Mercoledì, 11 Settembre 2013 00:00

Quaranta anni senza Allende

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"Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l'uomo libero, per costruire una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento".
Sono state queste le ultime parole pronunciate da Salvador Allende esattamente quaranta anni fa, prima di morire. Sono state le parole di un uomo che ha dato tutto per il suo paese e che per quel paese ha scelto di morire, non tirandosi indietro davanti a chi con la forza ha distrutto il lavoro del suo governo trascinando il Cile in una delle peggiori dittature della storia.

Salvador Allende era un socialista e da socialista nel 1970 diventò Presidente del Cile: “Noi partiamo da diverse posizioni ideologiche. Per voi essere un comunista o un socialista significa essere totalitario, per me no... Al contrario, io credo che il socialismo liberi l'uomo”. Il programma che riuscì a mettere in atto con la coalizione che lo sosteneva, Unidad Popular, era lo specchio del suo modo di intendere la politica e della sua convinzione che tutti gli uomini siano uguali e con gli stessi diritti. In primo luogo, promosse un'ampia campagna di nazionalizzazione: dalle ricche miniere di rame fino a quel momento controllate da compagnie americane ai trasporti, dalle rete elettriche alle industrie siderurgiche e alla comunicazione. Le ricchezze del Cile dovevano servire, innanzi tutto, a migliorare le condizioni di vita di quei milioni di cileni che ancora annaspavano attorno alla soglia di povertà: sempre in questo senso andavano, infatti, iniziative come il rifiuto di ripagare interamente il debito estero e quella di una riforma agraria che togliesse potere ai grandi latifondisti. A questo, dobbiamo aggiungere un forte impegno per la diffusione della cultura: proprio in nome dell'uguaglianza dei diritti, il governo guidato da Allende programmò una dettagliata campagna di scolarizzazione. Circa 55.000 volontari, gli Allendistas, girarono il paese, soprattutto nel Sud, per combattere l'analfabetismo. Il governo promosse inoltre la stampa e la distribuzione di molte migliaia di grandi opere in edizione economica, così che tutti potessero leggere i libri che hanno cambiato il mondo.

Ma il paradiso creato da Salvador Allende ebbe vita breve. Il Presidente era osteggiato nella sua azione di riforma da oppositori interni ed esterni. Da dentro, si doveva scontrare con la parte del Congresso in mano alla Democrazia Cristiana Cilena e con gli ambienti autoritari di destra, che erano riusciti a mantenere la lealtà dell'esercito. Fuori, il suo nemico numero uno erano gli Stati Uniti, che di certo non vedevano di buon occhio la trasformazione in senso socialista del paese. Non solo i programmi di nazionalizzazione attuati da Allende andavano a discapito degli interessi delle grosse aziende statunitensi ma, ancora più grave, questa evoluzione del Cile andava ad infrangere il “cortile di casa” che gli Usa coltivavano con tanta attenzione: dopo Cuba, un altro pezzetto del Sud America sarebbe stato sottratto al diretto controllo dell'imperialismo statunitense.
Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli”: non a caso furono queste le parole con cui Henry Kissinger, all'epoca consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, accolse la notizia delle elezioni di Salvador Allende. E fu lo stesso Kissinger ad avere un ruolo di primo piano nell'organizzazione del colpo di stato guidato dal generale dell'esercito Augusto Pinochet che l'11 settembre del 1973, con l'attacco al palazzo presidenziale de La Moneda, portò alla destituzione del Presidente e gettò il Cile nelle grinfie di una dittatura fascista.
Salvador Allende dette la vita per il suo paese: alla notizia dell'arrivo dell'esercito e realizzato di non avere alcuna possibilità di salvezza, fece allontanare tutti i suoi collaboratori (tra questi vi era anche lo scrittore cileno Luis Sepulveda) e, rimasto solo, si tolse la vita con un AK 47 che, la leggenda vuole, gli fosse stato regalato da Fidel Castro in persona.

Esattamente quarant'anni dopo il suo sacrificio, a Firenze ci ritroviamo davanti al consolato Usa per ricordare il Presidente Compeñero (così veniva chiamato). E lo ricordiamo in un momento particolare, dopo esserci ritrovati, nemmeno una settimana fa, per dire protestare contro ogni ipotesi di attacco in Siria. C'è difatti un filo rosso che collega la vicenda cilena a quelle che potremmo a breve vivere oggi: è l'imperialismo americano. Un imperialismo che, nonostante tutto quello che possano dire i fautori di un rinnovamento linguistico post ideologico, continua a caratterizzare la geopolitica mondiale. E' lo stesso imperialismo che nel 1973 spinse il presidente americano Richard Nixon, coadiuvato dal fido e scaltro Henry Kissinger, ad intervenire con il golpe di Augusto Pinochet, mettendo così in discussione la scelta democratica del popolo cileno pur di difendere i propri interessi nel continente latino-americano. Ed è lo stesso imperialismo di oggi che fa sì che il presidente Obama abbia una tale volontà di intervenire in Siria, anche senza prove certe dell'uso di armi chimiche: se le zone di interesse strategico sono cambiate, facendo accendere i riflettori sul Medio Oriente, le modalità di azione restano le stesse. Purtroppo.

Immagine tratta da: www.brianzapopolare.it

Ultima modifica il Martedì, 10 Settembre 2013 23:14
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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