Venerdì, 16 Febbraio 2018 00:00

Pubblicità no profit, tra buone intenzioni e pornografia dei sentimenti

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Pubblicità no profit, tra buone intenzioni e pornografia dei sentimenti

"Il tuo aiuto può fare tanto per lui", "dona e aiuta un bambino a diventare grande"... Ogni giorno, più volte al giorno, siamo bombardati da richieste di sostegno alle più svariate cause. Il nostro egoismo è continuamente scosso da messaggi che ci ricordano l'esistenza nel mondo di situazioni disperate a cui serve il nostro urgente aiuto.

Fin qua nulla di male: se certe sacche di miseria esistono perché dovrebbero essere tenute nascoste? Per non turbare la nostra tranquilla routine? Certo che no! Fermiamoci un attimo però a riflettere sulle modalità di trasmissione del messaggio: ovviamente se la pubblicità dice "aiuta un bambino africano che non ha nulla da mangiare" sarebbe un po' contrastante far andare in contemporanea immagini di persone che ballano... Ma, d'altronde, è necessario far vedere le immagini di bambini denutriti e abbandonati? Personalmente credo non si possa essere d'accordo, in questo caso, col machiavellico "Il fine giustifica i mezzi", non fosse altro che per il sacrosanto diritto alla dignità che tutti dovrebbero avere. Tutti, anche coloro che hanno bisogno di essere aiutati. 

Perché per far decidere una persona di aprire il portafoglio la si deve mettere davanti all'immagine di un bambino che muore? Sappiamo tutti la situazione di miseria estrema che c'è in Africa, non ci dovrebbe essere bisogno delle immagini in TV, dovrebbero bastare le cronache. Ma evidentemente non bastano, almeno secondo coloro che studiano le campagne di comunicazione per i crowfunding delle associazioni no profit. D'altronde è storia di tutti i giorni che i bambini, gli anziani e i disabili sono i bersagli migliori per stimolare le persone a donare: se a chiedere l'elemosina in strada c'è un ragazzino anziché il padre quarantenne 'aitante' si può star certi che a fine giornata l'incasso sarà sicuramente maggiore. Eppure ormai dovremmo essere abbastanza smaliziati da capire che i nostri soldi non resteranno certo al bambino. Ma è indubbio che, qualsiasi sia la ragione, le pubblicità di quelle associazioni che 'vivono' del sostegno della gente comune non risparmiano un massiccio ricorso ad immagini e parole accusatorie verso il loro pubblico. Sembra quasi una responsabilità del singolo spettatore se un bambino muore di fame. Viene da chiedersi se tutto ciò sia funzionale. Ma non è quello il punto della discussione: la questione da indagare sono semplicemente le modalità di comunicazione, come si è scelto cioè di rivolgersi al pubblico.

È ovvio che i tempi stretti di uno spot pubblicitario costringano chi lo crea a utilizzare frasi corte, slogan che restino impressi e siano capaci di catturare l'attenzione di un telespettatore che sta facendo zapping durante la pubblicità di un programma televisivo. Non c'è tempo di fare analisi socio-politiche approfondite, e soprattutto sarebbe controproducente, perché spingerebbe quasi chiunque a cambiare canale, o comunque a spostare l'attenzione su un'altra attività meno impegnativa. Nessuno ha voglia di ascoltare una lezione alle dieci di sera mentre si gusta un bel film! È inevitabile il ricorso all'imperativo, che permette una immediatezza impossibile da ottenere con forme grammaticali più complesse: "dona e permetti al bambino di andare a scuola" ha decisamente più forza comunicativa di "se donerai il bambino potrà andare a scuola".

Ma l'elemento fondamentale della pubblicità e della comunicazione televisiva sono le immagini, ed è lì che "casca l'asino": infatti, nonostante il fil rouge sia, anche in questo caso, la ricerca di un messaggio immediato e chiaro, bisogna sempre tenere in mente che, come si diceva all'inizio, non è ammissibile andare contro la dignità di coloro che si vuole 'salvare'. Quindi altolà ad immagini di bambini morenti o comunque in situazione di disagio. Ovviamente si vuol parlare di quello, ma lo si può fare, appunto, parlandone. Perché non creare un video in cui, ad esempio, in contemporanea al parlato, si fanno vedere i risultati ottenuti dalle donazioni già ricevute? Ad esempio si potrebbero inquadrare le scuole o i pozzi costruiti, senza soffermarsi sulla sofferenza. Un'alternativa potrebbe essere mandare in onda un cartone animato che mimi le parole della voce narrante, quindi senza l'ausilio di persone in carne ed ossa. Ma bisogna fare uno sforzo di fantasia per trovare delle modalità grafiche accattivanti e capaci di rendere al meglio il messaggio desiderato. Ovviamente usare le solite "immagini di repertorio" è più semplice e permette di riutilizzare lo stesso materiale cambiando solamente di volta in volta il sonoro. Ma d'altronde, se si vuole offrire un prodotto di qualità, e che soprattutto sia eticamente valido, è necessario fare uno sforzo di fantasia ed esplorare strade e percorsi nuovi, anziché seguire il detto "squadra che vince non si cambia".

A margine credo sia opportuno soffermarsi su un altro aspetto fastidioso di questa tipologia di pubblicità, che rischia di allontanare alcuni potenziali donatori: il modus narrandi da "otto per mille alla Chiesa Cattolica". Come è possibile pretendere di "accalappiare" uno spettatore/donatore con un parlato da denuncia per "eccesso di lentezza"? se sto aspettando un film non perdo minuti preziosi a seguire chi mi dice di aiutare un senza tetto! Siamo ormai abituati agli effetti speciali e alla tecnologia, le cose in tv accadono alla velocità della luce. Posto che una pubblicità di Emergency non è un film di spionaggio, sarebbe sicuramente una buona idea rubarne alcune idee e modellarle ad uso e consumo del target di riferimento. In conclusione è necessario un salto di qualità nel concepire e realizzare le pubblicità "no profit": fatte salve le innegabili buone intenzioni di portare aiuto alle realtà più svantaggiate del mondo è indispensabile ripensarne le modalità di produzione per superare la concezione voyeuristica che troppo spesso cade, come si è visto, nella "pornografia dei sentimenti"

 

Immagine ripresa liberamente da www.score.org

Ultima modifica il Martedì, 13 Febbraio 2018 17:05
Elena Papucci

Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell'Arci.

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