Mercoledì, 03 Dicembre 2014 00:11

Che cosa è il piano Juncker

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Il governo Renzi ci inonda ogni giorno di dichiarazioni entusiastiche sul piano Juncker, che, ci viene detto, consiste di 315 miliardi complessivi di euro di investimenti dell’Unione Europea, a partire da giugno 2015 e che dureranno un triennio. Ma Il Sole 24 Ore ha titolato che di 21 miliardi di euro in realtà si tratta, la Repubblica ha sollevato dubbi sul realismo del passaggio, attraverso vari meccanismi, da 21 a 315 miliardi, e lo stesso scrivono più media europei, tra i quali Le Monde.

Che cosa è, allora, il piano Juncker. I miliardi effettivamente messi a disposizione da parte UE sono 21: 5 della Banca Europea di Investimenti, 16 della Commissione Europea. Sono cifre di una esiguità assoluta. D’altra parte riflettono gli “austeri” orientamenti europei di sempre in fatto di spesa pubblica, sia essa dei paesi membri o della Commissione. La BEI dispone di scarse risorse, poiché gli azionisti, i 28 paesi che compongono l’UE, non sono in grado di ricapitalizzarla. La Commissione gestisce poco più dell’1% del PIL europeo, che è dato da rimesse dei paesi membri. È questa realtà ad avere sempre impedito all’UE di praticare adeguate politiche di investimento, anche dopo averle messe sulla carta (alludo al piano Delors e al Trattato di Lisbona, falliti). Come succede, allora, che da 21 si passi a 315.

Ciò dovrebbe avvenire tramite una serie di operazioni finanziarie e politiche e a un cosiddetto effetto leva, o leverage. I 21 miliardi, cioè, non verranno consegnati ai paesi membri, sulla base di loro impegni di investimento certificati come validi dalla Commissione, bensì entreranno in un fondo apposito da essa gestito: il Fondo per gli Investimenti Strategici (FEIS). Operando come una banca il FEIS potrà prestare, ipotizza il piano Juncker, fino al triplo dei suoi 21 miliardi, cioè sino a 63 miliardi. Sarebbero quindi 63 miliardi a operare lungo tre anni in sede di investimenti industriali, infrastrutture, tutela del territorio o del patrimonio storico, ecc.; mentre, per coprire i 252 miliardi che mancano a fare 315, ci si rivolgerà fondamentalmente a investitori privati (a grandi gruppi industriali, grandi gruppi bancari, fondi di investimento, fondi pensione, ecc.). Però, perché investitori privati di tale natura dovrebbero essere disponibili, in tempi grami come gli attuali, al finanziamento di tali tipologie di investimento? Di tipologie di investimento, cioè, dalle quali si tengono ben lontani? Dal lato del piano Juncker si spera che l’esistenza stessa del FEIS rassicuri gli investitori privati sia dell’inesistenza sostanziale di rischi che della remunerabilità a livelli adeguati degli investimenti. In altre parole, la Commissione spera che gli investimenti realizzabili dal FEIS riescano a mobilitare 252 miliardi di investimenti privati. Da 63 miliardi immediatamente possibili si giungerebbe così a 315; 315 diviso 63 fa 5; il leverage sperato dalla Commissione è dunque 5: un leverage altissimo, probabilmente irraggiungibile, dati i tempi politici oltre che economici, come scrivono i media più avvertiti.

Va aggiunto che i paesi membri non hanno alcun obbligo da parte del piano Juncker di partecipazione al FEIS con propri denari. Tuttavia la Commissione Europea intende incitare i paesi membri, a partire da quelli dell’eurozona, nel senso di questa partecipazione, al fine dell’incremento dei 21 miliardi messi nel FEIS dalla Commissione. In cambio di questa partecipazione le cifre messe nel FEIS da paesi membri c’è che non saranno conteggiate nei loro deficit pubblici.
Come verranno selezionate le opere sulle quali investire. Verrà costituito un gruppo di lavoro composto da rappresentanti dei 28 paesi UE, che appronterà una lista di progetti “prioritari”, mentre saranno Commissione e BEI a decidere quali davvero finanziare poiché “strategici”, quindi i più promettenti in sede di redditività, effetti occupazionali, rapidità di realizzo, validità su scala anche sovranazionale. Non ci saranno invece quote di assegnamento degli investimenti relativamente ai vari paesi. Ma è ovvio, giova aggiungere, che si scateneranno pressioni che finiranno col premiare i paesi più “credibili”, magari perché più attivi sul piano dell’“austerità”.
Accanto a quest’inconveniente ce ne sono altri due. Primo. I progetti che il FEIS finanzierà saranno quelli più a rischio di buona redditività o addirittura di fallimento, come segnala il fatto di non interessare gli investitori privati. Quindi da parte del FEIS si rischia di trovarsi a coprire perdite private, inoltre dovranno essere definiti alti rendimenti. Secondo. Il fatto che le risorse del FEIS vengano dalla Commissione implica la riduzione della sua spesa in programmi sociali e riguardanti l’agricoltura.

Una previsione? A parere dei media più seri, non funzionerà, esattamente come in passato, i cui analoghi tentativi furono peraltro meno complicati, in cui la crisi non c’era e di denari ce n’erano di più. Ma anche se funzionerà c’è che il piano Juncker pone cifre irrisorie, guardando a quanto necessario per uscire dalla crisi economica e sociale europea.

Ultima modifica il Mercoledì, 03 Dicembre 2014 10:57
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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