Nel dettaglio, colpi di testa referendari esclusi, si parla per gli studenti di 400 “superborse” per neodiplomati con voti alti e dell'esclusione dalla contribuzione universitaria per gli universitari con ISEE inferiore a 13'000 euro; per le università si prevedono ulteriori fondi premiali per i dipartimenti “migliori” e di un bonus per i ricercatori “migliori” da spendere in non meglio precisato “aggiornamento”, di cui non parlerò in questo articolo se non per far notare come si provi nuovamente a far funzionare il sistema della “premialità” basata sui risultati della ricerca, misurati tramite indicatori dalla scientificità opinabile, per mascherare la tragica emergenza di un reclutamento di personale docente universitario in bancarotta, meno 20% rispetto al massimo storico, strettamente collegato con il triste declino della – a parole idolatrata – qualità dei corsi di studio e (ovviamente) delle immatricolazioni.
Partendo dalla misura meno problematica, la “no tax area”, le cifre smentiscono la retorica del governo: una soglia a 13'000 euro è di sicuro un passo avanti di civiltà, ma non può bastare. Esistono atenei che già prevedono aree di esenzione molto più ampie, per fare un esempio virtuoso a Pisa grazie all'impegno del principale sindacato studentesco l'anno scorso la detassazione è stata estesa a tutti gli studenti con meno di 20000 euro di ISEE, anche per fare fronte all'aumento generalizzato degli indicatori causato dal “nuovo ISEE”. Vero è che purtroppo esistono anche Atenei che non prevedono riduzioni “universalistiche”, la “fasciazione”, della contribuzione universitaria (prevedendole con un mix CFU/reddito o solo per “merito”) e che l'Italia si colloca stabilmente ai primi posti in Europa in quanto a contribuzione universitaria, in una fase storica in cui molti Paesi anche non “periferici” pensano all'università gratuita e implementano una decontribuzione totale. In questo contesto è assolutamente necessario e urgente ripensare la politica complessiva e la stessa autonomia degli Atenei, per esempio introducendo una “no tax area” di almeno 20'000 e l'obbligo della fasciazione per reddito, una soglia massima bassa alla contribuzione universitaria (l'attuale rapporto tasse/FFO, oltre ad essere criticabile in sé, non ha più alcun senso data l'esclusione dei contributi pagati dai fuoricorso dal totale del numeratore), sopperendo all'ammanco di bilancio con un massiccio rifinanziamento dell'FFO – nell'ottica di tornare a far gravare progressivamente il sistema universitario sulla contribuzione generale e non sulle famiglie degli studenti. Più nel lungo periodo sarebbe opportuno che il Paese affrontasse il tema della gratuità della formazione universitaria.
Altro triste primato italiano è quello di ultimo Paese europeo in quanto a studenti coperti da borsa di studio, solo il 7% contro più del 20% di Francia e Germania. Inoltre non sono poche le regioni che ancora registrano percentuali vergognose di “idonei non beneficiari”, anche al nord: il Piemonte in questo senso a causa dell'incapacità e del furore ideologico della giunta Cota è un esempio assolutamente negativo. In questo desolante quadro 400 “superborse” da 15000 euro anche superficialmente non possono non sembrare uno sberleffo. Queste “superborse” verrebbero assegnate, con un meccanismo misto reddito/”merito”, esclusivamente a studenti diplomatisi con una media elevata nei precedenti anni di scuola superiore e facenti parte di un nucleo familiare con ISEE sostanzialmente compatibile con le borse di studio “normali”. Si iscrivono quindi del tutto nella retorica “inegualitaria” del “merito”, già sottoposta a critiche devastanti da più parti e particolamente crudele in Italia, Paese con diseguaglianze socioeconomiche e geografiche, e quindi di outcomes educative, abissali (per una disamina più approfondita v. Carlo Barone, Le trappole della meritocrazia, Il Mulino, Bologna 2012; utile può essere anche la lettura del romanzo distopico che ha coniato, in termini negativi, il termine “meritocrazia”, anche in una bella edizione recente: Michael Young, L'avvento della meritocrazia, Comunità, Milano 2014). Anche i pochi spiccioli di “aumento” del fondo per il diritto allo studio confermati per l'anno prossimo non sono che un palliativo dopo un decennio di tagli e di caos gestionale.
In conclusione non credo che nessuno che abbia a cuore le sorti dell'Università italiana possa dichiararsi soddisfatto. Si prosegue indefessi sulla strada delle misure ideologiche inaugurate con i tagli della 133, magari corrette da qualche correttivo cosmetico e giustificate dalla retorica dell'università corrotta, “inutile” e nepotista. Andrebbe invece recuperata una visione integrale della qualità della formazione terziaria, puntando a offrire una formazione efficace – e non solo efficiente – e di massa, nonché a un ruolo di parte fondamentale di uno Stato fornitore primo di occupazione di qualità (v. Hyman Philip Minsky, Combattere la povertà – lavoro non assistenza, a cura di R. Bellofiore e L. Pennacchi, Ediesse, Roma 2014), elementi necessari alla sopravvivenza di un Paese sviluppato in un mondo che si muove – con luci ed ombre, ma inesorabilmente – verso la dimensione dell'automatizzazione e dell'economia della conoscenza.