Come chiaramente sottolinea Lisa Signorile in una condivisibile lettera aperta a presidente, vicepresidente e assessore all’agricoltura della provincia di Trento, il comportamento di Daniza non la configura alla stregua di un animale pericoloso: non è imprevedibile, non è assuefatto alla presenza umana (in effetti l’orsa ha paura dell’uomo). La soluzione prospettata, di catturare l’orsa e tenerla in cattività, con la possibilità dell’abbattimento “qualora […] dovesse provocare […] pericolo per gli operatori o per terzi”, è sproporzionata rispetto all’entità del problema, che visto da un punto di vista obiettivo non è nemmeno realmente un problema: un animale selvatico si comporta in maniera naturale e difende la prole da possibili aggressioni. È abbastanza chiaro come il caso sia colto in maniera pretestuosa: tanti, tra allevatori e coltivatori, non sono affatto contenti della presenza dell’orso in Trentino, e della decisione di rimpolparne la popolazione attraverso introduzioni dalla Slovenia (di cui Daniza fa peraltro parte). In quest’ottica, la politica da adottare nei confronti di Daniza rappresenta una presa di posizione molto più significativa della decisione in sé; se finora, nella polemica tra conservazionisti e contadini, le istituzioni si erano mantenute neutrali, in questo momento registriamo un forte scivolone dalla parte dei contadini.
È altrettanto notizia recente, e se n’è parlato abbondantemente su questa stessa testata giornalistica, il recente incontro nazionale Agesci che si è tenuto nel parco di San Rossore, con la partecipazione di trentatremila persone, una delle quali l’attuale presidente del consiglio dei ministri Matteo Renzi, e il beneplacito della confessione religiosa maggioritaria in Italia, il cui massimo esponente, pur non partecipando alla kermesse, ha espresso la sua vicinanza attraverso una telefonata. Ora, non per ripetere quanto già detto meglio da altri, ma trentamila persone hanno un impatto enorme sull’ambiente anche se lo rispettano. Trentamila persone, per quanto possano sforzarsi, anche parlando molto piano determinano un inquinamento acustico non indifferente; i bagni chimici necessari per la loro permanenza del sito hanno un impatto notevole; il loro odore rappresenta un ulteriore disturbo alle comunicazioni tra gli organismi che popolano l’area. La presenza simultanea di trentamila persone non è compatibile con la conservazione della natura che rappresenta il primo obiettivo di un parco naturale che ospita numerosi organismi, alcuni dei quali in Italia sono presenti quasi solo qua (si pensi a Periploca graeca, l’unica liana presente in Europa, o al raro coleottero Ceratophyus rossii), altri sono protetti da leggi nazionali ed internazionali. È peraltro verosimile che, se pure lo scrivente avesse trentamila persone sottomano per organizzare un evento di queste proporzioni, giustamente il Parco Regionale di San Rossore, Migliarino e Massaciuccoli negherebbe i suoi spazi anche pagando una quota appropriata. La concessione di questi all’Agesci è la conseguenza degli appoggi solidissimi che ha questa organizzazione – è ben difficile rifiutarsi di concedere spazi quando gli sponsor sono il governo e la chiesa cattolica.
Personalmente non sono convinto che il danno maggiore sia rappresentato dall’atto in sé; l’impatto dei trentamila scout verrà probabilmente assorbito dal parco, come anche l’eliminazione di un’orsa dalla popolazione trentina non determinerà un grave squilibrio nella situazione della specie – anche se in quest’ultimo caso l’evidente carattere simbolico e di precedente che ha questo intervento rende la situazione più preoccupante. Più grave dell’atto in sé, è il fatto che in ambedue i casi un’azione che è evidentemente contraria alle leggi correnti sulla protezione della natura venga caldeggiata e sponsorizzata dalle istituzioni regionali e/o nazionali. Un parco naturale ha come fine principale la conservazione della natura; ma con i giusti sponsor è possibile trasformarlo, anche se solo per pochi giorni, in una struttura ricreativa. L’orso è una specie protetta a livello regionale, nazionale e internazionale; ma se la provincia e la regione lo ritengono opportuno, è possibile derogare ad una lunga lista di convenzioni e leggi cui lo stato italiano aderisce e tappezzare di trappole una regione – tra l’altro in un altro parco naturale, quello delle Dolomiti del Brenta – perché un orso selvatico si è fondamentalmente comportato come un orso selvatico.
Il vero problema della conservazione della natura in Italia, in questo momento, non è nei contadini che vedono l’orso come una specie problematica perché uccide il bestiame e spoglia gli alberi da frutta, né nei pescatori che vedono la foca monaca come un pericoloso competitore per le risorse ittiche. Per quanto talora siano eccessive, queste preoccupazioni hanno un fondamento, e a queste è opportuno che le istituzioni rispondano. Il problema reale è che la maggior parte di coloro che dicono di amare e rispettare la natura ne hanno una visione profondamente distorta – ne hanno una visione colpevolmente ingenua, di un luogo dove pace ed armonia sono al nostro servizio e a nostra disposizione. In questa visione non è contemplato il lato minaccioso della natura, ciò che è fuori dal nostro controllo, e che lo rimane, come ben sottolinea lo scrittore Mauro Corona in un suo recente commento alla vicenda. Il rispetto per la natura significa anche accettare che alcuni suoi elementi sono al di fuori del nostro controllo, ed affrontarli con cautela e consapevolezza; pretendere una natura spogliata dei suoi aspetti pericolosi – in questo caso, pretendere che gli animali selvatici non aggrediscano se minacciati – è di un antropocentrismo spaventoso. Allo stesso modo, è necessario comprendere che la nostra presenza determina alterazioni nell’ambiente naturale, e che diversi ecosistemi non reggono l’impatto di un alto numero di persone – ed è quindi giusto accettare limitazioni al numero di coloro che vi sono ammessi – invece di costruirsi eccezioni con l’aiuto di appoggi in alte sfere.
Il problema, tuttavia, sono anche le istituzioni stesse, cui è affidato l’onere della conservazione della natura in Italia, che invece di chiarire questi punti, e riconoscere alla natura spazi inviolabili, vengono incontro a queste pretese, di fatto avallando l’idea che la natura è al nostro servizio, che decidiamo noi cosa vogliamo trovare nella nostra passeggiata e cosa invece non ci deve essere, e che le leggi sulla protezione della natura valgono fin quando non troviamo qualcuno di abbastanza potente cui appoggiarci – dopodiché possiamo fare pressappoco quel che ci pare. Di fronte a questo ambientalismo a buon mercato, che sbandiera uno sconfinato amore per una natura che non capisce – e vede in funzione del diletto umano, è ora quanto mai fondamentale sviluppare nei cittadini una consapevolezza reale riguardo la protezione dell’ambiente, che sappia accettare oltre alla bellezza e all’arricchimento anche il rischio e l’autolimitazione.