Giovedì, 20 Febbraio 2014 00:00

Per un Peppone qualsiasi, 20 figurine rarissime

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Un posto che ben conosco, dove la nebbia quando picchia, picchia duro, e il sole estivo scalda troppo i campi lavorati, dove il fiume nel suo grande letto scorre lento vicino ai pioppi ben radicati sulla riva a difesa degli argini, così come sono profonde le radici del passato e che di tanto in tanto fanno ancora capolino con orgoglio, quasi un senso fiero di appartenenza. Dove guardando verso le colline e verso ai monti ognuno ha un nonno, uno zio un cugino un amico, un ceppo una lapide per ricordare. Orgoglio di appartenere alla razza di Picelli, di quelli che "i fascisti nell’oltre Parma” non sono mai entrati, fieri di essere quelli dei “fratelli Cervi” e dei moti di Reggio Emilia, tanto è tutta la stessa terra, Parma, Reggio la bassa dei culatelli, dei GAP, delle Officine Meccaniche Reggiane, delle prime bande partigiane. Che alla fine della guerra comunque saranno tanti, quasi 11 mila 

inquadrati in cinque divisioni, su territorio che và dalla Cisa sino ai confini di Modena e in tutta la pianura sino al Po.

Comunisti di pancia e per cultura, ma nello stesso tempo un po’ anarcoidi nel pensiero e nei comportamenti, di quelli che la vita in qualche modo deve essere goduta e condivisa con gli altri, tra lambrusco, tortellini e spalla cotta visto che il sudore della fronte è tanto. Di quelli che non sanno odiare l’avversario, basta che siano galantuomini, tanto la fatica accomuna tutti, rossi e bianchi anarchici, internazionalisti e magari anche qualche democristiano.

Terra di gente strana, uno per tutti il pittore “Ligabue”, sempre sopra le righe, che tutti chiamavano “Al Matt” (il matto) che riposa nel piccolo cimitero di Gualtieri, paese dove ha vissuto rintanato tra gli alberi, le nebbie e le calure della Bassa Padana, in compagnia dei suoi quadri e delle sue ossessioni maniacali. 

Qui si possono ripercorrere i luoghi in cui sono stati ambientati i film interpretati da Gino Cervi e Fernandel. Un riferimento alla specialità gastronomica di Brescello, la famosa Spongata Reggiana, un dolce da forno di pastafrolla ripieno di miele, mandorle, pinoli e uva sultanina.

In questa terra, estati spese a vagare nei campi o in interminabili partite di “celo manca”, che qualcuno specie i più anziani ricordano bene. Infatti se chiedete a un uomo italiano sopra ai 30 anni che cosa significa, “Celo, celo, manca, manca”, vi saprà quasi sicuramente rispondere.. “Celo” sta infatti per “Ce l’ho” e “manca” non ha bisogno di traduzioni: è il ritornello che da bambini dicevamo agli amici sfogliando il mazzetto di figurine Panini,  un album che  cominciava ogni anno in autunno e si concludeva in giugno con le figurine incollate (con la colla Coccoina). Le figurine doppie si scambiavano tra amici e, per rendere più veloce il gioco si rispondeva meccanicamente “celo, manca” a ogni nome di calciatore che l’amico elencava. L’album aveva tutti i giocatori di ogni squadra, la sfida era completarlo prima degli amici, in un’epoca però in cui non si poteva chiedere ai propri genitori una quantità infinita di denaro per acquistare pacchetti di figurine nuove, l’abilità stava nell’arrivare prima degli altri sulle doppie più rare, avendo però una buona scorta di figurine da usare come merce di scambio.

Solo in questo mondo potevano essere ambientati una serie di film tratti dagli scritti di Guareschi, i cinque (quelli storici) del “Don Camillo e Peppone”. Don Camillo, quello vero, partigiano della seconda guerra mondiale e detenuto nei campi di concentramento di Dachau e Mauthausen parroco nel Polesine parmense. (ndr) e un Peppone, ma questa volta inventato sposato con cinque figli tra cui uno chiamato “Libero Antonio Camillo Lenin”, fabbro e meccanico, partigiano iscritto al PCI

Sindaco di un paese della valle del Po, abile nel coordinare i compagni di partito, e bravo amministratore che sa perfettamente a chi rivolgersi e cosa scegliere, segno di quanto sia libero dagli schemi del partito e ragioni con la propria testa e con la propria coscienza. La bontà dell'animo, nella Val Padana, si misura nei momenti di necessità e di bisogno. Questo è un mondo di preti che chiedevano le questue in uova, per ridistribuirle ai poveri del paese e di calzolai comunisti che preferivano dormire in bottega per non andar a riprendere le chiavi sulla panca della canonica.

In questo eterno gioco del “celo manca” tra i celo delle mie figurine ho quella di un prete seducente con una inflessione accattivante così come è attraente nei comportamenti, pronto nel parlare e nei modi, immediato nel dare passaggi in autostop. Difensore accorato, nei suoi sermoni, dei più deboli e degli oppressi. Grande comunicatore, schierato dalla parte dei poveri e degli oppressi, Che si presenta come pastore più che come dottore e teologo, fosse anche di quella della liberazione, mostrandosi aperto e sensibile, ma comunque in sintonia con il mondo globalizzato inserito e a proprio agio in questo contesto, e poco importa se redarguisce imprenditori filantropici, ma che comunque basano la loro azione sulla donazione e non sulla solidarietà per quanto possano essere illuminati. Sappiamo bene che in una società capitalista non c’è solidarietà interclassista, e che l’imprenditore ha comunque fatto profitto sullo sfruttamento dei lavoratori

Tra le figurine che mi mancano e di cui avrei un dichiarato bisogno c’è quella di un comunista militante che ha ben presente la separazione tra le classi, anche se è capace di distinguere tra gli uomini. Che rivolgendosi al prete lo apostofa con un: “la farei lavorare, lei non lavora che con la bocca: oremus, vobiscum... non si fa certo venire il mal di reni lei, eh?

Che fa professione di non adeguarsi sempre e comunque alla vulgata egemone ma che riesce a parlare al cuore del popolo di sinistra e in questo riesce a trovare anche nuovi interlocutori, proprio perché vicino ai bisogni della gente smascherando la deriva buonista anche quando questa si presenta sotto la forma di un prete dal fisico possente. Con pochi progetti culturali ma con una chiara scelta di classe che poi è una sola, quella dalla parte degli oppressi e degli sfruttati. Un Peppone che non è certo un gentelman della politica, ma un sanguigno compagno che condisce il parlare anche con qualche sana colorita espressione perché il nostro essere comunisti, deve incutere timore a chi difende le ingiustizie… e questo mi pare tutt'altro che inattuale.

Proprio per questo scambierei 20 delle mie introvabili figurine per un Peppone qualsiasi che sappia organizzare, guidare e ridare speranza di vittoria al popolo della sinistra. 

Per chi è interessato ci vediamo domenica mattina in piazza davanti al sagrato della chiesa.

Ultima modifica il Giovedì, 20 Febbraio 2014 09:30
Roberto Travagli

Nato ad Ferrara il 03-10-1956, vivo a Firenze, Diplomato all'Istituto Tecnico Industriale. Militante in Lotta Continua durante gli anni '70. Dipendente del Comune di Firenze dove per alcuni anni ha collaborato con il sindacato (UIL Enti Locali). Ritornato alla politica attiva da poco tempo.

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