Sabato, 21 Febbraio 2015 00:00

Infibulazioni e mutilazioni genitali femminili: oltre il sensazionalismo

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Di Mutilazioni Genitali Femminili e Stereotipi: un invito a decentrare il nostro sguardo etnocentrico

Il sei febbraio è stata la giornata internazionale dedicata alla lotta e alla prevenzione dell’infibulazione e delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF); per quest’occasione sono state organizzate numerose iniziative, sia a livello locale che internazionale, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema, portando molti media ad interessarsi a questo fenomeno.

Attorno a questo tema c’è però ancora molta ignoranza e qualunquismo, dovuti soprattutto al fatto che quando se ne parla si tende a ridurre la questione a un mero scontro tra civiltà. Nel momento in cui si affronta questo discorso arriverà sempre il saggio di turno a ricordarti come sei fortunata ad essere una donna occidentale, nata in un luogo dove c’è libertà e dove non vengono imposti usi e costumi “barbari” come le mutilazioni genitali femminili.

Queste risposte, frutto di pregiudizi e semplificazioni, mostrano palesemente quanto in realtà si sappia poco di questi fenomeni. Con questi discorsi, da una parte si demonizzano le culture dei paesi in cui queste pratiche sono diffuse e dall’altra si crea l’alibi perfetto per ignorare i problemi della nostra quotidianità: chi dibatte in questi termini non si allontana dalla profondità critica e analitica di “e allora le foibe?”.

L’illusione di vivere in un paese secolarizzato porta a una visione paradossale, in quanto l’idea che esista un occidente dove la donna risulti libera ed emancipata da tradizioni o imposizioni culturali risulta assai ridicola se confrontata con la situazione del nostro paese; un esempio su tutti è l’influenza della cultura cattolica/tradizionale e della chiesa in materia di aborto e di contraccezione d’emergenza (ne abbiamo parlato a proposito della pillola dei cinque giorni dopo qui).

Oltre ad “assolverci” dai nostri peccati, la mentalità dicotomica che oppone l’occidente ai “barbari” ci impedisce di concentrare l’attenzione sulle vere protagoniste della questione: le donne che hanno vissuto sulla propria pelle le MGF.

Troppo spesso la centralità del problema non è la salute o la libera scelta della donna, ma i pregiudizi e i rapporti di potere del mondo odierno. Il dibatto sulle MGF risulta quindi parte di un discorso più ampio, che tende a interpretare le relazioni tra i sessi e le differenti maniere di vivere la sessualità come essenze, come il risultato di differenze culturali intraducibili e particolaristiche: le mutilazioni genitali femminili (ma non solo: altri esempi possono essere la questione del velo islamico, l’immolazione delle vedove, la poligamia, ecc.) divengono questioni centrali nel dibattito tra colonialismo e anti-colonialismo, tra oriente e occidente.

L’utilizzo della retorica dei diritti umani e di idee femministe diviene quindi una scusa per attaccare l’alterità, il più bieco razzismo viene nascosto dietro una maschera piena di valori umanisti.

Così affrontati i discorsi sopra le MGF si trasformano nell’ennesima dimostrazione di come patriarcato e colonialismo si combinino, oscurando completamente la voce delle persone interessate; in questo caso la volontà della donnaviene oscurata da una parte dall’occidente, che vorrebbe difenderle da queste pratiche “arretrate”, dall’altra da una mentalità patriarcale di chi difende questa pratica in nome della tradizione.

L’idea di riuscire a elaborare una critica al di fuori dei pregiudizi e di una retorica post-coloniale risulta quindi fondamentale al fine di elaborare un discorso coerente, che si interessi sul serio alla salute e alla autodeterminazione delle donne.

Con ciò non intendo minimamente giustificare le pratiche delle MGF, ma semplicemente ripulire questo discorso dai pregiudizi sessisti e razzisti che troppo spesso emergono quando si parla di queste questioni.

***

Iniziamo col definirle: con MGF si intendono tutte quelle pratiche che comportano una rimozione, parziale o totale, dei genitali esterni o di altri organi genitali femminili, per ragioni che non siano mediche o curative. Esse possono essere pratiche escissorie, attuate tramite la rimozione dei genitali esterni, oppure possono riguardare operazioni quali la clitoridectomia e l’infibulazione. La prima consiste nell’esportazione, totale o parziale, della clitoride, mentre la seconda è una pratica che comporta la cucitura quasi completa dell’orifizio vaginale.

