La prima conseguenza interna del ritiro delle truppe USA dalla Siria, annunciato da Trump, è stata la lettera di dimissioni del generale Mattis, che lascerà la direzione del Pentagono.
I risultati delle elezioni di mid-term consegnano una maggioranza divisa: la Camera ai democratici, il Senato ai repubblicani.
Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti sono un tradizionale appuntamento di verifica per la Casa Bianca. Assumono un particolare significato dopo l'inattesa vittoria di Trump.
Fuori gli USA dal consiglio ONU per i diritti umani
Il 19 giugno l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, Nikki Haley, ha annunciato ufficialmente l’uscita del suo Paese dal Consiglio per i Diritti Umani. La scelta, nell’aria già da diverso tempo, è stata motivata con l’accusa di ipocrisia da parte di un organismo eccessivamente schierato contro Israele e silente invece verso quelli che una volta George W. Bush avrebbe definito gli “Stati canaglia”, che la Haley e il Segretario di Stato Pompeo si sono premurati di elencare (parzialmente?): Iran, Russia, Cina, Cuba, Egitto, Venezuela, Congo.
Verrebbe quasi da sorridere, se la situazione non fosse così drammatica, a ripensare a quanti, in occasione dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, prevedevano un mandato in netta discontinuità con quello di Obama, all’insegna di una politica estera meno invasiva e di un totale interesse per le questioni interne agli Stati Uniti.
La guerra dimenticata: Afghanistan frontiera di un nuovo conflitto tra potenze mondiali
In questi ultimi mesi, il conflitto ripreso con violenza in Siria ha posizionato i riflettori di tutto il mondo sulla mezzaluna costiera del Medio Oriente.
Per quanto feroce sia lo scontro in atto tra l’esercito turco e la resistenza curda, il conflitto è ormai segnato: in Siria è stata adottata la politica del laissez-faire nei confronti delle mire espansionistiche della Turchia, uno degli attori principali e responsabili delle vicende nel teatro mediorientale di questi ultimi anni.
Curdi carne da cannone. Sono i nostri compagni eroici, difendiamoli
Quelle milizie curde e quei loro alleati appartenenti alle varie etnie e religioni della Siria (arabi, siriaci, turcomanni, yazidi, alauiti, ecc.) che hanno per primi sconfitto gli stragisti di Daesh armati e pagati da Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar sono da due giorni sotto attacco, nel loro cantone di Afrin, il più occidentale, da parte dell’aviazione e dell’artiglieria della Turchia. La Turchia inoltre ha dichiarato di voler procedere con l’invasione di terra con suoi carri armati e sue truppe. Inoltre ha dichiarato che suo ulteriore bersaglio è la città di Manbij, liberata a suo tempo dai curdi e da milizie arabe e turcomanne loro alleate e governata da un consiglio democraticamente eletto dalla sua popolazione. Nel frattempo sono già in movimento verso Afrin le milizie delle cosiddette Forze Democratiche Siriane, ostili al governo siriano e alla Russia, composte da tagliagole provenienti dal riciclaggio turco dei vari gruppi islamisti radicali in campo in questi anni, da Daesh ad al-Qaeda ad altri minori. Ad essi viene affidato il compito di rompere la tenuta delle milizie curde e di massacrare la popolazione curda.
La Turchia rivendica la sua azione a nome di un suo diritto a difendersi da minacce lungo le sue frontiere: minacce che non sono mai esistite. In realtà la Turchia occupa un tratto di territorio siriano, spezzando così la continuità del territorio in mano curda. In questo tratto c’è la città di Jarabulus, l’antica Hyerapolis: nella quale ha immediatamente operato a cacciare i curdi, ha portato turchi e turcomanni a essa legati, ha imposto l’insegnamento del turco nelle scuole, la legislazione turca, ecc. Attraverso quest’occupazione le truppe turche risultano collegate al complesso delle formazioni islamiste radicali che occupano l’area della città di Idlib, forniscono a queste sistematicamente armi e mezzi di sostentamento, possono trasportarne i feriti in Turchia ecc. Più in generale, la Turchia guarda alla conquista di Aleppo: la cui realizzabilità dipende dal fatto che la situazione siriana anziché evolvere verso la fine delle sue molteplici guerre ne veda il rilancio massimo possibile. Giova rammentare come il governo turco abbia recentemente dichiarato il ripudio di quel Trattato di Losanna (1923) che ne definì gli attuali confini e come essa ora rivendichi aree in mano greca (alcune isole dell’Egeo, la Tracia greca), in mano siriana (l’area di Aleppo), in mano irachena (l’area di Mosul), nella quale anzi ha recentemente spostato truppe in quattro località.
