Mentre la Russia si è ritirata, preoccupata di stabilizzare la sua influenza nell’area caucasica davanti a un pericoloso avvicinamento della potenza turca, gli Stati Uniti hanno cambiato obbiettivi.
Il fronte si è spostato, lungo le catene montuose dell’Asia Centrale. Territori aspri, rocciosi, aridi che in questi ultimi decenni hanno vissuto ben pochi momenti di pace.
L’Afghanistan rimane ancora oggi il principale e più acceso scenario di guerra asiatico: un conflitto civile che non accenna a scemare, un paese frammentato in distretti tribali contesi, una occupazione che non ha portato risultati concreti alla pacificazione dell’area.
Quella in Afghanistan è la guerra più lunga mai combattuta dagli Usa: iniziata ad ottobre del 2001, malgrado abbia visto al suo picco schierati oltre 140 mila soldati di 51 Paesi nel 2011, e gli annunci di disimpegno prima di Barack Obama e poi in campagna di Donald Trump, le truppe Usa sono ancora nel Paese, come quelle italiane, dopo quasi 17 anni.
In questi ultimi due anni si è acceso un feroce scontro tra i talebani e i militanti della Provincia del Khorasan, miliziani dello Stato Islamico che hanno approfittato della situazione geopolitica in bilico perenne per penetrare nel paese e aprire nuovi territori alla propaganda del Califfo al-Baghdadi.
Dopo anni di guerra, la situazione è addirittura peggiorata: lo certificano i rapporti di Unama, la missione dell’Onu a Kabul: le vittime civili aumentano.
Lo ribadiscono i resoconti di Sigar, l’organismo che per il Congresso Usa porta i rendiconti sui soldi spesi in Afghanistan. Lo riconosce la Croce rossa internazionale, che dopo 30 anni sta riducendo drasticamente la propria presenza.
Lo testimonia il numero di afghani che abbandonano il Paese, respinti dall’Unione europea.
Nonostante il forte nazionalismo del governo ufficiale di Kaboul, i talebani avanzano e non perdono il controllo dei distretti tribali di riferimento. Appoggiati e finanziati negli ultimi anni da Iran e Russia, legittimandoli politicamente come scudo contro l’avanzata dei combattenti dello Stato Islamico. Oltre a un altro attore internazionale che storicamente ha avuto un ruolo controverso nelle guerre degli ultimi decenni e nella lotta al terrorismo internazionale, il Pakistan. Il governo di Islamabad nonostante gli apparenti rapporti di collaborazione con gli Stati Uniti, ha da sempre appoggiato i talebani ed è stato più volte accusato di doppiogiochismo nella lotta contro Al Kaeda. L’amministrazione Trump ha annunciato a gennaio un taglio drastico dei finanziamenti per lo sviluppo economico al Pakistan, usando le parole del presidente “dopo aver sperperato oltre 30 miliardi di dollari in 15 anni in cambio di menzogne”. Una decisione giustificata dall’appoggio che i pakistani offrono ai talebani in conflitto con il governo filostatunitense di Kabul. L’aumento degli attacchi terroristici avvenuti in Afghanistan negli ultimi mesi potrebbe essere stato incentivato dalla sospensione degli aiuti militari al Pakistan annunciata da Washington per spingere Islamabad a non sostenere i talebani.
Questa vicenda è da inserire in un contesto geopolitico più ampio, in cui si inserisce la Cina, che sta allargando la sua influenza in tutto il continente asiatico, entrando in contrasto con le potenze regionali come l’India e con gli interessi statunitensi nell’area. La Repubblica Popolare cinese mostra l’intenzione di mediare nei negoziati tra questi, Kabul e Islambad. Lo scorso dicembre, Pechino ha ospitato un evento trilaterale con i ministri degli Esteri dei due paesi centroasiatici e paventato la possibilità di estendere le infrastrutture del corridoio economico Cina-Pakistan all’Afghanistan. Questo progetto infrastrutturale multimodale da 62 miliardi di dollari punta a collegare Kashgar nel Xinjiang al porto pakistano di Gwadar.
La Cina sta consolidando i rapporti con l’instabile Afghanistan per ragioni securitarie, economiche e strategiche. In primo luogo, Pechino intende impedire l’ingresso di jihadisti da questo paese nel Xinjiang. Da molto tempo è in corso una dura campagna antiterrorismo per arginare le frange estremiste di etnia uigura, minoranza musulmana e turcofona. In secondo luogo, la Cina vuole contribuire alla stabilità dell’Afghanistan per tutelare lo sviluppo dei progetti infrastrutturali lungo la rotta terrestre delle nuove vie della seta. Inoltre non sono da sottovalutare i crescenti contrasti tra la potenza cinese e l’India, il vero e principale competitor di Pechino. In questi ultimi anni si sono verificati numerosi incidenti diplomatici, ingerenze economiche e collisioni di aree di influenza tra le due potenze asiatiche. A Nord, le dispute lungo la catena himalayana riemergono periodicamente. Quella riguardo il tentativo cinese di costruire una strada in un territorio conteso con il Bhutan, sempre connesso al progetto delle nuove vie della seta. A Sud, Pechino sta intaccando l’influenza indiana nello Sri Lanka, che ha concesso alla Cina il controllo del porto di Hambantota e nelle Maldive. Pechino ha fatto capire al governo indiano che non deve rispondere alle richieste d’aiuto dell’opposizione maldiviana e interferire nello stato d’emergenza ordinato dal presidente Abdulla Yameen, vicino alla Repubblica Popolare. Quindi una cooperazione tra il governo afghano e il governo pakistano sotto l’egida della Cina, in vista di un possibile progressivo ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, sarebbe un ulteriore colpo alla concorrente indiana. Portando sotto l’influenza di Pechino l’avversario storico dell’India e legandolo strettamente a un territorio cruciale come quello afghano, pur con l’incognita della risoluzione del conflitto interno con i talebani. L’Afghanistan e le sue macerie frutto di anni e anni di un conflitto al momento irreversibile potrebbero divenire la frontiera di un nuovo scontro tra potenze regionali. Diventare nuovamente la pedina da spostare in un nuovo scacchiere geopolitico, più strettamente asiatico che mondiale. Gli Stati Uniti, ritirandosi dall’Afghanistan e consegnandolo all’influenza cinese, potrebbero favorire le tensioni crescenti tra India e Cina. Guadagnandosi nella complessa e mutevole politica internazionale un prezioso alleato in un più ampio conflitto egemonico mondiale contro il colosso cinese.
Del destino del popolo afghano, della ricostruzione di un paese devastato da anni di occupazione e guerra, non sembra importare veramente a nessuno.
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