Coutinho è un autore che ha iniziato, nel 1964, un documentario dedicato alla lotta del Movimento dos Trabalhadores Sem Terra (il Movimento dei lavoratori rurali senza terra) per la riforma agraria, attraverso il racconto di una donna, Elizabeth, che ha visto il marito, João Pedro Teixeira, leader contadino dei Sem Terra, assassinato nel 1962. Avendo dovuto interrompere le riprese in seguito al golpe che ha portato i militari al potere in Brasile nel 1964, Coutinho è andato, dopo la caduta del regime, nel 1984, a cercare le persone che aveva intervistato 20 anni prima. Il risultato è stato il documentario unico nel suo genere Cabra marcado para morrer, che è stato anche il primo di una lunga serie di documentari che Coutinho ha girato fino alla sua morte, avvenuta a febbraio 2014.
È difficile parlare di un autore come Coutinho, subito dopo aver visto solo alcuni dei suoi documentari, in un articolo che ha dei limiti di spazio e richiede anche tempestività nell’essere scritto. Lo è nella misura in cui lo ritengo un autore estremamente ispiratore per il mio modo di intendere il giornalismo e il cinema documentario. A volte ci sono degli autori che aspettano di essere scoperti, che vengono incontro al percorso che si fa nel corso degli anni ed è stato questo quello che mi è successo non appena ho visto Edifício Master, il primo film proposto nella retrospettiva della Mostra. Rimane quindi il proposito di approfondire la conoscenza di questo autore e della sua opera (Coutinho ha anche lavorato molto in televisione e ad altri progetti sia di cine giornalismo che di fiction), soprattutto il suo cinema de conversa che ha caratterizzato gli ultimi 15 anni della sua attività. A partire da Santo Forte, del 1999 e passando per Babilonia 2000, fino a Peões, sulla campagna elettorale di Lula, amico personale del regista, e per i più recenti Jogo de Cena e As canções, tra gli altri, che segnano un cambiamento nella sua opera. Quello di Coutinho è un modo di intendere il documentario in chiave sociale e politica ma anche di indagare le dinamiche misteriose del rapporto che si può istaurare tra intervistatore e intervistato, in una messa in discussione continua dei concetti di oggettività e autenticità.
Coutinho, che nella sua opera ha affrontato molte storie di violenza familiare, ha trovato la morte all’inizio di quest’anno per mano di suo figlio, che soffrirebbe di problemi mentali. Molte delle persone comuni che Coutinho ha intervistato lungo gli anni hanno reso omaggio al regista dopo la sua morte. Con l’auspicio che il cinema di questo autore conosca una diffusione anche in Italia racconto brevemente ai lettori i film della retrospettiva che ho visto alla Mostra do cinema da America Latina di quest’anno.
Edifício Master è un film del 2002 composto da una serie di interviste agli abitanti di alcuni dei 276 appartamenti di un grande palazzo di 12 piani. Il regista e i suoi collaboratori hanno affittato per un mese uno degli appartamenti e hanno girato le interviste per una settimana. Il film non esce dal grande edificio e passa da un appartamento all’altro; l’esterno, la spiaggia di Copacabana, un quartiere molto bello di Rio de Janeiro, è inquadrato solo per un attimo ad inizio del film e per tramite delle telecamere della sicurezza. È uno sguardo inedito su uno dei quartieri cartolina di Rio de Janeiro, che viene raccontato attraverso le storie degli abitanti del palazzo.
Jogo de Cena è un film del 2007 che, a partire da un annuncio sul giornale, raccoglie le interviste di 23 donne, che poi sono state interpretate da altrettante attrici. Coutinho monta il film alternando le interviste vere e le interpretazioni delle attrici, a volte giustapponendole, a volte intrecciandole, lasciando allo spettatore il dubbio su quale delle due sia vera, a volte svelandolo a volte no. Il risultato è un film che ci fa riflettere su cosa sia la verità e cosa la finzione. D’altra parte la stessa memoria di una persona rielabora il proprio vissuto: che cos’è dunque l’autenticità? E che cosa accade quando un attore rivive il vissuto di un’altra persona? Che differenza c’è per un attore nell’impersonare un personaggio fittizio rispetto a uno reale, dovendo fare i conti in quest’ultimo caso con la “realtà altrui”, che rimane irraggiungibile? Sorgono tutte queste domande se si guarda il film, ma allo stesso tempo il dubbio di inautenticità che accompagna le storie finisce per catturare ancor di più lo spettatore, per dare ad ognuna di esse una dimensione che va oltre il particolare e per suscitare un pieno e consapevole senso di commozione.
In Eduardo Coutinho, 7 de Outubro invece è “l’intervistatore”, Coutinho stesso, ad essere intervistato. Questo film, di Carlos Nader, proiettato in chiusura della retrospettiva, è stato realizzato nel 2013, pochi mesi prima della morte di Coutinho ed è, in qualche modo, un testamento del suo particolare modo di fare cinema. Coutinho spiega a Nader che crearsi una prigione, una struttura chiusa in cui il film debba rimanere ingabbiato, è una cosa che, paradossalmente, finisce per dargli una grande libertà. Molti sui film hanno questa struttura chiusa, abbiamo già parlato di Edifício Master ma possiamo prendere come esempio il film O fim e o principio: il regista parte con la sua troupe alla volta di una città dello stato brasiliano di Paraíba, senza nessuna regola previa, ma solo con l’intenzione di trovare dei narratori, delle persone disposte a raccontare la propria storia. Coutinho spiega anche che nei suoi film non ci sono quelli che tecnicamente si chiamano “piani di copertura”, che generalmente vengono utilizzati per coprire i tagli che vengono effettuati quando si monta il girato di un’intervista. I tagli non vengono “coperti” e così le domande dell’intervistatore non vengono eliminate come accade nella maggior parte dei documentari. “È il non finito, il difettoso che mi attrae” spiega il regista. Come le più importanti interazioni umane, l’intervista per Coutinho deve avvenire a breve distanza, perché è questo lo spazio in cui “ci si uccide o si fa l’amore, in cui avviene tutto quello che può accadere tra due persone”. Molte interviste televisive o cinematografiche, a differenza di quelle del regista brasiliano, sono invece riprese con il teleobiettivo, per evitare la deformazione che gli obiettivi “corti” portano all’immagine o per creare uno sfocato migliore sullo sfondo. Le interviste di Coutinho avvengono quasi sempre con persone sconosciute, intervistare un personaggio pubblico o una persona che si conosce cambierebbe il modo in cui l’intervista viene condotta, l’intervistatore si aspetta già alcune risposte e l’intervistato si prepara mentalmente alle possibili domande. È accaduto ad ognuno di provare la sensazione che è più facile raccontare qualcosa di se stessi che si custodisce come un segreto a uno sconosciuto piuttosto che a una persona che si conosce bene. Nella spontaneità di queste interviste può accadere qualcosa di imprevisto, e imprevedibile è anche il sopraggiungere dell’emozione e del pianto: alcuni intervistati si sorprendono e si domandano perché proprio in quel momento quel particolare ricordo gli abbia suscitato nostalgia o commozione e non sanno spiegarselo.