La Russia dopo l’abbattimento da parte turca di un suo aereo militare aveva collocato suoi soldati nel cantone di Afrin e precisamente sul suo confine turco, ciò che significava l’impossibilità per la Turchia di invaderlo, quindi solo la possibilità (continuamente effettuata) di bombardarlo, soprattutto con l’artiglieria. Appena iniziati i recenti bombardamenti aerei la Russia ha ritirato le sue truppe. Il rapporto con la Turchia, l’intenzione di non riconsegnarla agli Stati Uniti sono evidentemente le cose che per la Russia contano, non già i diritti di una popolazione che ha combattuto anche per conto della stessa Russia. Quanto agli Stati Uniti, una settimana fa avevano formalmente dichiarato ai responsabili curdi di non sentirsi impegnati contro un eventuale attacco turco al cantone di Afrin. Evidentemente la logica statunitense risulta simmetrica a quella russa. La Russia ha dichiarato di considerare gli Stati Uniti responsabili di un disagio della Turchia dinnanzi all’armamento pesante da essi consegnato alle milizie curde, e che ha consentito a queste ultime, ripulita la Siria orientale da Daesh, di costruire un’entità fortemente autonoma nella Siria orientale. Ma la Russia non aveva dichiarato di sentirsi impegnata dalla prospettiva di una Siria confederale, dove ogni etnia o religione fosse in grado di esercitare i suoi diritti, cosa questa che in Medio Oriente necessariamente significa essere armati?
Gli Stati Uniti a loro volta hanno ieri chiesto a Turchia e a milizie curde di “fermarsi” e di “trattare” guardando solo al residuo di lotta a Daesh e compagnia. Sarà dura, dopo aver concesso alla Turchia di avviare l’attacco al cantone di Afrin.
Il Regno Unito ha dichiarato ieri di condividere pienamente l’azione di una Turchia minacciata sui suoi confini da un’entità aggressiva. Evidentemente è in ballo una trattativa commerciale tra Regno Unito e Turchia, oppure è in ballo qualche grossa fornitura d’armi. Come dice il proverbio, pecunia non olet. Giova solo rammentare come il traffico di armi sia il secondo grande business planetario, quindi un fattore di guerra addirittura indipendente dalla politica.
Il silenzio dal lato dell’Unione Europea è semplicemente assordante. La RAI ne parla per circa cinque secondi, in attesa di ordini di governo. Insomma l’attuale canagliaio mondiale grande e piccolo ha mostrato per l’ennesima volta di essere, non la soluzione del disastro mediorientale, ma uno dei suoi fondamentali attori. Agiamo come ci è possibile a difesa dei nostri compagni curdi, sono un faro di civiltà e di umanità in un pianeta che sta sprofondando. Se verranno soppressi il pianeta intero ci andrà di mezzo: tutti stanno riarmando, tutto sta marciando verso l’allargamento e la sinergia tra i conflitti in atto, e le armi usate, continuando così, saranno anche quelle atomiche. Già gli Stati Uniti lo dichiarano.
No Muos: l’antimilitarismo (non) si processa
Con i suoi 25.711 kmq la Sicilia si erge a ponte di continenti, fin dalle epoche più remote. Terra di mare, vento, bellezze storico-paesaggistiche ma anche (e soprattutto) di guerra o per meglio dire base per la guerra. Sembra quasi un gioco di parole ma non lo è, per la semplice ragione che ne deriva dal suo “utilizzo” in politica estera. Le dovute premesse sono d’obbligo per vicende ormai vecchie sette decadi, che si trascinano tuttavia anni di disobbedienza e dissenso legittimo. L’esempio, forse, più classico lo fornisce la storia del compianto Pio La Torre, ucciso barbaramente da cosa nostra il 30 Aprile del 1982. La Torre, combatté per lunghi anni contro la costruzione della base militare di Comiso (RG), per la quale arrivò a raccogliere milione di firme con relativa petizione al Governo. Il segretario regionale del PCI, fu lungimirante poiché la sua battaglia non si fermava di certo alla questione militare, ma si spingeva più in la, verso la speculazione edilizia.
Bastardi in salsa rossa: con Lansdale, sono tornati Hap e Leonard
Hap e Leonard sono tornati. “Bastardi in salsa rossa” è la loro nuova avventura. La decima, per la precisione.
Hap Collins è sempre un liberal con un passato remoto da contestatore, un altro più recente da funambolo della precarietà e un presente reso decisamente piacevole dalla sua saggia e appassionata compagna Brett, da un lavoro più o meno fisso come investigatore privato (presso l’agenzia di Brett) che condivide con il suo eterno socio Leonard e dalla entrata in scena di Chance, la figlia ventenne di cui fino a poco tempo prima Hap non sospettava nemmeno l’esistenza.
Gerusalemme capitale israeliana e la politica poco isolazionista di Trump
La decisione di Donald Trump di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, applaudita dal governo israeliano e subito echeggiata (almeno a parole) dai leader populisti di Filippine e Repubblica Ceca, ha causato una serie di reazioni in tutto il Medio Oriente, che rischiano di destabilizzare ulteriormente una regione già duramente messa alla prova dallo scontro tra Iran e Arabia Saudita.
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