Ritengo - da osservatore attivo delle vicende di questa scalcagnata sinistra italiana - sarebbe necessario che le varie forze che si collocano alla rive gauche del PD guardino in faccia la realtà sforzandosi di mettere insieme un programma ed una prospettiva – ancorché parziale – comune.
Una nota citazione di Gramsci recita così: “La mia praticità consiste in questo: nel sapere che a battere la testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro”, le organizzazioni – tutte – della sinistra italiana, prive di ogni senso pratico, sembrano appunto intenzionate a sbattere la testa contro il muro credendo questa volta – e da un po' di tempo, ciò accade ogni volta – di riuscire ad aprirvi una breccia per ritrovarsi poi, il giorno seguente alla consultazione elettorale a contare il cocci di un mucchietto sempre più piccolo.
Non sfuggono a nessuno le posizioni di SEL nei confronti del PSE, il suo posizionarsi nel campo delle socialdemocrazie, nel campo cioè di quelle forze che hanno deluso le aspettative di grande parte del mondo del lavoro dei rispettivi Paesi rendendosi strategicamente corresponsabili delle disastrose politiche europee.
Allo stesso tempo occorre però tenere bene a mente le contraddizioni che animano SEL, contraddizioni che emergono dalle parole dello stesso Vendola. Contraddizioni che la torsione presidenzialistica di queste europee 2014, a noi tutti imposta quasi come una fatalità da cui era impossibile scansarsi, se da un lato aprono possibilità di discussione e di confronto tra le diverse candidature, dall'altro con ogni probabilità rischiano di far più profondo il solco tra la sinistra socialdemocratica e le forze del GUE.
Alzando lo sguardo oltre l'Italia, sarebbe inoltre necessario chiedersi se la pur forte ed autorevole candidatura di Alexis Tsipras sia stata la scelta migliore da compiersi, forzando la mano ed ignorando la presenza nel GUE di partiti comunisti non appartenenti alla Sinistra Europea o suoi membri osservatori.
In ultima analisi, facendo ritorno a quella scienza impietosa che è l'aritmetica, le elezioni di maggio a differenza delle politiche prevedono l'espressione delle preferenze. Ciò è un dato di fatto, che per quanto disprezzabile (e che personalmente abolirei ad ogni livello elettorale), siamo obbligati a tenere in considerazione.
A sinistra quanti dei probabili candidati sarebbero in grado di ottenere quelle decine di migliaia di preferenze – catturate al di fuori del perimetro dei militanti – necessarie a rendere forte e competitiva una lista? Fuor di dubbio un numero assai ristretto.
Le considerazioni, non esaustive, qui elencate potrebbero essere riassunte con una battuta: siamo partiti male... tutti.