LORO 2 è un invito a non far parte della "feccia che risale il pozzo"
Nel 2008 al cinema Matteo Garrone (con Gomorra) e Paolo Sorrentino (con Il Divo) si contendevano il dominio del boxoffice italiano. Vinse il primo che doppiò il rivale a livello di incassi (10 milioni di euro contro 4.6), forte del successo del bestseller di Roberto Saviano da cui è tratto. Il cinema italiano sembrava in ripresa, ma era solo una coincidenza. Nel 2015 la sfida proseguì al Festival di Cannes (c'era anche Nanni Moretti con Mia madre) con Il racconto dei racconti e La giovinezza, ma rimasero a bocca asciutta. È ancora tempo di sfide tra due degli autori di punta del nostro cinema. La prossima settimana vi recensirò Dogman di Matteo Garrone che sarà in concorso al Festival di Cannes.
Lui, loro e gli italiani: la somma inconscia del berlusconismo secondo Sorrentino
2008. Passò da Cannes e poi in sala un film italiano destinato a diventare uno dei migliori film di Paolo Sorrentino (insieme a Le conseguenze dell'amore). Sto parlando de Il divo. Al centro del film c'era Toni Servillo con il suo Giulio Andreotti. In quell'opera c'era una piccola scena che era il fulcro della pellicola.
Il sogno italiano di (Io sono) tempesta si chiama berlusconismo
Ricordate il film Suburra di Stefano Sollima? Il politico, interpretato da Pierfrancesco Favino, rincorreva l'auto con a bordo il Presidente del Consiglio dimissionario.
Di Alessandro Semenzato
Tra i più grossolani errori commessi da Silvio Berlusconi nel corso della sua vita politica vi è stato quello di aver individuato come suo erede l' avvocato agrigentino Angelino Alfano.
Politicamente Alfano cresce nelle file della DC, per poi approdare nel 1994 alla corte di Arcore, sgomitando sino a guadagnarsi la fama di "delfino".
La carriera ministeriale di Alfano inizia nel 2006 nominato da Berlusconi come Ministro della Giustizia, giusto premio per uno che di giustizia ci capisce poco niente, rimasto alla cronaca per quel'obbrobrio noto come "Lodo Alfano" dichiarato dalla Consulta anticostituzionale, costruito ad hoc per le vicende processuali del Capo.
Non pare che la magistratura milanese, come dire, si sia particolarmente compromessa nell'applicazione della pena che Berlusconi è tenuto a subire a seguito di una condanna definitiva per frode fiscale. Giusto che gli anziani colpevoli di reati anche gravi non debbano andare in carcere ma subire pene alternative meno pesanti; giusto il fastidio (secondo me) per chi rivendichi pene più pesanti del minimo necessario, dinanzi a ogni reato, con la sola eccezione di quelli reiterabili e più pericolosi: tuttavia, se posso dirlo, a me una condanna tradotta in mezze giornate alla settimana a giocare a briscola con dei vecchietti o a raccontargli barzellette sembra una presa per il culo della popolazione italiana. Tanto più che Berlusconi continua tranquillo ad attaccare i magistrati autori di indagini e condanne come protagonisti di una persecuzione politica e addirittura di un colpo di stato: ciò che per il fatto stesso della mitezza della condanna in corso di esecuzione dovrebbe essergli impedito come contropartita.
“Interpretare” le intenzioni di Matteo Renzi non è facile, essendone il discorso costruito con i mezzi della pubblicità anziché della politica. È anche azzardato: il comportamento politico del personaggio, coperto da omogenee dichiarazioni sulle proprie pulsioni attivistiche, è stato sommamente incoerente, non solo nell'ultimo tratto. Tuttavia qualcosa si può ipotizzare, muovendo da frammenti di discorso o da dati più o meno noti; e può essere molto utile farlo, in veste di tentativo di evitare ulteriori abbagli e pasticci a sinistra.
Stanotte ho fatto un sogno. Uno di quei sogni che mischiano fatti della realtà quotidiana e speranze, che soprattutto nel sonno più profondo talvolta capita di fare. Uno di quei sogni che vanno veloci, che si vedono come una vecchia pellicola da 24 fotogrammi al secondo proiettata ad una velocità superiore, con quell’effetto tipico di movimenti rapidi e scattosi da comica finale.
In imperii mutatione civibus domini nomen solum mutat. (Nei cambi di governo per il popolo cambia solo il nome del padrone). Gaio Giulio Fedro, 20/15 a.C. circa – 51 d.C. ca., favolista latino di origine macedone.
Questo è l’unico governo possibile per il Paese ed è nato in una cornice istituzionale. Giorgio Napolitano, 1925, favolista italiano di origine partenopea.
Foto ripresa liberamente da LetteraPolitica.it
Come è tornato così sembra mestamente andarsene. Berlusconi questa volta pare proprio al capolinea, schiacciato dal fuoco di fila di attori politici ed istituzionali sovranazionali che ormai da più di un anno non solo dettano l'agenda politica italiana, ma ne impongono i protagonisti. I sondaggi in caduta libera, il disfacimento del suo blocco sociale e l'implosione del PDL sembrano ormai configurare la fine della sua egemonia politica sulle destre e sul paese. L'Europa ha scelto Monti.
La sconfitta del Cavaliere, dopo un disordinato e breve rientro sulla scena politica, segna la definitiva affermazione del nuovo ordine tecnocratico europeo sulle macerie di una destra italiana da sempre populista e qualche volta apertamente conflittuale rispetto alla retorica europeista declinata all'austriaca, certo non a protezione degli interessi del lavoro o delle fasce più deboli di popolazione, piuttosto per preservare gli interessi immediati del suo blocco sociale.
Berlusconi non ha mai nascosto di non amare l'austerity, troppo poco funzionale al suo modello di potere impastato di demagogia e corruzione. I suoi governi, tranne quando in occasione del primo approfittò del lascito di Ciampi in termini di riduzione della spesa, si sono contraddistinti per una gestione populista delle finanze pubbliche, non finalizzata a piani di rilancio dell'economia o all'espansione del welfare, ma al taglio delle tasse, ai condoni e al mantenimento di un sistema clientelare e corrotto.
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