Lunedì, 02 Aprile 2018 00:00

Annientamento (delle aspettative)

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Annientamento (delle aspettative) 

Un misterioso e inquietante “bagliore” ha inglobato un’area di una riserva naturale, impedendo le comunicazioni tra interno ed esterno, e si sta progressivamente allargando. Non si sa cosa ci sia e cosa accada all’interno della zona, soprannominata Area X; ma si sa che, di tutte le squadre inviate ad esplorarla per conto di una missione militare segreta, soltanto un uomo ha fatto ritorno, in circostanze oscure.

Queste le premesse di Annientamento (Annihilation), diretto da Alex Garland (Ex Machina) e tratto dall’omonimo romanzo di Jeff VanderMeer (che la scrivente non ha letto, perciò vede il film esclusivamente come opera autonoma). Girata pensando alla distribuzione nei cinema, la pellicola è stata alla fine venduta a Netflix e lanciata unicamente su streaming online a fine febbraio, temendo che proporla nelle sale fosse una scommessa troppo audace. Annientamento si propone in effetti come un’opera che intreccia radicalmente fantascienza e un’immersione nelle profondità più oscure della psiche umana, portando l’esterno all’interno e l’interno all’esterno; le aspettative con cui ci si appresta a guardarla sono inevitabilmente alte. Stando a Rotten Tomatoes le aspettative sarebbero soddisfatte, quindi forse dovreste fare a meno di leggere questa recensione.

Sotto il comando della psicologa Ventress (Jennifer Jason Leigh), una squadra di scienziate si addentra nell’Area X nell’ennesima missione esplorativa: la paramedica Anya Thorensen (Gina Rodriguez), la fisica Josie Radek (Tessa Thompson), la geomorfologa Cass Sheppard (Tuva Novotny) e la biologa Lena (Natalie Portman), moglie dell’unico sopravvissuto. Il commendevole sforzo di rappresentazione delle donne e della diversità s’incrina non appena il dialogo cade nella tentazione di sottolinearlo («Tutte donne,» / «Tutte scienziate.» – nel caso di un gruppo di scienziati composto di soli uomini, avremmo assistito questo scambio? Excusatio non petita.), evocando l’elefante nella stanza e tradendo l’affettazione dell’operazione; per poi arenarsi contro un’altra secca di stereotipi: la psicologa ambigua, la paramedica latina sanguigna, la fisica introversa, la geomorfologa pragmatica, la biologa sentimentale. Seriamente? Se tutte le interpretazioni risultano convincenti, infatti, solo quella di Portman buca lo schermo e lascia il segno; forse perché solo il personaggio di Lena è sviluppato a tutto tondo, mentre gli altri rimangono ridotti a maschere sacrificabili.

Tutte le donne della squadra sono armate fino ai denti; ma solo la biologa, che ha un passato nell’esercito, sa sparare. Le conseguenze nell’intreccio sono inevitabili (e, in questo caso, non evitate); ma questo ed altri dubbi presupposti della missione (perché non mandare in esplorazione un lander anziché delle persone?) e dell’antefatto, più che ad un alone di mistero, contribuiscono ad uno sgradevole sospetto di trascuratezza nella produzione – quando sarebbe bastata una battuta ad inquadrarli nella narrazione. Questa impressione di indecisione, di oserei ma non oso, accompagna tutto il film; e, per quanto ci si impegni, risulta difficile autoconvincersi che si tratti di deliberata ambiguità stilistica.

Echeggiano situazioni e temi classici della fantascienza, come anche di Cuore di Tenebra e Apocalypse Now: la perdita dei contatti con la società e lo smarrimento dell’identità in una natura percepita come ostile, la riscoperta di un’identità feroce tanto indesiderata quanto impossibile da sopire; all’interesse delle citazioni non si accompagna tuttavia una risemantizzazione altrettanto interessante. L’annientamento del titolo, da tratto centrale della psiche umana nella sua tendenza all’autodistruzione (teoria potenzialmente affascinante subito abbattuta dall’esemplificazione con fumo e alcol), si riflette nel rapporto tra i personaggi e la natura: nell’Area X le specie viventi si incrociano e mescolano le une con le altre, la materia organica si trasforma in inorganica e viceversa, in una parata di costanti mutazioni, favolose e terrificanti.

Parallelamente all’avanzare del cancro di uno dei personaggi, il bagliore si allarga con la sua opera distruttiva del mondo così come lo conosciamo; le identità svaniscono e le menti si disgregano, così come i corpi, perdendosi nel cambiamento. La volontà di vita e di trasformazione della natura, forse espressione di un intervento alieno, si scontra con la volontà umana di (auto)distruzione; ma l’una ha bisogno dell’altra e lo scontro culmina in una fusione, la distruzione prevale e allo stesso tempo la nuova natura sopravvive.

Lo sviluppo del tema si risolve quindi quasi completamente nell’ambientazione. Anche qui abbondano le citazioni, che spesso sembrano strizzare l’occhio ad un immaginario dell’estremo Oriente; tutte al loro posto ma quasi troppo fitte: dalle mitologiche bestie dalla voce umana ai cervidi dalle corna fiorite; corpi umani mutati in mille altre forme che potrebbero essere usciti da Evangelion; animali con la parte frontale del cranio esposta, come se indossassero una maschera, che non possono che fare un certo effetto a chi è cresciuto (e invecchiato) con Bleach.

Si compongono così scenari favolistici (più che fantascientifici), accompagnati da una puntuale colonna sonora cullante e stordente, che costituiscono la parte veramente riuscita del film e sono forse il maggiore sacrificio allo streaming: si sente acutamente la mancanza del grande schermo. Della fantascienza, in ogni caso, c’è molta fanta- ma nessuna -scienza: le scienziate nella squadra riescono a formulare poco più che un paio di osservazioni, alcune che non richiedono titoli superiori alla quinta elementare, altre prive di senso – benché dalla fantascienza sia lecito aspettarsi che prenda le mosse da tecniche o leggi scientifiche reali e basi su queste sviluppi fantasiosi, dandosi una fondamentale coerenza interna e permettendo allo spettatore di sospendere l’incredulità.

Annientamento sembra così perdersi nell’indecisione sul carattere da assumere: il tentativo di spiegazione scientifica del fenomeno, oltre che buttato lì senza speranze di convincere o soddisfare, cade fuori luogo; meglio sarebbe stato assistere impotenti al mistero, optando più convintamente per il fiabesco e scivolando nel punto di vista allucinato dei personaggi – ovvero scommettere di più sui punti di forza della produzione, abbandonando senza timore i canoni del genere.

 

Immagine ripresa liberamente da electricliterature.com

 

Ultima modifica il Martedì, 27 Marzo 2018 11:09
Silvia D'Amato Avanzi

Studia scienze naturali all'Università di Pisa, dove ha militato nel sindacato studentesco e nel Partito della Rifondazione Comunista. Oltre che con la politica, sottrae tempo allo studio leggendo, scribacchiando, scarabocchiando, pasticciando, fotografando insetti, mangiando e bevendo.

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