatto ambientale vengono rispettate. Riuscirebbe a vedere una possibile soluzione di “compromesso” tra questi due diritti imprescindibili? Nel concreto, cosa si potrebbe fare? E chi per primo dovrebbe impegnarsi a farlo?

Io non so in questo caso cosa succederà, ormai siamo anche a un livello di confusione tremendo. Ma una cosa è certa e proprio su questo bisogna esser radicali: guai a contrapporre questi due diritti. Devono sempre, assolutamente, andare insieme. Non possiamo preoccuparsi dell’ambiente disinteressandosi al problema di famiglie che vanno in povertà e in disperazione e allo stesso tempo però non si può trascurare l’impatto ambientale, che oltretutto si ritorce immediatamente contro quelle famiglie stesse. Ecco, questo dell’Ilva è un altro caso assolutamente esemplare che ci mette di fronte a questa falsa alternativa: siamo andati avanti fin’ora attraverso la legittimazione di questa falsa dicotomia e dobbiamo fare di tutto per romperla. Lo devono fare soprattutto i governanti ma prima di tutto dobbiamo creare una cultura, è questo il nodo principale; perché gli stessi operai dell’Ilva, se fossero stati più sensibilizzati al problema ambiente, al problema salute, si sarebbero resi conto loro stessi che rischiavano in prima persona e quindi probabilmente avrebbero loro stessi posto il problema prima di scoprirsi in questa situazione drammatica.

Il problema è proprio questo: riuscire ad avere quella che noi chiamiamo un po’genericamente coscienza ecologica, che spesso si usa in termini un po’ banalizzati. Non c’è niente di banale nella coscienza ecologica, è necessario e urgente riuscire a comprendere che la devastazione dell’ambiente diventa un disastro anche per la sopravvivenza materiale, economica, lavorativa, psicologica degli individui. Se parliamo di erosione delle risorse, questo significherà perdita di lavoro per centinaia, migliaia e milioni di persone; se noi parliamo di global warming e di desertificazione di certe aree, vuol dire che in quelle aree lì non ci sarà più possibilità di lavoro, di crescita, di “progresso”economico e materiale, e quindi non ci sarà più possibilità di sopravvivenza. E’ tutto collegato. Dobbiamo veramente riuscire ad assumere una coscienza olistica ancor prima che ecologica in cui tutto si implica a vicenda. Invece l’atteggiamento comune è questa tendenza, pericolosissima, ad affrontare ogni cosa in maniera schizofrenica, settorialmente, come appunto il caso dell’Ilva ci ha mostrato. Se c’è una caratteristica dell’età globale è esattamente questa interdipendenza, delle vite, degli eventi, delle nazioni..non possiamo più risolvere le cose settorialmente, dobbiamo urgentemente assumere una coscienza globale.

12) Un’ultima battuta per concludere?

Ecco, ricollegandomi al discorso di prima direi che, se c’è una caratteristica dell’età globale è esattamente questa interdipendenza, interdipendenza delle vite, degli eventi, delle nazioni..non possiamo più risolvere le cose settorialmente, dobbiamo urgentemente assumere una coscienza globale. Certo, riuscire ad avere una coscienza di questo tipo è difficile, sia da parte degli individui che da parte delle istituzione, e tuttavia è l’unica strada percorribile. E bisogna fare in fretta, perché continuando con questo modello di sviluppo tra venti-trent’anni finiremo male. Allora, per concludere sulla parola cura, essa contiene in sé tutte queste misure, che vanno dal piccolo livello capillare che può sostenere il singolo individuo, alla consapevolezza collettiva e i movimenti sociali, alla responsabilità politica che deve prender misure sia sul piano locale, che su quello internazionale. Per me cura sul piano ambientale per me vuol dire questo: vuol dire prendere in carico il mondo, farsi carico del mondo.

Ultima modifica il Domenica, 30 Dicembre 2012 21:00
Chiara Del Corona

Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.

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