È la storia di lavoratori di call center, di artisti, di musicisti, di attori e di operatori sociali, di giornalisti, di artigiani, di commercianti e di ricercatori. Un filo rosso che in un modo o in un altro lega un po’ ogni italiano che ha scelto di continuare ad abitare una terra fortemente colpita dalla crisi.
Tra le altre, ci sono anche quelle persone che in un modo o in un altro si avventurarono a Lisbona già durante il periodo cruciale degli anni settanta, fino alla Rivoluzione dei Garofani. Corrispondenti che raccontarono quell’esperienza e che oggi vivono un paese che cerca di alzare nuovamente la testa contro i diktat della Troika. È la storia di corrispondenti e giornalisti come quella di Riccardo Carucci, una storia da non dimenticare, fatta ieri dalla cronaca oggi dai libri. Una storia, quella degli italiani a Lisbona, fatta anche da attori e ballerini, come quelle di Marco De Camillis e Ronaldo Bonacchi. Un documentario, in via definitiva, in grado di restituire – attraverso le interviste svolte da Daniele Coltrinari, i montaggi di Massimiliano Rossi e la splendida fotografia di Luca Onesti – sensazioni, profumi e dinamicità che quella città restituisce in modo spontaneo. Fattori che, in un modo o in un altro, sembrano rarefarsi nella nostra penisola.
Perché Lisbona? Ci continuiamo a chiedere. Per molti una scoperta, forse per tutti. Le occasioni inaspettate che quella città probabilmente ancora oggi riesce ad offrire sono molto spesso la molla che spinge gli italiani, molti studenti erasmus tra gli altri, a dirigersi verso quella realtà, realtà di rifugi, realtà di assurda speranza. Per tutti però una sorpresa, una rivelazione non senza aspetti negativi, talvolta (i tanti lavoratori dei call center, soprattutto italiani, ne sanno qualcosa). Ma sempre con una consapevolezza: la sensazione riflessa che da quel posto difficilmente ci si riesce a staccare, pur conservando l’atavica nostalgia per il proprio paese. Saudade, un termine che descrive un qualcosa difficile da spiegare: forse davvero una “tristezza consapevole e compiaciuta” come il documentario ci ricorda. Documentario “vero”: forse è l’aggettivo più azzeccato per definirlo; documentario “sentito” da intervistati e da intervistatori.
E poi le critiche possibili, ovviamente, si lasciano al pubblico. In ogni caso da vedere e, se si vuole, da sostenere. Di certo si prende consapevolezza, dopo aver visto il doc, che sono ancora più vere di ieri quelle parole che ricordano la “tristezza consapevole e compiaciuta” di cui anche i versi di Fernando Pessoa restituiscono la portata… Parole che dicono anche Lisbona, che dicono di un luogo ancora ricco di contraddizioni e sentimenti più vari, forse proprio per questo realtà che continua ad essere luogo e rifugio dell’umano… «Un luogo non è mai solo “quel” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso ci siamo arrivati.” La buona visione, ovviamente, è scontata.