Il 2018 è stato un anno ricco di anniversari storici in Europa, spaziando da Marx alle tristi memorie della Prima guerra mondiale. Alcuni di questi anniversari, inoltre, per una singolare congiuntura della Storia con la s maiuscola, risultano collegati gli uni con gli altri; e danno l'opportunità a noi che viviamo in questa strana epoca di volgere uno sguardo al passato.
In Europa le celebrazioni per il centenario della conclusione della guerra mondiale sono state composte di due filoni: il tributo ai sacrifici della popolazione mobilitata, al fronte, nelle retrovie o nel fronte interno, e il ribadimento della scelta europeista come via che ha garantito e sola potrà garantire la pace nel continente.
Spesso le scoperte scientifiche sono finanziate e finalizzate per scopi bellici anche se la scienza, nella sua essenza profonda, non dovrebbe essere uno strumento di morte.
Luigi Vinci dal numero cartaceo di Novembre
Lenin e la guerra
Il luglio del 1914 segna uno spartiacque storico: la guerra sconvolge l’Europa, ne spiazza il movimento operaio, che si era illuso di impedirla, lo rompe, determina un cambiamento radicale nella riflessione, negli orientamenti, nel comportamento delle sue correnti. Il movente scatenante della guerra fu l’attentato di Sarajevo da parte di un irredentista slavo-meridionale, che uccise l’erede al trono d’Austria-Ungheria e la moglie di questi. Il motivo politico sostanziale fu la tendenza espansionista delle maggiori potenze europee, cui si aggiungevano irredentismi italiani e una pluralità di irredentismi slavi che mettevano a repentaglio la tenuta austro-ungarica. Il motivo strutturale consistette nei mutamenti sostanziali del capitalismo. Nel corso della “lunga depressione” 1873-95 esso aveva generalizzato processi di gigantismo industriale, formazione di trust, integrazione tra finanza bancaria e industria, intervento anche finanziario dello stato nella in sede di politica industriale e infrastrutturale, ma anche nuove classi medie ggressivamente
Intervista allo storico Pietro Purini a cura di Roberto Capizzi uscito sul mensile di Novembre
Trieste maledetta
Storicamente eterogenea dal punto di vista etnico, ed al centro di un impero crogiuolo di lingue e popoli diversi, può descriverci la composizione etnica di Trieste prima della Prima Guerra Mondiale?
Fino al 1914 Trieste era una città estremamente dinamica e composita nazionalmente. Con 243.000 abitanti era la quarta città dell'Impero dopo Vienna, Budapest e Praga; l'accrescimento medio di popolazione era di 5.000 abitanti l'anno. Gli immigrati provenivano da tutta l'Austria Ungheria (soprattutto da Istria, Slovenia, Dalmazia, Carinzia, Stiria, Boemia), ma anche dall'Italia (Friuli, Veneto, Puglia) e dall'intera Europa. In città erano presenti comunità greche, serbe, croate, ceche, ebraiche, svizzere, tedesche luterane, armene, turche, nonchè circa 35-40.000 "regnicoli" italiani, lavoratori provenienti dall'Italia che però non avevano la cittadinanza austriaca, quelli che al giorno d'oggi definiremmo "gasterbeiter". La popolazione dunque era estremamente variegata: per citare i soli gruppi più grandi, nel censimento del 1910 il 64% dichiarò che la propria lingua d'uso era l'italiano, il 25% lo sloveno, il 5% il tedesco e poco meno dell'1 % il serbocroato. In realtà la lingua d'uso non era un criterio preciso per definire quale fosse la nazionalità dei censiti: in una città di forte immigrazione era possibile che neoimmigrati di madrelingua slovena, croata, tedesca o ceca, dessero come propria lingua d'uso l'italiano semplicemente perchè quella (o meglio: il dialetto triestino) era la lingua che usavano sul posto di lavoro. Inoltre i rilevatori del censimento erano funzionari del Comune di Trieste, controllato del Partito liberal-nazionale (gli irredentisti favorevoli all'Italia): è quindi probabile che i risultati di questo censimento siano comunque sbilanciati a favore della componente italiana.
È possibile raccontare la Prima Guerra Mondiale togliendosi gli occhiali della retorica? Di ogni retorica?
È ciò che hanno provato a fare i due giornalisti Valerio Gigante e Luca Kocci e lo storico Sergio Tanzarella nel loro “La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla Prima Guerra Mondiale” (Dissensi, 2015, 162 p., € 13,90).
Nella Guerra di posizioni.
Il 24 maggio 1915 l’Italia, con una mossa strategica (?) decise che era arrivato il momento di entrare in guerra sostenendo e partecipandovi con la storica triplice intesa.
Era il tramonto della belle epoque, una sorta di Pax augustea in salsa primo-novecentesca, era il periodo delle prime vertenze sociali; la Cgil era nata nel 1906, i movimenti dei lavoratori si affacciavano prepotentemente sotto la bandiera socialista e in Russia era stata repressa nel sangue la rivolta del 1905 dopo la Domenica di sangue del Gennaio 1905 a Pietroburgo, preludio della futura rivoluzione bolscevica.
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