Un libro destinato a far compagnia a quei pochi altri testi ed a quelle pochissime pellicole che hanno raccontato quel conflitto per ciò che era, togliendo al grande massacro europeo le coccarde tricolore, spegnendo le sirene della “guerra inevitabile” e facendo tacere le declamazioni poetiche sulla - ipotetica - “quarta guerra d'indipendenza”.
“La grande menzogna” scava invece tra le truffe, i soldati caduti, le vittime civili, i costi enormi del conflitto e la corruzione: una gigantesca corruzione.
L'entrata del nostro Paese nel Primo Conflitto venne infatti spinta (“oliata”) con forza da gruppi capitalistici dell'industria pesante, legati per l'approvvigionamento delle materie prime alla Francia e soprattutto all'Inghilterra.
Gruppi industriali che avevano necessità, per espandersi, di ricevere regolari commesse dall'esercito italiano, e che, tramite i loro giornali orientarono l'opinione pubblica italiana. Aziende che ingrasseranno in un mare, in un oceano, di sperperi e malversazioni: “mentre un’intera nazione era scaraventata in una guerra mostruosa, centinaia di migliaia di italiani erano mandati a morire e attraverso una propaganda mistificante si costruiva l’idolo di un patriottico eroismo di cartapesta, le classi dirigenti e gli alti comandi lucravano e rubavano senza ritegno agitando le nuove mitologie nazionali: la bandiera, l’onore sul campo di battaglia, il valor militare e lo sprezzo del pericolo del soldato italiano, il culto dei caduti. Fu una corruzione sistemica e capillare tanto ignobile quanto totalmente impunita”.
Una guerra evitabile, che portò conquiste in larga misura discutibili e raggiungili per altre vie (l'Austria, in difficoltà, aveva promesso ampie concessioni riguardanti le aree italofone).
Una guerra a cui si giunse anche per il contribuito multiforme di intellettuali, esponenti di tendenze tra loro diversissime: dagli interventisti democratici a quelli “rivoluzionari” fino ai marinettiani, genitori del fascismo.
Sono questi ultimi i più preoccupanti. Generatori - in buona compagnia - di un clima di “esaltazione acritica della guerra e della violenza e della brutalità, contro la democrazia e il parlamentarismo, simboli di decadenza e corruzione”.
Questo breve saggio fornisce un piccolo contributo, oggi - a cento anni da quegli eventi - quanto mai necessario, per costruire e far sedimentare una diversa narrazione storica. Una narrazione da interiorizzare nella nostra coscienza nazionale e che ci aiuti a ricondurre quegli eventi alla loro dimensione umana: facendo luce sulle ombre e sporcando un poco i bianchi marmi di Redipuglia con il sangue dei tanti disgraziati che lì hanno preso la loro ultima casa.