Il potere finanziario, industriale, bancario gioca la sua partita in Europa, certo non senza conflitti tra le sue varie componenti, ma concertato e organizzato, avendo chiari i propri bersagli, vittime e interessi. Lo stesso deve valere per chi rappresenta gli interessi e le prospettive della controparte, quella dei lavoratori dipendenti e salariati, che invece quasi sempre giocano la partita su campi diversi, quelli nazionali, indebolendo e frammentando la loro forza potenziale. E puntualmente perdendo.
Penso che occorrerebbe, intanto, dare fiducia e rilanciare i soggetti politici che già esistono e lavorano, alcuni da decenni, in ambito europeo, trasferire loro peso politico e capacità di coordinamento, sovranità nelle battaglie comuni e un ruolo di elaborazione collettiva che miri a raccogliere energie e renderle progressivamente egemoniche e capaci di contare nelle scelte. Esiste un bacino politico, l’alveo naturale ed il luogo di incontro di tradizioni e culture diverse, ma affini: comunisti, socialisti di sinistra, eco-socialisti, partiti dei lavoratori, sinistre verdi nordiche. All’interno di quest’area della Sinistra Unita Europea (GUE/NGL) si prefigurano i valori e la composizione di una sinistra ampia e unitaria anche nel nostro Paese. È un punto di partenza importante, un riferimento costante anche per chi, pur guardando con interesse al dibattito e alle contraddizioni (più o meno visibili) all’interno del Partito Socialista Europeo, non può che riconoscere che da quella Sinistra è partita e vissuta l’opposizione alle politiche economiche dell’UE, costantemente governate in compartecipazione da socialisti e popolari. Ciò che si è detto sull’Italia, vale anche per l’Europa: solo dando forza al polo di sinistra potremo sperare di spostare i rapporti di forza e conquistare consensi sociali, reclutare braccia e cervelli alla causa dell’Europa dei lavoratori, dare un’impronta di massa alle giuste rivendicazioni di trasformazione.
Quello sulla collocazione europea è un nodo che richiede lungimiranza e realismo. Nutro seri dubbi sul fatto che il PSE possa essere l’ambito più favorevole per ricostruire una sinistra unita. Sarebbe senz’altro un motivo di debolezza riprodurre schemi, già visti in Italia, di partiti che non sanno dove porsi in Europa, sospesi tra famiglie politiche così distinte su certi temi dirimenti. Questo però non deve costituire causa di veti o esclusioni da nessuna parte: meglio riconoscere, limpidamente e con chiarezza, il diritto di tutti a collocarsi e dare ossigeno al dibattito di quelle aree politiche in cui sentono di dover investire le proprie energie, piuttosto che arrangiare soluzioni pasticciate e rabberciate di corto, cortissimo respiro. E questo mi porta ad alcune considerazioni finali sulle forme dell’unità della sinistra.
Le forme dell’unità: meglio piano ma meglio
Concordo con chi dice che dobbiamo assolutamente lavorare all’unità di tutta la sinistra, riconoscendo una volta per tutte le ragioni di una battaglia comune e superando i fattori di diffidenza che hanno ostacolato in passato un dibattito franco e sereno. Soprattutto oggi che, nella collaborazione alla Grande Coalizione, viene meno uno dei pomi della discordia: il giudizio sul Partito Democratico e il centrosinistra, che ha chiarito quale sia la sua natura profonda e fin dove sia disposto a spingersi. Allo stesso tempo sarebbe dannoso e ingenuo sorvolare, con un ampio balzo verso l’ignoto, le ragioni politiche che hanno condotto negli anni a dolorose lacerazioni e scelte divergenti. Se non riconoscessimo l’esistenza di nodi, culturali e teorici, sui quali le varie forze hanno opinioni divergenti, staremmo solo spazzando la proverbiale polvere sotto il tappeto: non servono poteri divinatori per immaginare l’esito di tale leggerezza. Sono convinto che si debba ripartire da zero o quasi, che le ripetute sconfitte (chi non riesce a entrare in Parlamento, chi ci entra con gli alleati sbagliati che si mettono a governare con l’avversario) ci pongano l’obbligo di riflettere “nel pulito”, utilizzando il tempo, l’onestà intellettuale, lo scrupolo e la chiarezza necessari a non produrre ulteriori mostri. Non è concesso, stavolta, improvvisare, lanciare mosse del cavallo, dare una verniciata in superficie, fare un’operazione di marketing attorno a quello o quell’altro leader, lanciare una nuova campagna ad effetto rivolta alla generica opinione pubblica: pena il fallimento. Si ragioni, una buona volta, sulle forme realistiche dell’unità possibile, mattone dopo mattone, discutendo democraticamente e giustificando su un piano politico qualsiasi scelta compiuta. E’ vero: la sinistra non può ridursi di nuovo a evocare inutili e vuote sigle elettoralistiche dell’ultima ora (tanto vale stare ognun per sé). Non vorrei, però, che qualcuno, per ansia o eccesso di entusiasmo, giudichi possibili, all’opposto, forzature organizzativistiche che rimandino ad un futuro indistinto la discussione politica sul percorso intrapreso. O, ancora più maldestramente, che voglia stabilire “per decreto” la nascita a tappe forzate di nuove culture e identità politiche. Non lo dico per gelosia di simboli o etichette, ma semplicemente perché la storia ci insegna che tali approcci non solo non sono utili ai comunisti, alla sinistra e ai lavoratori, ma hanno vita breve, se ce l’hanno.
Per me, se vogliamo che l’operazione di unità a sinistra sia onesta e fondata, non si tratta oggi di allargare qualcosa che già esiste, né di fare le somme dei vari pezzettini (e magari stabilire pesi relativi interni e relative prerogative). Si tratta piuttosto, se unità di tutta la sinistra deve essere, di includere e coinvolgere tutte le varie anime, con pari dignità, in un processo aperto che raccolga la sfida della crisi del capitalismo e delle ricette liberali (rivolgendosi ai delusi, che davvero credevano a quei rimedi) e allo stesso tempo recuperi le larghe fette di militanza ed elettorato di sinistra radicale che in questi anni sono evaporate nell’inattività.
In altri paesi europei esistono esempi diversi di forme di unità della sinistra. Occorre ispirarsi anche ad essi per trovare le formule più avanzate ed unitarie possibili, che tengano conto (nell’interesse dell’unità stessa) della partecipazione individuale, dell’unità programmatica e dell’esistenza di diverse sensibilità e soggettività interne, che possano anche misurarsi su obiettivi distinti nel lungo periodo e ambire a coltivare una propria specificità politica. Lo dico come uno che pensa, per esempio, che la storia e la funzione dei comunisti viva oggi come sempre in una sinistra più ampia, ma riguardi un orizzonte storico che chiede di rafforzare oggi le radici del domani.
C’è da costruire tutto questo: sono molti i piani che si tengono insieme, si intersecano e si sostengono a vicenda. Impennate improvvise da una parte e soluzioni deboli e temporanee dall’altra, erodono consensi e fiaccano energie vitali: impegniamoci a seminare, coltivare e far crescere tutte le sementi che abbiamo a disposizione. Poniamoci obiettivi chiari e perseguiamoli con duttilità, senza pretendere che le soluzioni siano immediate e valide una volta per sempre. Al contrario staremmo solo contrabbandando per “unità della sinistra” l’ennesima, definitiva distruzione delle identità politiche che la compongono.
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