Lunedì, 26 Marzo 2018 00:00

Per un antirazzismo di classe

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Per un antirazzismo di classe

Il razzismo è un fatto economico. L’altro ci inorridisce e spaventa perché non rientra nelle classi dominanti e non rispetta, certo non per una sua volontà quanto per la nostra colpa di sostenitori del capitalismo, le regole sacre del mercato.

Perché un arabo, un africano, un asiatico che ha fatto tanti soldi, per quanto possa venir considerato pittoresco, è pur sempre uno che ce l’ha fatta. Rispetta le regole del libero mercato, crede nelle libertà date da un benessere sfrenato, edonistico, spesso amorale. Ed è magari anche un buon credente. Le classiche contraddizioni che riconosciamo nei nostri simili. Non esiste la razza umana, esistono le classi. L’italiano che lavora in una fabbrica o in un cantiere ha molto più in comune con l’africano che raccoglie i pomodori nel sud, rispetto a un suo connazionale laureato convinto che il nostro unico problema siano le “fake news”.

Le dinamiche del capitalismo, il suo rinnovarsi, ha aperto un conflitto tra poveri e appartenenti alle classi meno abbienti. Un comunista, anche decisamente scarso, dovrebbe capire che la resistenza e la lotta di classe pretende l’unione dei lavoratori. Non di pelle bianca e autoctoni, contro presunti eserciti di riserva. Come se fino a ieri, i lavoratori italiani avessero diritti garantiti e applicati con vigore e giustizia sociale. No, siamo stati proprio noi italiani “il nostro esercito di riserva”. Lottando poco e male, accettando le cose peggiori, lasciando che la lamentela da bar diventasse pratica politica.

Il nostro mondo si fonda su una piccola parte, quasi interamente bianca e occidentale, che governa il mondo. Causando da secoli guerre, miseria, in altre parti del nostro pianeta. Solo per questo motivo, essendo razzismo e colonialismo tanto stimati dai nostri acerrimi nemici (come i fascisti) dovremmo ritenere l’anti razzismo non come l’esibizione pubblica di un senso di colpa paternalista e ipocrita (questo modo di essere anti razzisti lo lasciamo ai liberal che in fatto di ipocrisia se ne intendono assai) ma militante e di classe.

Il regime liberal-capitalista usa per giustificarsi un ridicolo discorso di anti violenza e pacificazione della società, assai rivoltante e meschino. Piangono due lacrime di circostanza sulla morte di un uomo, un africano, ucciso a tradimento e senza nessuna colpa di sorta, da parte di un italiano disperato e folle; poi – di fatto – concentrano tutto il loro discorso su due fioriere rotte. Due fioriere che si trovano in centro, perché il vandalismo a cui sono soggetti palazzi e qualsiasi altro tipo di mezzi, costruzioni e affini, situati in periferia, fa poco testo. In ogni caso, l’oggetto è considerato quasi più prezioso di un essere umano. Si sprecano commenti, si aprono dibattiti sul nulla.

Pochi pongono l’accento su questa assurdità tipicamente occidentale. Su questo cavallo di battaglia di un regime che ha svuotato del tutto termini importanti come democrazia, libertà, civiltà. Donando ai suoi sudditi libertà effimere basate appunto sulla merce, l’oggetto, quasi santificato nella nostra idea di società giusta e migliore, rispetto alle deridevi paesi non allineati. Lo stesso discorso possiamo applicarlo anche a una delle ultime scemenze “renziane”: la richiesta di licenziamento dell’insegnante che se la prende con i simboli della repressione liberal-conservatrice, cioè il reparto celere. Anche in questo caso si è voluto far pesare una reazione anche discutibile, non tenendo in assoluto conto quanto capitato prima. Cioè le manganellate contro il corteo anti fascista. Un po’ come quando si parla di foibe senza conoscere i crimini fatti dai fascisti e dai soldati italiani.

Questa Italia ipocrita e squallida si è dovuta però scontrare colla risposta delle comunità africane, in primo piano quella senegalese, e di molti fiorentini che all’inizio di marzo hanno dato vita a una manifestazione, assai partecipata e motivata. Un sabato in cui per qualche ora le persone, le loro storie, sono diventate protagoniste e si sono riprese quegli spazi sacrificati alla catena montaggio del benessere senza felicità, dell’odio contro il diverso in quanto povero, delle ipocrite parole del potere democratico, ma lontano dalle classi meno abbienti.

Moltissimi africani, tanti compagni e famiglie, ci hanno ricordato che l’unica divisione tra esseri umani è quella imposta da un’economia di mercato drogata e criminale, una società cinica e vuota di valori, un mondo in cui la responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti del collettivo è abbandonata all’esaltazione della libertà individuale. Certo, una manifestazione non cambia il mondo. Gli africani che vendono accendini e fazzoletti, continueranno a dar fastidio a molti italiani, mentre altri – compresi noi comunisti – a volte diamo una moneta come gesto veloce e rapido per evitare di aver sensi di colpa.

La società multi culturale e – perdonatemi il termine – razziale, è ricca di difficoltà oggettive e può trasformarsi in un grosso problema per le classi più povere ed emarginate, se la sinistra italiana non si prende l’onore e l’onere di unire i lavoratori e gli esclusi sotto la sua guida. Una parte di essa ha deciso di occuparsi solo del ceto medio, peraltro facendo anche un pessimo lavoro, ma i comunisti presenti in piazza, alla manifestazione del 10 marzo, hanno ben visto quale è e deve essere la strada per una lotta importante, lunga e alla fine vincente: il rifiuto di considerare nemico persone di etnia diversa, non cedere alle parole di utili idioti rossobruni e fascisti ripuliti – come i “legaioli”, Fratelli d’Italia e affini che oggi ci ritroviamo in parlamento – ma creare avanguardie di lavoratori radicali e radicati.

Perché le fioriere si ricomprano, le vite umane distrutte dalle nostre guerre e dai terroristi spacciati per ribelli, quelle no. Al pensiero dominante liberal-capitalista e al fascismo di governo o dei casi clinici dell’estrema destra e alle quinte colonne rossobrune, si risponde non con discorsi vuoti e falsi o lacrime di circostanza, ma colla lotta di classe.

 

Immagine ripresa liberamente da ilfattoquotidiano.it

Ultima modifica il Domenica, 25 Marzo 2018 11:54
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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