Prendete alcune sue opere: Rushmore, I tenenbaum, Le avventure acquatiche di Steve Zissou, Il treno per il Darjeeling, Fantastic mr. Fox e Moonrise Kingdom testimoniano la sua padronanza in materia.
Questa volta però l’estro creativo di Wes Anderson è andato oltre le più rosee attese con il suo nuovo film “The Grand Budapest Hotel”, presentato in anteprima come apertura del Festival di Berlino.
La pellicola si apre con uno scrittore (Jude Law prima e in fase adulta Tom Wilkinson) che racconta del suo incontro con il signor Moustafa (F.Murray Abraham) che è il nuovo proprietario dell’albergo. Così quest’ultimo racconta al nuovo amico la sua storia.
Siamo nell’immaginaria Repubblica di Zubrowka (in realtà il film è stato girato a Berlino e dintorni) negli anni ‘30. Gustave H (Ralph Fiennes,in grande forma) è un importante direttore del Grand Budapest Hotel. Conosce tutti i clienti e spesso entra in confidenza con attempate e ricche signore in particolar modo con l’anziana Madame D (Tilda Swinton). Un giorno improvvisamente e misteriosamente la donna muore. Ed ecco che una fauna di discendenti sono pronti alla lettura del testamento: a sorpresa però Madame D ha lasciato un prezioso dipinto rinascimentale a Gustave. E per lui iniziano i problemi: infatti l’erede Dmitri (Adrien Brody) vuol far valere i suoi ”diritti di sangue” ed è pronto a tutto. Non a caso assolda un investigatore privato-killer,Jopling(Willem Dafoe),che cerca di correggere in suo favore l’andamento delle cose.
Per fortuna di Gustave, in suo aiuto arriva il giovane portiere immigrato Zero (l’esordiente Tony Revolori) che stringe un patto di collaborazione con il suo padrone.
Il film è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco pacifista che si vide bruciare nel 1933 ciò che aveva scritto dai nazisti ma anche a Billy Wilder e Ernst Lubitsch (per il sense of humour), a Jean Renoir (i passaggi temporali), a Max Ophuls (la composizione).
Ma ciò che caratterizza e rende il film appetitoso è la tecnica: le solite scenografie color pastello, i dipinti, le geometrie, i gusti artistici vintage, personaggi sgangherati e l’omaggio a un cinema che non si fa più.
Anche il formato della messa in scena (il ratio) cambia più volte in corso d’opera cambiando a seconda dell’epoca narrata fino a stabilizzarsi per lunghi tratti nel formato “academy” ovvero quello usato nel cinema classico prima dell’arrivo del Cinemascope.
E poi, oltre a tutto questo, c’è un cast artistico galattico anche nei ruoli di contorno: Ralph Fiennes al suo meglio, i premi Oscar Adrien Brody e F.Murray Abraham, i “soliti amici” del regista come Harvey Keitel, Edward Norton, Bob Balaban, Bill Murray e Jason Schwartzman, Tilda Swinton, Tom Wilkinson, Mathieu Amalric, Willem Dafoe, Jude Law, Owen Wilson e le giovani Saoirse Ronan e Lea Seydoux. E poi, nota di merito a parte, l’esordiente Tony Revolori nei panni di Zero (a proposito del suo nome godetevi la scena del colloquio con Gustave).
Ci sarà un motivo per cui tutti questi grandi fanno a gara per partecipare ai suoi film?
Sicuramente perché lo stile di Wes, nonostante i suoi detrattori, è ormai un tocco riconoscibile. Come quello del suo “antenato” Lubitsch che venne coniato con il celebre “Lubitsch’s touch”.
Sarà un caso?
Valutazione: ****
Immagine tratta da: www.creativereview.co.uk