L’OMS (organizzazione mondiale della sanità) divide queste pratiche in cinque categorie, ma in realtà esistono innumerevoli varianti di questa pratica, più o meno invasive che partono dalla circoncisione faraonica (che prevede l’infibulazione e l’escisscione delle piccole labbra e parte delle grandi labbra) alle MGF “simboliche”, nelle quali è prevista solo una foratura o un escissione, con lo scopo di far uscire solo qualche goccia di sangue.

In ambito antropologico si tende a parlare non di mutilazioni, bensì di modificazioni, al fine di evitare i toni sensazionisti delle campagne umanitarie; ciò poiché il termine “mutilazione” dà dei giudizi di valore a prescindere, diventando di per sé controproducente: se si condannano immediatamente le MGF, non si ha tempo di comprenderne le cause di fondo, e di conseguenza non si avranno gli strumenti per dibattere seriamente sul fenomeno.

Capire le ragioni alla base delle MGF è complicato, sia per l’eterogeneità di queste pratiche , sia per le implicazioni etiche-politiche attorno ad esse, oltre che per le difficoltà di riuscire a ricostruire le singole esperienze. Si tratta difatti di un argomento molto intimo, attorno al quale è facile che si creino dei veri e propri tabù.

Si possono però fare alcune considerazioni di base, al fine di farsi un idea generale del fenomeno.

Innanzitutto questo tipo di pratiche non sono presenti solo nel continente Africano, ma sono diffuse in tutti i continenti: si ritrovano comunità che attuano MGF nella penisola arabica, in Israele, in alcune zone dell’Oceania e in seguito alle migrazioni, anche in Europa e negli Stati Uniti. Secondo alcuni autori vi sarebbe traccia di questi rituali anche in alcune zone del sud America e nell’Asia Meridionale (India, Pakistan e Sri Lanka).

Contrariamente a quanto si pensa esse non sono legate a nessun tipo di religione, tantomeno quella islamica: esistono infatti pratiche di MGF pure tra i cristiani e gli animisti. Anche l’età in cui la donna subisce questa operazione varia a seconda del contesto e del tipo di rituale effettuato. Solitamente si tratta di donne molto giovani in quanto la maggior parte delle volte questa pratica viene fatta prima del matrimonio.

Altra questione rilevante è il fatto che nel discorso delle MGF gli uomini hanno un ruolo tutto sommato marginale. Le exciseuse, esecutrici materiali delle MGF che hanno scelto o ereditato questa professione, sono spesso donne. Inoltre spesso sono le madri, non i padri, che portano le figlie a sottoporsi all’operazione. Le MGF, tranne in alcuni casi, non sono pratiche che si perpetuano a causa dall’imposizione diretta di un padre-padrone; alcune volte sono le donne stesse che decidono di propria volontà di voler effettuare questo rito, in alcuni casi anche contrastando il volere dei propri genitori.

Cosa c’è quindi alla base di queste pratiche? Cosa porta le donne a compiere queste dolorose operazioni sul proprio corpo?

Le MGF vengono considerate come “riti di passaggio”, in quanto queste pratiche hanno un importante ruolo nella costruzione dell’identità etnica e di genere nonché nella ridefinizione del ruolo sociale delle donne, contribuendo così a definire l’equilibrio sociale e individuale di una comunità. È comunque difficile ricostruire i precisi significati delle MGF, in quanto non esiste una spiegazione universale, ma ogni contesto ha la propria peculiarità.

Uno dei principali significati attribuiti alle MGF è legato all’appartenenza ad una precisa identità di genere, e al controllo della sessualità femminile.

In molte culture esistono rituali, usi e costumi che hanno lo scopo di enfatizzare l’appartenenza ad un determinato sesso ed in questo modo allontanano il corpo biologico dalla confusione e dall’androginità infantile. Così facendo non si sancisce solo un passaggio da un’età della vita ad un’altra, ma si istituisce, si consacra la differenza tra i sessi.

