Martedì, 26 Novembre 2013 00:00

I droni USA e la pace (da nobel) di Obama

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"Hanno un così bel paese qui, una così bella città. Perché hanno bisogno di rincorrere qualcuno con le bombe nel deserto?".

A dirlo è stato Faisal bin Ali Jaber. Dallo Yemen è arrivato negli Stati Uniti per ottenere una semplice risposta da parte delle autorità a stelle e strisce.

Il cognato, Salem Ahmed bin Ali Jaber, era un religioso yemenita noto per la sua contrarietà al terrorismo. Tre membri di Al Qaeda gli avevano chiesto un incontro per confrontarsi tra posizioni diverse. All'appuntamento Salem si è presentato con il cugino, Waleed Abdullah, un poliziotto di 26 anni. I cinque sono stati inceneriti da un drone statunitense. Un utile episodio per i fondamentalisti islamici.

In Yemen, Pakistan e Somalia sta andando in scena un nuovo capitolo della "guerra al terrorismo" inaugurata dopo l'11 settembre, con la già nota tecnica delle bombe intelligenti e degli obiettivi mirati.

Ci sarebbe una lista della morte stilata da CIA ed esercito USA, approvata da Obama, che i droni stanno provando a sfoltire, senza il coinvolgimento diretto di troppi soldati. Minori implicazioni etiche, maggiore possibilità di passare i fatti sotto silenzio.

Il New York Times riporta alcuni dati: dal 2009 ad oggi, nel solo Yemen, sarebbero state uccise più di 400 persone, tra cui 80 civili, con un picco nel 2012 (270 cadaveri). I mezzi aerei senza pilota partono da una base segreta in Arabia Saudita, di cui si è iniziata la costruzione nel 2009 e che sarebbe attiva dal 2011 (secondo la stampa internazionale).

In Pakistan in questi giorni centinaia di persone sono scese in piazza per contestare le operazioni dei droni, aggredendo anche i camion di rifornimento della Nato. Il paese ha vissuto uno degli episodi più eclatanti nel 2011, quando per errore furono uccisi più di 24 militari pakistani. Nonostante le reazioni indignate anche da parte dei governanti locali, gli USA continuano con la loro campagna anche in quell'area di confine con l'Afghanistan.

Il dibattito attorno all'utilità di questa nuova soluzione attraversa le stesse forze armate, perché il messaggio che viene trasmesso potrebbe rafforzare lo "stereotipo dell'arroganza statunitense che dice 'Bene possiamo volare dove vogliamo, possiamo sparare dove vogliamo, perché possiamo [we can]" (parole del generale Stanley McChrystal, rimosso dalla guida delle forze Nato in Afghanistan dopo un'intervista su Rolling Stone in cui contestava l'amministrazione Obama).

In questo contesto si inserisce la storia di Faisal, che ha deciso di andare direttamente a Washington per chiedere conto dei "danni collaterali" che hanno portato alla morte di suo cognato e suo nipote, impegnati sul fronte "giusto" della guerra al terrore avviata da Bush jr., che molti imbarazzi sta creando alla confusa amministrazione democratica.

Supportato dall'associazionismo pacifista è stato ricevuto anche da alcuni deputati. "Ho imparato due cose. Primo, che gli statunitensi e le loro organizzazioni sono gentili e ben intenzionati, e che i membri del Congresso sono solidali. Ma dall'altro lato, che ci sono politici che sembrano provare a tenere tutto segreto".

Una dichiarazione politicamente corretta e in linea con il cinema di denuncia che anche attraverso Hollywood mostra l'assoluta incoerenza tra i principi declamati dagli USA e le azioni militari dello stesso paese.

Le scuse e l'autocritica non mancheranno. Dopo i bombardamenti e i morti innocenti ovviamente. Basta far passare del tempo e andare per gradi, o accettare che siano seconde linee e la società civile a chiedere scusa.

Obama non può mostrarsi debole; ha già ha molti problemi di consenso interno, anche per la gestione della politica estera in Medio Oriente.

Quindi a Faisal difficilmente arriveranno scuse ufficiali dalla Casa Bianca, così come non sono arrivate al ben più noto presidente dell'Afghanistan, che in questi giorni sta rallentando i possibili accordi per la permanenza delle truppe USA fino al 2024, anche per l'assenza di scuse (e garanzie) da parte di Obama.

In ballo c'è l'accordo bilaterale di cui avevamo già scritto qui. Nonostante il Consiglio afgano abbia già sottoscritto, manca ancora la firma di Karzai, che ha irritato non poco la diplomazia statunitense. "Da questo momento, la ricerca di case da parte degli Americani, il blocco delle strade, e le operazioni militari sono finite, e il nostro popolo è libero nel suo paese. Se gli Americani faranno irruzione in una casa un'altra volta, questo accordo non sarà firmato".

Droni o non droni, l'arroganza USA irrita più che in passato, nonostante il premio nobel per la pace a Obama.

[Da tenere d'occhio anche il Centrafrica, dove si rischia di scrivere un nuovo capitolo sul "pacifismo" di Hollande e Obama]

Immagine tratta da dronewarsuk.files.wordpress.com

Ultima modifica il Lunedì, 25 Novembre 2013 22:24
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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