Capitan Harlock è sostanzialmente rivisto: perde molto del suo aspetto romantico, guadagna in oscurità (e ottusità).
La cosa migliore sarebbe non aver visto il cartone originale, distante nel tempo e nettamente superiore alle rivisitazioni successive. Nessun fan può però gridare allo scandalo, soprattutto se il creatore Leiji Matsumoto si dichiara soddisfatto e rivendica di essere riuscito a imporsi sul regista. Non che non si noti, in particolare nella parte conclusiva: Shinji Aramaki strizza eccessivamente l’occhio al pubblico di Hollywood, tentando di far passare in secondo piano il pirata della libertà e lasciando spazio all’epopea formativa di una coppia di giovani fratelli, divisi dall’odio ma uniti dall’amore (la formulazione è fastidiosa quanto la trasposizione cinematografica di questa parte narrativa). Ogni tanto la trama svolta bruscamente nel rimettere al centro Harlock, a testimoniare che Matsumoto qualche idea diversa su come impostare il film l’aveva.
Il film si muove lentamente e con fare imponente (anche per dimostrare al mondo "di cosa siamo capaci in Giappone", per citare Aramaki), sacrificando la complessità dei livelli di lettura a una tenebrosità esteticamente efficace. La pellicola acquista velocità nella seconda parte e pare scricchiolare un po’ all’inizio, come l’Arcadia (l’astronave pirata) in fase di rigenerazione.
A sinistra il pirata è guardato con molta preoccupazione da chi non lo ha conosciuto. Il nero, il teschio... simboli che alla Rai degli anni ’70 (e non solo) ricordavano la “X Mas”… Tutto incomprensibile per chi invece si è appassionato e innamorato di un ribelle in lotta per la libertà, contro l’oppressione e l’inganno del potere: "il mondo è ancora alla mercé dell'uomo che lo sfrutta senza ritegno e che potrebbe portarlo alla distruzione, e ha ancora bisogno di un difensore" (Matsumoto). Qualcuno ha voluto segnalare come la figura sia stata fatta propria anche da CasaPound, dimenticando che l’associazione, con l’opportunismo e l’insolenza tipica dei fascisti, ha usato anche Bobby Sands e Che Guevara. Chiunque ha visto il cartone originale non ha dubbi sulla possibilità di collocare il pirata nell’alveo della sinistra. Quello che emerge dal film è invece un personaggio più appiattito sugli stereotipi statunitensi, che affascinano ormai anche gli esponenti di primo piano della sinistra radicale italiana (basta pensare a come è stato accolto il recente, e sopravvalutato, Elysium).
Nessun tradimento, un omaggio contemporaneo, un po’ impoverito e sacrificato al grande pubblico.
Si poteva fare di meglio, decisamente, ma il disastro si è scampato.
[Voto 6 su 10]
Space Pirate Captain Harlock, Giappone 2013, animazione, durata 115', regia di Shinji Aramaki