Lo scenario si fa sempre più problematico. Le ore di lavoro sono, a oggi, portate a 40, la CGTP intende riportarle a 35. Il sistema pubblico sta venendo a poco a poco smantellato; sono previste, infatti, riduzioni degli stipendi dei dipendenti pubblici anche per chi guadagna 600 euro mensili. L’età minima per accedere alla pensione si allontana: dal prossimo anno potrà andare in pensione solo chi avrà compiuto 66 anni; è confermato l’aumento dell’iva al 23%. Tagli, inoltre, al settore pubblico sanitario.
La CGTP si sta battendo costantemente in queste settimane autunnali; oltre alla contrattazione sociale, sono costanti gli scioperi dei lavoratori del settore trasporti e dei dipendenti pubblici. Non c’è da stupirsi se il numero dei manifestanti sta crescendo sempre di più. Il sentimento che più si percepisce durante i presidi, le azioni, i cortei è un sentimento che porta con sé tensione e paura, soprattutto tra i giovani che restano in Portogallo.
È sempre più difficile, infatti, osservare ragazze e ragazzi durante le dimostrazioni in piazza, un chiaro segno di come sia ripresa una fortissima emigrazione soprattutto delle nuove generazioni, fenomeno non molto differente da alcune realtà italiane.
Si comprende, inoltre, come non si possa parlare ancora di Europa unita, in Portogallo: il principale sindacato del paese, che a livello di contrattazione si caratterizza ancora per una efficace radicalità negli obiettivi che si propone (si pensi che le lotte, fortunatamente, si fondano soprattutto sulla richiesta di maggiori salari e sulla diminuzione delle ore di lavoro), oltre a richiedere le dimissioni immediate dell’attuale governo di centro destra (PSD) con alla guida Pedro Passos Coelho, invoca una politica per il paese che sia di sinistra (come hanno espresso i cittadini nelle ultime elezioni amministrative) e sovrana. Ciò significa che gli attuali metodi adottati dal vecchio continente in materia di politica finanziaria, di sviluppo, di cooperazione sono stati metodi fallimentari. Piuttosto, si potrebbe parlare ancora di politiche, quelle a livello europeo, che non fanno altro che ripetere vecchie logiche improntante su una Realpolitik di stampo ancora ottocentesco. Sono solo alcuni gruppi di interesse ad avere la meglio, a discapito dei lavoratori europei e dei paesi più deboli. E’ ovvio che è necessario un altro tipo d’Europa, un’Europa che sia giusta, che sappia guardare a una reale distribuzione e produzione della ricchezza, che non si riduca a essere un fantoccio nelle mani del primo paese di turno che riesce a conquistarsi le ultime briciole di ricchezza circolante (la quale si allontana sempre di più dai nostri territori occidentali).
Come parlare di Europa a un popolo che costantemente viene umiliato da misure inique, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista prettamente “tecnico”? È ovvio che il neoliberismo, il quale ha attraversato l’occidente negli ultimi tent’anni, oggi non sa parlare alla maggior parte dell’Europa in crisi. Viene quasi da pensare, osservando realtà a noi così distanti, ma al contempo a noi così vicine, che il sistema attuale non possa continuare a ignorare la cittadinanza che inizia ad agire.
c: un’idea che sta nascendo dalle persone, dai lavoratori, dai precari e dalle nuove generazioni che chiedono risposte ai propri bisogni essenziali, che vogliono garantita la propria dignità e la dignità del loro lavoro. I movimenti che stanno nascendo, parallelamente, nel vecchio continente ne sono la prova.
In Portogallo, nel frattempo, la lotta prosegue soprattutto fra i giovani: “Lutar pelo direito a estudar!”, così si legge sui volantini della Juventude Comunista Portugesa, la quale il 9 e il 10 di novembre festeggia l’anniversario dalla sua fondazione. Cosa chiedono? Non più tagli al servizio pubblico scolastico, finirla con i numeri chiusi e con la limitazione all’accesso nell’università pubblica, più finanziamenti alle borse di studio, che sono stati ridotti drasticamente. Insomma, le misure imposte dalla Troika sono le stesse in molti paesi e l’opposizione, di contro, si organizza e si produce a partire da stessi obiettivi comuni. D’altronde, se i partiti di centro sinistra, in Europa, hanno progressivamente perso la bussola e smarrito il senso del loro ruolo nella società, qualcosa dal basso si continua a produrre. E se si avrà la forza di organizzarsi pian piano a livello sempre più internazionale, forse sarà possibile che questa Europa inizi a cambiare rotta.
Immagine tratta da viriatus15.blogspot.it