Da questo punto di vista le MGF hanno lo stesso significato che gli italiani danno al make-up, alle gonne e alla depilazione: sono strumenti che servono a rendere “femminile” la donna. Nel caso delle circoncisioni femminili, come quelle maschili, lo scopo è quello di eliminare gli organi sessuali ibridi, ossia il prepuzio e la clitoride, creando così modelli di “uomo” più maschili e di “donna” più femminili. In questo caso, la funzione delle MGF è anche estetica.

Non si tratta però solo di un atto fisico: con quest’operazione vengono sanciti i ruoli sessuali e sociali dei due generi: da una parte abbiamo una sessualità maschile che viene esaltata mentre dalla parte opposta troviamo l’inibizione della sessualità femminile. Reprimendo gli impulsi sessuali femminili la donna viene relegata ai ruoli di moglie fedele e madre. In questo modo il ruolo di genere viene inciso nel corpo delle persone: una donna non operata diviene quindi una non-donna, che proprio per questo potrebbe essere considerata addirittura sterile e che difficilmente si sposerà.

In alcuni casi il matrimonio è per le donne l’unica possibilità di avere un ruolo attivo nella società, di conseguenza per una madre non operare la propria figlia significherebbe impedirgli di avere un futuro.

Soprattutto se l’intervento prevede l’infibulazione, le MGF possono essere anche concepite come salvaguardia della “purezza” della donna, come custodia della sua “condotta morale”; questa condotta morale è basata su quei valori religiosi (inclusi quelli cristiani) che vedono nella verginità pre-matrimoniale una delle principali virtù femminili. Negli ambienti di guerra, seppur è più difficile praticare quest’operazioni, le infibulazioni rivestono un investimento emotivo maggiore in quanto possono essere viste come una protezione dalle violenze sessuali.

Da quest’ottica le MGF risultano il frutto di una cultura egemonica tesa a disciplinare i corpi e a mantenere precisi ruoli di genere. Meccanismi che non sono per nulla estranei alla “nostra” cultura.

Un altro significato è legato all’appartenenza culturale, in quanto le MGF possono essere un simbolo della propria appartenenza ad una comunità; in questo caso, soprattutto per i migranti, le MGF possono diventare una forma di resistenza al pensiero imperialista e alla integrazione forzata imposta dalla cultura occidentale. Quest’ultima visione delle MGF mette in luce l’ennesimo paradosso: etichettare e screditare le MGF come frutto di culture barbare può essere inclusa tra una delle cause per cui questi rituali tendono a perpetuarsi.

Se si vuole realmente affrontare questo fenomeno, non si può quindi ignorare i significati reali e l’importanza che rivestono le MGF.

L’avversione per queste pratiche da parte della comunità internazionale è però incentrata, più che sugli aspetti simbolici, sulle conseguenze che le MGF comportano a livello medico: nella maggior parte dei casi (soprattutto nelle infibulazioni) esse causano diversi problemi, sia fisici che psicologici. Le MGF possono risultare molto dolorose, non solo nel momento in cui vengono fatte ma anche sul lungo periodo, soprattutto durante il ciclo mestruale e comportando gravi rischi per la salute sessuale e riproduttiva della donna; inoltre le MGF possono ridurre o interferire con il piacere sessuale. Infezioni e complicanze durante l’operazione, o durante il parto possono comportare nei casi più gravi la morte della donna stessa.

Questi problemi variano a seconda del tipo di MGF effettuata e dal come viene effettuata: in molti paesi (tra cui l’Italia) le MGF sono considerate illegali, di conseguenza vengono fatte clandestinamente. Nel caso delle MGF clandestine è più probabile che ci siano meno controlli sulle condizioni igienico-sanitarie di questa operazione, aumentando così i rischi di infezioni.

