Giovedì, 27 Marzo 2014 00:00

Europa: arca di pace o arco di guerra?

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“Arca di pace o arco di guerra minacciosamente proteso nel Mediterraneo?”. La domanda che nei primi anni novanta don Tonino Bello si poneva per la sua Puglia, possiamo oggi farla per l’intera Europa. Perché la Ue non è solo moneta e politiche neoliberiste. Negli ultimi anni è diventata anche sistemi di polizia integrata, militarizzazione dei confini, missioni militari di contenimento dell’immigrazione che sono tutt’uno con gli accordi di libero scambio imposti ai popoli nordafricani. La linea del fronte è proprio qui, tra le due sponde del Mediterraneo le cui acque sono diventate il più grande cimitero della globalizzazione capitalista.

Su questa linea del fronte l’Italia è immersa dallo stivale in su.

Basta scorrere il vocabolario europeo della guerra per accorgersi che l’Europa non è solo delle banche, ma anche dei militari e dei fili spinati. La recente Carta di Lampedusa, licenziata dai movimenti delle due sponde il 1 febbraio 2014, li elenca con precisione millimetrica, mettendo alla luce un piano criminale che può minare a fondo le relazioni tra i popoli e la stessa democrazia.

Per capire come e perché siamo arrivati a questo punto è utile ripercorrere brevemente le tappe di questo processo.

Il Trattato di Maastricht del 1992 decideva, tra le altre cose, che per la realizzazione dell’unione politica, la Politica Estera di Sicurezza Comune doveva assumere un ruolo centrale nel nuovo progetto comunitario. A Bonn, sempre nello stesso anno, il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea licenziava la dichiarazione di Petersberg che prevedeva la messa a disposizione della Ue e della Nato di unità militari provenienti dalle forze armate degli stati membri. La difesa europea si muoveva così, per non irritare gli Usa e anzi per garantirgli la propria egemonia sul continente, dentro e con il consenso della Nato, arrivando addirittura ad imporre una norma tacita a tutti i paesi dell’est europeo : prima di entrare nella Ue dovete entrare nella Nato.

Il vertice franco-britannico di Saint-Malo del 1998 tra Blair e Chirac ha dato avvio alla creazione di una capacità autonoma della Ue di forze militari. Sono gli inglesi a farsi carico di dare garanzie agli Usa che tale processo non debordi in troppa autonomia da parte della Ue.

Infatti l’occasione per ribadire il principio che le forze militari della Ue sono “forze separabili ma non separate” dalla Nato è il vertice che si tiene nel 1999 per il cinquantesimo anniversario del Patto Atlantico . È solo in base e dentro quella cornice infatti che è possibile oggi che l’impiego delle forze militari dell’Unione Europea in “alternativa” a quelle della Nato.

Si previde a dotare la Ue di un Comitato politico e di Sicurezza, presieduto dall’Alto Rappresentante per la PESC che si avvale di un comitato militare per le formulazioni di raccomandazioni e di uno Stato Maggiore dell’Unione Europea.

L’assetto organizzativo trova infine completezza nel 2004 con la costituzione dell’Agenzia Europea per la Difesa a cui è affidato il compito di supportare il Consiglio Europeo sulle politiche della sicurezza. Come si legge nei documenti istitutivi tale Agenzia “opera per favorire lo sviluppo delle capacità difensive, per la promozione delle tecnologie e della ricerca per la difesa, per la promozione della cooperazione tra gli armamenti e per la creazione di un mercato europeo di attrezzature per la Difesa e per il rafforzamento della base tecnologica ed industriale della Difesa europea”.

Il lavoro dell’Agenzia è stato travagliato, non riuscendo quasi mai ad armonizzare le politiche di difesa degli Stati membri e anche sul versante dell’industria bellica non è riuscita ad evitare che il fronte europeo fosse facilmente spaccato dall’industria e dal governo Usa come nel caso degli F-35, tecnologia oggettivamente in alternativa a quella delle industrie europee.

