Non bisogna tuttavia dimenticare che nel corso delle trattative intercorse dopo la vittoria di Syriza la BCE, e in particolar modo Mario Draghi entrano, direi a gamba tesa, usando il ricatto della leva economica togliendo cioè alle banche elleniche l'accesso al credito (normali aste di liquidità) giudicando il programma di salvataggio greco a rischio. Imponendo in maniera palese e non più mitigata da qualche orpello di democrazia il primato dell’economia sulla politica.
Noi l’abbiamo definito un colpo di stato quello di Draghi teso ad orientare direttamente il voto dei Greci spaventandoli alla vigilia delle elezioni: evidente segno che questa Europa non è quella, se mai lo è mai stata, dei popoli e della coesione ma bensì quella del capitale e dei poteri forti.
Il Referendum del 5 luglio in Grecia conferma a Tzipras un successo profondo, un consenso superiore a quello registrato persino alle elezioni. I fatti successivi già li conosciamo, nonostante proprio in quei giorni ad Austria e Ucraina si conceda la ristrutturazione del debito alla Grecia viene imposto un nuovo Memorandum con condizioni ancora più dure delle precedenti segno evidente che quello che si vuol colpire è la svolta a sinistra del popolo greco, bisogna comunque anche qui sottolineare che in italia riforme simili fatte da Mario Monti prima e da Renzi poi sono passate senza una vera opposizione.
Le Elezioni del 20 settembre confermano non solo Tzipras come uomo politico ma anche Syriza come partito, evidente segno che alla base del successo c’è un radicamento reale tra questa organizzazione e la popolazione greca costruito in anni di lavoro. Non bisogna tuttavia dimenticare altre formazioni, che vanno da KKE a “Unità Popolare” e altri, compartecipi nello spostamento a sinistra del popolo ellenico, partiti che seppur con minor successo elettorale, stanno ad indicare un bisogno diffuso di costruzione di un nuovo modello sociale, una presa di coscienza collettiva che, pur con le dovute differenze, rappresenta nella sua totalità la gran lunga maggioranza del paese.
Alla luce di questo come comunisti non possiamo lasciare Syriza e i compagni greci da soli in questa Europa, ma è doveroso costruire e far sviluppare il conflitto anche in Italia e su questo far crescere un soggetto unitario che riesca ad attrarre su proposte concrete e su risultati misurabili. Penso che sia doveroso lavorare a un nuovo soggetto della sinistra senza pensarlo solo come mero strumento elettorale ma un soggetto con pratiche sociali che dia risposte concrete ai bisogni.
Sarebbe errato pensare che la deriva neoliberista del PD sia solo un fatto momentaneo o dovuta al cambio di vertice, Renzi è la vera emanazione di questo partito, per dirla con una battuta è il miglior segretario che potessero mettere in campo, il cambio di pelle di questo partito è il frutto di un cammino lontano, l’abbandono della centralità di classe e la conseguente adesione alla socialdemocrazia del PSE e l’appoggio al governo Monti sono solo le punte di iceberg di una mutazione genetica, un partito la cui deriva a destra è irreversibile.
Dobbiamo pensare a una Sinistra alternativa al PD, alle politiche neo liberiste, contraria alle politiche d’austerità che hanno prodotto l’impoverimento crescente di fasce sempre più ampie di popolazione e l’arricchimento sempre maggiore di una minoranza del paese. Una sinistra alternativa al PD che può e deve definirsi di governo e proprio perché sinistra di governo non può più ridursi a strapuntino al PD, una sinistra che abbia quindi una collocazione chiara nel gruppo Europeo del GUE/NGL e giova qui ricordare che proprio in Italia è nata la sinistra europea (Bertinotti).
Qual è l’idea di fondo che muove questo progetto? La mia convinzione è che occorre dare una risposta ad una crisi devastante funzionale a smantellare il sistema dei diritti e dello stato sociale frutto delle conquiste dei lavoratori, funzionale a un restringimento in senso autoritario della democrazia rappresentativa, che riduce la partecipazione ad una chiamata ogni cinque anni.
Una risposta politica che non può più avere, come riferimento privilegiato, il terreno disastrato della rappresentanza e della delega istituzionale.
Non possiamo quindi pensare che esistano deleghe istituzionali in bianco ma che l’impegno anche nelle istituzioni sia funzionale alla difesa e alla ricostruzione dei diritti ottenuti con le grandi lotte del 900, serva cioè alla ricostruzione del conflitto sociale e, insieme a questo, alla ricostruzione di luoghi di resistenza, di solidarietà, di socialità. Spazi pubblici dove gli interessi e le culture, di chi non può e non vuole arrendersi, possano ritrovarsi e ricostruire il senso di una speranza collettivamente condivisa, di un diverso progetto di società e di convivenza civile.
In questo non possiamo chiedere a chi in questi anni si è battuto contro le truppe pesanti mobilitate dal capitalismo di abbandonare il proprio bagaglio culturale e di esperienza sul campo, tuttalpiù che generosamente lo metta a disposizione di tutti.
Creare una rete che metta in relazione i conflitti in essere, che riesca a farli traghettare dal livello locale a quello più grande di un contesto nazionale, se non e perché no! Europeo, questa credo che sia la vera sfida che ci attende.
Immagine presa da www.politico.eu