C’è un ultimo punto da considerare: se pur in contesti diversi, forme particolari di MGF sono da sempre esistite in occidente, anche prima delle migrazioni di massa: nell’età vittoriana la clitoridectomia era una pratica diffusa in quanto considerata una terapia a “malattie” quali l’isteria, il “saffismo” e l’epilessia; fino agli anni sessanta del novecento questa pratica veniva invece utilizzata negli Stati Uniti e in Australia come cura a “deviazioni sessuali” quali la masturbazione eccessiva e la ninfomania. Si possono ritrovare anche nell’attualità casi di MGF in occidente, che non riguardano i migranti: la definizione di MGF si può estendere anche a interventi “forzati”, quali la ridefinizione dei genitali per i bambini intersessuali e la costrizione alle persone transgender di effettuare un’operazione chirurgica per vedersi riconosciuta la propria identità di genere. Inoltre alcuni interventi di chirurgia estetica che vengono effettuati per adeguare i propri genitali allo standard di bellezza proprio dell’industria del porno occidentale, possono portare a delle modificazioni corporee tali da compromettere la sensibilità di questi organi e il proprio piacere sessuale.

 ***

Come si può dunque opporsi alle MGF, senza ricadere nei cliché barbari-civilizzati, senza ridurre i discorsi sulle MGF a visioni paternalistiche e assistenzialistiche?

Innanzitutto bisogna rendersi conto che un fenomeno così complesso se fosse appartenuto alla “nostra” società non sarebbe analizzato e discusso in maniera così banale e forviante. Per qualche oscuro motivo si ha la tendenza a giudicare in maniera manichea tutto ciò che è estraneo alla nostra quotidianità, riconoscendo la complessità della vita solo quando guardiamo noi stessi: tutto ciò che non ci riguarda non va approfondito, ma fissato nelle categorie mentali di cui già disponiamo.

Ciò non sta a significare però che dobbiamo astenerci dal prendere posizione sulle Mutilazioni/modificazioni genitali femminili: rifiutarsi di ripudiare in toto le MGF senza capirne prima il significato non è da considerarsi come un “eccesso di relativismo”, che porta inevitabilmente alla difesa e alla non-criticabilità di ogni “tradizione”, ma è un modo di interrogarsi sulla realtà al dì là dei pregiudizi.

In secondo luogo bisogna togliersi dalla testa l’idea di vedere le donne, ed in particolare le donne del cosiddetto “terzo mondo” come un blocco monolitico, come un insieme indistinto di povere vittime. L’osservare paternalisticamente il fenomeno delle MGF, compatendo le “povere donne indifese” in preda ad una cultura tribale e a feroci uomini barbari non solo comporta una visione estremamente etnocentrica della realtà, ma porta come unico risultato il farsi (giustamente) odiare dalle stesse persone che ufficialmente si voleva “difendere”.

Detto questo, la soluzione è semplice: bisogna sapere quello di cui si sta parlando (ahimè, sembra una banalità, ma purtroppo non lo è) e bisogna ascoltare le voci di quelle donne che hanno vissuto in prima persona queste problematiche, sia quelle che considerano questo rito come parte importante della propria identità, sia quelle che hanno lottato e si sono opposte alle MGF (anche se solo “simboliche), ribellandosi alla “tradizione” e alle norme sociali.

Queste donne sono persone e come tali agiscono nell’ambiente circostante, in maniera tutt’altro che passiva: chi fa questi rituali ha una volontà propria e decide in maniera autonoma di continuare o non continuare questa tradizione. Queste donne non hanno bisogno di essere salvate, in quanto le loro azioni sono rivolte sempre a ciò che loro considerano più giusto.

Ciò che a mio avviso è importante fare è supportare è l’autodeterminazione e la libera scelta di ciascuna: in questo senso, molte associazioni lavorano sulla diffusione di informazioni necessarie sulle MGF, al fine che la singola possa fare una scelta consapevole.

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Rivolgo quindi il mio invito a tutti i paladini della libertà occidentale: se incominciamo a guardaci intorno ci rendiamo conto di come in Italia esistano questioni come il fat-shaming, l’eteronormatività, il femminicidio, che sono strettamente legati alla normativizzazione del corpo e al controllo della sessualità; questi fenomeni causano effetti collaterali quali problemi psichici e fisici, dolore e riduzione o eliminazione del piacere sessuale. Nei casi più gravi portano alla morte.

Non è che alla fin fine, siamo barbari pure “noi”?

Ultima modifica il Sabato, 21 Febbraio 2015 11:03
Elena De Zan

Nata a Treviso nel 1987, ha successivamente vissuto tra Bologna, Bucarest e Firenze. Femminista appassionata di musica, si interessa di politica, sociologia, antropologia e gender studies.

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