Quello che va in scena è un grottesco affresco di ciò che rimane dei ganster holliwodyani dei primi anni '90, quando Scorsese si riaffermava come regista di successo con una seconda fase mainstream (girando tra gli altri Quei bravi ragazzi). Sempre in quegli anni uscivano le opere di altri registi che dopo gli anni '70 si erano parzialmente eclissati durante gli anni '80 (basti qui citare Il Padrino - Parte III di Coppola, del 1990). In quel periodo Hollywood propone anche i primi film di Tarantino. Secondo i canoni di quel cinema statunitense si forma Luc Besson, capace di affermarsi a livello internazionale grazie a uno stile decisamente poco europeo, che prova a fare con una tradizione hollywodiana quello che Leone aveva ottenuto reinventando il western (senza raggiungerne i risultati).
C'è tutto questo in uno sguardo diventato maturo e ironico, che sorride rispetto al fascino della violenza, rigettando il registro del coinvolgimento emotivo dello spettatore. Quasi un film senile, dove si muovono a proprio agio degli splendidi Tom Lee Jones e Robert De Niro (capaci di trasmettere brividi stando nella stessa inquadratura, con tutte le rughe e gli sguardi che si sono portati dietro in questo nuovo millennio). Quello che funziona meglio è il sempre piacevole cinismo, in parte mescolato a cattiveria, del volto di Michelle Pfeiffer, anche lei capace di portare con immensa dignità il peso degli anni. Forte il contrasto con i giovani figli, così come con il terzo nucleo di attori, quello dei sicari in cerca di De Niro: sono tre tipi di recitazione che si alternano sullo schermo.
Non è la storia di un pentito di mafia che si ritrova in Normandia.
È lo sguardo di un regista francese che rilegge una tradizione cinematografica statunitense attraverso l'assurdo, secondo i canoni hollywodiani. Quello che uno non deve aspettarsi è di ritrovare anche il noir francese, anche se restano suggestive le ambientazioni della Normandia.
Quello che infastidisce i detrattori del film è la facilità con cui si è adattato un romanzo al gusto contemporaneo, rompendo ogni aspetto epico e permettendo a De Niro di chiudere i conti con un genere che gli ha (ci ha) regalato numerose soddisfazioni.
C'è tanta abilità nel saper vendere il prodotto. C'è dietro un'esperienza che in pochi possono vantare con tanta leggerezza. Forse qui sta la qualità più grande di una piccola opera d'arte che sa collocarsi da sola, e in modo relativamente autonomo, in un universo spazio-temporale. Non è la ricerca di un capolavoro. Besson e Scorsese hanno già dimostrato cosa sono in grado di fare. Riescono a dimostrare di saper anche riflettere su se stessi, giocando sul difficile confine tra il grottesco e la commedia.
Una serenità che accompagna un secondo sbarco in Normandia, quella della mafia italo-americana in terra francese (con tanto di agenti federali al seguito).
L'estremo reso verosimile, con due grandi autori che sanno regalare al pubblico di chi ama il cinema quasi due ore di affascinante disincanto.
[Voto 7 su 10]
Malavita, USA, Francia 2013, commedia, durata 111', regia di Luc Besson