In un anno lei è passato da essere un professore universitario ‘indignato’ a diventare la guida politica di una realtà che, visti i sondaggi, è più apprezzata dei popolari che sono al governo e dei socialisti che sono all’opposizione. Come spiega il successo di Podemos?
Per la situazione eccezionale che ha vissuto la Spagna in questi ultimi anni, dove la crisi economica è diventata crisi politica, e a seguire crisi di sistema. In questo contesto, siamo diventati uno strumento, politico, di cambiamento. Quando il neonato movimento ‘15M’ ha iniziato a denunciare le storture del paese, solo per fare un esempio sui costi della politica, la mobilitazione delle piazze non aveva inizialmente una ricaduta elettorale. Così ci dicevano: «Indignati, andate alle elezioni e vediamo cosa combinate». Ora non lo dicono più.
Non c’è il rischio che un successo così rapido, così come è arrivato, possa svanire in breve?
In politica ci sono sempre dei rischi. Ma noi pensiamo di rappresentare non soltanto il voto degli arrabbiati, anche il ‘voto della speranza’. Perché ci possa essere una vita migliore, più degna di essere vissuta rispetto a quanto hanno sofferto gli spagnoli, e non solo loro, in questi anni della crisi. Vogliamo, come Tsipras, «mobilitare la speranza».
Nell’analizzare il vostro successo e quello di Syriza, un suo collega del Gue-Ngl, il giornalista italiano Curzio Maltese, osserva che i vostri programmi sono connotati da una critica radicale all’Ue ancor più che contro i governi nazionali, considerati ormai come esecutori ‘periferici’ di politiche decise altrove. ‘Tsipras e Iglesias – tira le somme Maltese — dicono che vogliono vincere, e governare, per cambiare le politiche continentali. Gli elettori li premiano’. Che ne pensa?
È una chiave di lettura convincente. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che non è possibile il cambiamento in un paese solo. Si devono fare alleanze in vari paesi per cambiare le cose. Per sfidare un potere così forte come quello che abbiamo davanti, l’Ue dei poteri finanziari delle banche, dobbiamo essere in tanti. Per entrare dove si prendono davvero le decisioni.
Non le sembra che sia proprio il progetto che in Italia ha portato alla nascita del progetto politico dell’Altra Europa, appoggiando la candidatura di Tsipras?
È vero, gli italiani hanno letto in modo particolarmente brillante la situazione. Mentre in altri paesi del sud continentale la protesta si è invece riversata sull’opposizione ai paesi nordici. Con slogan del tipo: «Non vogliamo diventare dei protettorati». E quando i nordici accusano, anche noi spagnoli, di essere gente che non vuole lavorare, io rispondo che non è vero. Perché, dati alla mano, in Spagna lavoriamo parecchio, quando il lavoro c’è. E anche voi in Italia.
Un suo compagno è intervenuto alla discussione sulla crisi delle socialdemocrazie continentali facendo una osservazione semplice e profonda: «Podemos ha successo perché rompe lo schema ormai fittizio destra-sinistra, in un momento storico che invece chiama a scegliere fra la continuità o la rottura».
Anche per rispondere a chi ci dice che siamo i grillini spagnoli, ricordo che noi non abbiamo mai detto di essere né di destra né di sinistra. Io sono di sinistra, è chiaro. Ma per noi destra e sinistra sono, per così dire, metafore che non hanno più aderenza con la realtà odierna. Ma non siamo i grillini spagnoli, anche se li ho conosciuti a Strasburgo e penso che tanti di loro sono ragazzi bravi, con cui è possibile lavorare insieme.
Anche per uscire dall’euro, come loro chiedono?
Secondo me non è possibile uscire dall’euro in questo momento, anche se l’euro è diventato uno strumento di quella egemonia finanziaria che noi contestiamo alla radice. Potremo cambiare le cose, ma solo con governi popolari in Grecia, in Spagna e dovunque avverrà. Ad esempio, in Spagna, se andremo al governo usciremo dalla Nato. Sappiamo che non è per niente facile. Ma io voglio difendere la sovranità del mio paese, non voglio avere soldati stranieri in Spagna.
Qual è la posizione di Podemos nei confronti delle spinte indipendentiste, nei Paesi Baschi come in Catalogna?
Premesso che votare è sempre una cosa importante, posso rispondere che i cittadini devono avere il diritto a decidere su tutte le cose, dall’economia ai diritti sociali. Anche sulle questioni territoriali. Però penso che la Spagna sia un paese di nazioni, e che i problemi si risolvono con la democrazia. Personalmente, non voglio una Catalogna fuori dalla Spagna.
Come giudica Matteo Renzi?
Un bravo comunicatore. Ma c’è tanta differenza fra quello che dice e quello che fa. Anche lui, ha spinto per l’elezione di Juncker. E da voi sta facendo una trattativa con Berlusconi per escludere le altre forze politiche. Non ha fatto nulla per dire ai poteri finanziari, a Wall Street, che lui è dalla parte dei cittadini. Penso che il politico italiano più felice di Renzi sia Silvio Berlusconi.
Intervista pubblicata su Il manifesto di giovedì 20 novembre 2014