Mercoledì, 17 Luglio 2013 00:00

Pacific Rim - Un cult annunciato

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"Ci sono cose che non puoi combattere - cause di forza maggiore. Vedi un uragano in arrivo, ti levi di mezzo. Ma quando sei in uno Jaeger puoi finalmente combattere l'uragano. Puoi vincere"

I visionari sono quelli come Bergman, ma anche quelli come Del Toro. L’immaginario comune occidentale è una spugna di robot, dinosauri giganti, effetti speciali e personaggi stereotipati, ben rappresentata nelle due ore abbondanti di questa pellicola.

Pacific Rim esaurisce la trama in pochissimi minuti, con tanto di didascalia in apertura a spiegare chi sono i cattivi e chi i buoni. Kaijū, termine giapponese per indicare i mostri alieni che devastano la Terra. Jaegers, parola tedesca per indicare i macchinari che l’uomo ha inventato per difendersi a suon di cazzotti e scontri fisici diretti. Il regista (che è anche co-sceneggiatore, insieme a Travis Beacham, autore del soggetto iniziale) si diverte come un bambino con un nuovo giocattolo, passando sul corpo della sceneggiatura senza troppi pensieri (solo delle persone tristi possono seriamente criticare film del genere per la mancanza di senso di alcuni particolari). C’è una scena in particolare (ma è bene non svelare nulla con descrizioni particolari) in cui viene da alzarsi in piedi e urlare, applaudendo, “alabarda spaziale”.

La forza del film è nella potenza visiva, che è un affresco di particolari in cui perdersi per giornate intere. Dai nomi dei robot alle loro armi, passando per la conformazione dei vari mostri invasori: niente è originale, ma nulla di simile ha mai raggiunto questo livello di tecnologia ed efficacia. Se Hollywood si avvia davvero verso la decadenza, come teorizzato recentemente da Lucas e Spielberg, Pacific Rim è una delle vette più alte di spettacolo concepibile. Nessun impegno, nessun messaggio profondo. L’umanità si difende sull’orlo dell’apocalisse, con un gruppo di eroici piloti di robot (di ogni colore e nazionalità).

Del Toro mancava dalla regia in prima persona da ormai cinque anni. L’ambizione sembra essersi gonfiata con lo scorrere dei mesi, pari ai milioni di costo. Qualcuno ha storto il naso per la molta pubblicità e il trailer lanciato rende poco onore alla qualità della pellicola. In realtà, lasciando da parte ogni pretesa, accettando di vedere quello che è puro intrattenimento, si esce dalla sala quasi tramortiti. La colonna sonora di Ramin Djawadi (già dietro Il Trono di Spade e Iron Man, tra gli altri titoli) aiuta a cancellare ogni legame con il mondo reale, immergendosi completamente nel colossal adatto tanto ai nerd quanto ai neofiti del genere.

Non spicca la recitazione, ovviamente, ma non è richiesto dal tipo di film in questione. L’unica ovvia eccezione è quella di Ron Perlam (già Hellboy), che ricorda a tutti perché Del Toro ha avuto la possibilità di accedere a risorse così ampie.

Un’ottima consolazione per chi ancora non si è ripreso dalla decisione che tolse a Del Toro la regia de Lo Hobbit.

Non si rischia niente, così come niente è stato rischiato dagli sceneggiatori e dagli attori: è un piccolo gioiello “garantito”, non un capolavoro. Senza sorprese, ma archetipi e luoghi comuni, per uscire sazi, più che stuzzicati.

Con la soddisfazione di aver visto il mondo salvato da robot giganti.

Ultima modifica il Mercoledì, 17 Luglio 2013 09:03
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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