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Mercoledì, 10 Settembre 2014 00:00

Di come una buona notizia sia presentata in modo da fare paura…

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...ovvero, parliamo ancora di Ebola. Nella fattispecie, del caso sospetto registrato nelle Marche e immediatamente diffuso dalle principali testate nazionali, in alcuni casi con titoli quanto meno fuorvianti: per quanto dal punto di vista della correttezza formale nell’italiano non cambi nulla se diciamo “un sospetto caso di ebola” o “un caso sospetto di ebola” (tanto per fare un esempio), le due espressioni hanno un impatto lievemente differente, nel primo caso l’accento è posto sul “sospetto” (quindi sul fatto che non è certo), nel secondo è sul “caso”, volendo potremmo anche leggerlo come “un caso (sospetto) di ebola”, e ad elidere la parola tra parentesi ci vuole veramente poco, specie se si è molto preoccupati o un poco in malafede.

Riepilogando con un minimo di freddezza, cosa è successo esattamente? Una donna nigeriana regolarmente residente in Italia è stata ricoverata con febbre alta, dolori muscolari, nausea e vomito. Questi sintomi sono compatibili con numerose febbri emorragiche (ce ne sono diverse, e non tutte altrettanto gravi); sono compatibili anche con una varietà di malattie tropicali che non sono febbri emorragiche; sono, infine, compatibili anche con malattie perfettamente endemiche, ad esempio certe forme di influenza. Da come la situazione ci è stata descritta, dunque, non è affatto ovvio di cosa si tratti; potrebbe essere qualcosa di molto differente e neanche lontanamente così minaccioso. È da notare, a questo riguardo, come la gran parte dei casi sospetti segnalati nei paesi occidentali sia da ricondurre alla malaria, molto più diffusa e originariamente endemica anche nell’area mediterranea, e perfettamente curabile. In effetti possiamo arrivare ad asserire che se la persona che mostra quei sintomi fosse venuta da Pescasseroli o da Helsinki non avremmo neanche pensato all’ebola come possibile spiegazione.

Quindi i medici hanno esagerato con le misure di profilassi intorno a questa persona? No: i medici hanno fatto benissimo. Abbiamo già parlato di principio di precauzione, ossia dell’imperativo sanitario di porsi nella situazione il meno rischiosa possibile. È esattamente quello che stanno facendo i medici, assumendo lo scenario peggiore e preparandosi a reagire ad esso, pur nella consapevolezza che ci sono altri scenari più plausibili. L’articolo che abbiamo visto intitolato “Un caso sospetto di ebola in Italia” potrebbe essere intitolato in maniera più ottimista e veritiera “La sanità italiana applica correttamente il principio di precauzione”, oppure “Siamo un po’ più al sicuro perché abbiamo dei medici competenti”. Questa è una bella notizia, non qualcosa da utilizzare per generare allarme.

Dunque, sì, la notizia per come è raccontata è vera; sono i toni che suonano allarmisti, di fronte al fatto che, di qualunque malattia si tratti in questo caso, l’emergenza è stata affrontata nella maniera migliore possibile. Se aggiungiamo a questo che la Nigeria è il settimo stato al mondo per popolazione, nonché il più popoloso dell’Africa, con circa centosessanta milioni di abitanti, e su questa popolazione enorme (pari al triplo della popolazione italiana) si sono verificati nel corso di questa epidemia venti casi di ebola, possiamo riportare il nostro allarme a proporzioni più sensate. Allo stesso modo, un caso di ebola non corrisponde necessariamente ad un’epidemia di ebola, visto che, come ho spiegato nel mio precedente articolo a riguardo, la trasmissione non è semplice come i più sembrano pensare e non avviene per via aerea. Riassumendo, i medici hanno fatto benissimo a reagire come hanno fatto; noi faremmo benissimo a fidarci di loro.

Ultima modifica il Martedì, 09 Settembre 2014 21:45

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