Come abbiamo scritto è la Gran Bretagna a fare da garante che il processo di cooperazione militare europeo non tracimi in una eccessiva autonomia dell’Europa dall’alleato Usa. Al Consiglio Europeo sulla difesa del dicembre 2013 è il primo ministro Cameron a sostenere che se è un bene la cooperazione tra le Nazioni per garantire sicurezza, non è assolutamente un bene che l’Ue si doti di capacità comuni, eserciti, mezzi aerei ed altro, proponendo di stabilire una separazione netta tra la cooperazione e le capacità militari dell’Unione. Lo stesso segretario generale della Nato Rasmussen ha insistito che non si debba parlare di esercito europeo, ma di semplici investimenti da effettuare per l’acquisto di mezzi da impiegare nelle aree critiche.

Nonostante una contrazione delle spese militare della Ue nell’ultimo decennio, i 28 paesi membri spendono ancora tanto in difesa almeno quanto Russia e Cina messe insieme. D’altronde le forze armate della Ue assommano sulla carta a circa 1.500.000 uomini, una cifra analoga a quella degli Stati Uniti, costando circa 285 miliardi di dollari nel 2012, meno della metà degli Usa (668), ma quasi il doppio della Cina (158) e il triplo della Russia (90).

L’area di tensione principale è avvertita proprio nel Mediterraneo, nei Balcani e nel Medio Oriente e si guardi bene, non è una minaccia militare. La Ue è stata infatti sorpresa dall’esplodere delle primavere arabe (con la rimozione dei regimi filoeuropei) intervenendo in ordine sparso, contribuendo al collasso della Libia (l’intervento francese è stato decisivo per portare la guerra e distruzione dello Stato libico) e completamente incapace di avanzare un a proposta che impedisse l’esplosione della Siria con i milioni di profughi e di disperati che premono sui paesi confinanti. Non essendo credibile rispetto alle forze democratiche arabe – per aver sostenuto fino all’ultimo i dittatori e aver abbandonato ogni velleità autonoma d’intervento rispetto al conflitto palestinese/israeliano – la Ue ha pensato solo alla tutela dei propri interessi (energetici e non solo) e alla politica di respingimento di migranti e rifugiati, in questo aiutando il fondamentalismo religioso nella sua contrapposizione all’occidente.

Le missioni Ue Mare nostrum, Frontex, Eurosur, Eubam Libya snocciolano un rosario d’iniziative di polizia e militari che non hanno frenato le tragedie del mare e il traffico di esseri umani, ma hanno amplificato l’illusione che la Ue possa ergersi a vera e propria fortezza impermeabile. Il corollario di basi militari - pensiamo al nuovo ruolo di Sigonella o a quello del Muos di Niscemi entrambi in territorio siciliano - alimentano ancora di più questa illusione.

Solo una Europa radicalmente diversa può oggi porsi all’altezza delle sfide della pace e della cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo. La presidenza greca della Ue – prima di passare il testimone proprio all’Italia nel prossimo giugno – ha proclamato il 2014 “anno del Mediterraneo”. Perché lo sia davvero si dovrebbe stracciare l’attuale agenda politica e riscriverne una totalmente nuova. Non lo farà sicuramente una classe politica europea assoggettata alla troika da una parte e alla Nato dall’altra. È un vuoto politico che può colmare solo una sinistra antiliberista, antirazzista e antimperialista che si relazioni con i movimenti dell’altra sponda del Mediterraneo.

L'articolo è stato pubblicato sul numero del cartaceo del Becco, consultabile gratuitamente cliccando qui

Immagine liberamente tratta da www.european-left.org

Alfio Nicotra

Giornalista professionista, è esponente del movimento pacifista italiano ed è stato osservatore internazionale per conto dell'EZLN nei negoziati tra i guerriglieri e il governo messicano. Nel 1988-'89 organizza la resistenza dei braccianti di Capo Rizzuto contro l'espropriazione delle terre in vista della costruzione di una base militare. Membro del direttivo nazionale di Democrazia Proletaria, e poi dirigente del Partito della Rifondazione Comunista.

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