Un provincialismo ampiamente profuso negli allarmati articoli comparsi sulla rete, e non solo, sul “golpe antidemocratico” in preparazione nel collegio elettorale ai danni di Donald Trump, amplificato al massimo dal corollario di commenti postati (si dice così?) dai vari Nando Mericoni nell’intervallo fra un tuffo nella marana e la distruzione di un piatto di macaroni. In un articolo precedente (leggi qui) si è cercato di dimostrare come l’ipotesi fosse tutt’altro che impossibile e perfettamente costituzionale, ma improbabile sul piano strettamente politico.
Lo ripetiamo e lo sottolineiamo: il presidente degli Stati Uniti d’America non è eletto direttamente dal popolo. La prova di questa asserzione ce la forniscono gli stessi risultati elettorali, se il presidente fosse eletto direttamente dai cittadini, la Clinton e non Trump sarebbe il prossimo inquilino della Casa Bianca, avendo la democratica ricevuto 2.865.075 voti popolari in più del candidato repubblicano. Non è la prima volta, è già accaduto nel 2000, nel 1888, nel 1876 e nel 1824.
Per la Clinton poi si tratta della seconda volta, nelle primarie democratiche del 2008 ottenne circa 400 mila voti più di Obama, ma quest’ultimo prevalse nei caucus (riunioni di partito) a cui parteciparono 574 mila elettori contro i 37,4 milioni delle primarie, ottenendo la candidatura prima e poi la presidenza. Il sistema politico americano tutt’altro che privo delle contraddizioni, dei contorcimenti e dei barocchismi solitamente attribuiti a quello italiano, anzi questi aumentano quanto più il nostro sistema si orienta all’imitazione di quello d’oltreoceano. Comunque il voto dei grandi elettori si è svolto senza eclatanti sorprese, sono stati solo 7 quelli che hanno espresso un voto difforme, più sul fronte democratico (5 elettori) che su quello repubblicano (2 elettori).
Nel Texas due grandi elettori repubblicani hanno votato uno per John Kasich e un per Ron Paul; nelle Hawai un grande elettore democratico ha votato per Bernie Sanders, infine nello stato di Washington quattro elettore democratici hanno dato difforme: uno a Faith Spotted Eagle (letteralmente Fede di Aquila Chiazzata, chiamato anche Pietra in Piedi) attivista della nazione Sioux e ben tre a Colin Powell, già Segretario di Stato con Bush padre e prominent repubblicano. Forse in quest’ultimo voto c’è un accenno (ma solo un accenno) al tentativo di eleggere un repubblicano politically correct al posto di Trump, ma se questo tentativo non è stato il frutto della velleità di tre grandi elettori, è stato davvero mal condotto e peggio eseguito.
La stessa agitazione, fuori tempo massimo, delle intromissioni di Putin nella campagna presidenziale lascia il tempo che trova; se gli elettori repubblicani non sono stati convinti dalle rivelazioni sui commenti sulle donne di Trump, non si vede come possano esserlo da quelle sugli hacker russi, oltretutto ininfluenti ai fini del risultato come è stato ammesso dagli stessi che hanno rivelato la notizia.
La vittoria di Trump è il frutto del fiuto politico e della capacità del magnate di New York di interpretare i rugli di pancia dell’America profonda;, ma lo è altrettanto del fallimento di Obama e della senescenza di un sistema politico pensato più per assicurare l’elezione di un commander in chief, che un governo del popolo, con il popolo, per il popolo.
Ma su questi temi ritorneremo con altri articoli.