Lunedì, 29 Aprile 2013 00:00

Ora e sempre … ?

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Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale.

Così Pier Paolo Pasolini nei suoi Scritti corsari (1975) fotografava l'italiano intorpidito dalla cultura massmediatica.

Quello che è avvenuto negli ultimi mesi ben evidenzia come quella fotografia scattata nel lontano '75 non abbia perso nitidezza. L'attualità è straordinariamente simile: “tutto cambia per restare com'è”, “tutto scorre senza passare davvero”. Chi sono i responsabili di questa impossibilità a cambiare davvero se non noi ? Chi può attuare davvero un cambiamento se non noi?  L'incuranza della memoria storica ci ha condotti ad uno sradicamento identitario tale che, anche nelle situazioni più disperate (come l'attuale), non sappiamo far altro che frignare e aggrapparci in massa ai capipopolo, dimenticando il più grande insegnamento rivoluzionario: “la rivoluzione è una forza che deve iniziare dentro di noi.” (E. Che Guevara). E' il popolo a dover acquistare coscienza, a dover agire di conseguenza, unendo le tante singolarità e identità diverse in un comune scopo collettivo. È, infine, solo il popolo a potersi liberare, se di libertà vogliamo parlare davvero.

Egemonizzazione dell'opinione pubblica

A partire dal 150° dell'Unità abbiamo visto manifestazioni celebrative della memoria storica perdersi in pure occasioni ludiche, in cui un momento prima si ricordava un evento storico cruciale e un attimo dopo si andava a fare shopping per le vie del centro e ci si perdeva in “notti bianche” assai poco celebrative. La macchina del marketing, ovviamente, ha incentivato questo distacco totale dal momento riflessivo per esaltarne il momento emotivo. Inoltre, spesso la retorica ha annegato quello che rimaneva della memoria storica, creando miti e narrazioni spesso discutibili e storpiate.

Impossibile non notare come nelle manifestazioni patriottiche trascorse si sia ampiamente trascurato il ruolo fondamentale nella la creazione dell'italiano svolto della Resistenza. Si è tanto parlato del “fare gli italiani”, ma si è totalmente sorvolato sul momento fondativo della coscienza popolare. Le celebrazioni che riprendevano costantemente l'elemento monarchico, si caricavano poi di continui elogi alla carta albertina, con monumenti che continuano tuttora a venire riproposti, nonostante siano ormai trascorsi due anni dalla conclusione del centocinquantesimo (rif. http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o37248). 

Poco importa che quello Statuto e quella istituzione monarchica siano stati lì durante l'intero periodo fascista. Basta non rimarcare le profonde responsabilità - sia della carta che dei regnanti - con il regime fascista e tutto torna appetibile, riproponibile, con rinnovata freschezza ed entusiasmo. In questi giorni giustamente si parla di Re, e a gettare uno sguardo su quelle che sono state le ultime manifestazioni patriottiche risulta difficile non vedere come l'opinione pubblica sia stata preparata ad accoglierne la figura. Certo, il mio occhio può risultare un po' torinocentrico, ma proprio qui - nell'ex Regno di Sardegna che conquistò l'Italia - si misura meglio la distanza da quella che fu la lotta di liberazione nazionale per la costruzione della Repubblica.   

Politicizzazione della storia del Paese

Riprendendo Pasolini possiamo quindi sicuramente affermare che l'italiano frastornato difficilmente riesce a cogliere a pieno lo sviluppo storico del proprio paese nella sua completezza. Viceversa, si limita a ricordarne frammenti, a volte anche insignificanti o comunque di scarso rilievo, tuttavia, quello che il cittadino riesce a percepire molto bene e a ricordare sono gli “eventi” e quello che fluisce attraverso il bombardamento massmediatico che gravita attorno ad essi. Ed ecco allora farsi il vuoto attorno all'esperienza resistenziale, sistematicamente messa in sordina da ormai diversi anni. Chi non ha avuto la fortuna di vivere nei luoghi della Resistenza, chi non ha avuto un parente o un insegnante a spiegargli quell'esperienza vive il momento come qualcosa di insignificante ed esterno a sé. Parlando con la gente comune ci sentiamo ripetere un'infinità di amenità, filtrate come pensiero unico in oltre mezzo secolo di noncuranza della memoria storica: il merito della liberazione è degli americani, i partigiani erano insignificanti, fino ad arrivare al ribaltamento totale della memoria, ossia al vero e proprio “rovescismo, fase suprema del revisionismo” coniato da A. d'Orsi. Nell'ultimo ventennio abbiamo poi dovuto assistere al vero assalto alla memoria dell'esperienza resistenziale. Alfieri di questo assalto sono stati indubbiamente pseudo-storici dai bestseller facili e i soliti giornali che ormai conosciamo. Il tutto senza alcun serio richiamo istituzionale. 

Meglio poi non gettare lo sguardo verso la politica e la sua pressante richiesta di parificazione tra i “ragazzi di Salò” e i partigiani. Una richiesta che se è stata unitaria a destra, ha spesso trovato difensori anche a sinistra, il più famoso di questi è il “saggio” L.Violante, ma potrei continuare. Le ambiguità della sinistra sul tema sono poi andate intensificandosi (guarda caso da quell'89, data spartiacque). Al revisionismo politico, spesso si è accompagnato il revisionismo storico, ovviamente non limitato solamente all'esperienza resistenziale (vedi ad esempio D'Alema su Gramsci). 

In un paese normale la condanna equanime dei “ragazzi di Salò” sarebbe stata un aspetto imprescindibile per una Repubblica fondata su comuni basi ideali. Invece, gli oppositori alla Repubblica che combattevano per la Germania nazista potevano essere posti sullo stesso piano di chi, per la Repubblica Italiana, si era fatto fucilare, impiccare e torturare. Negli ultimi decenni su questo tema centrale per l'italianità si registra una spaccatura non insignificante: sia del quadro politico che, di conseguenza, dell'opinione pubblica indirizzata verso altri lidi da consigli neppure più tanto miti. Vediamo di capire come può essere accaduto. 

Centralità della Resistenza nella Storia d'Italia. Un punto sul quale il paese potrebbe essersi spaccato ben prima dell'attuale frattura.

La centralità della figura del partigiano nella storia d'Italia viene spesso data per scontata: vengono ricordati i “martiri”, ma raramente viene evidenziato l'esempio di vita dei soggetti protagonisti della Resistenza. Il rischio è quello di riportare a galla un passato politico che è stato sistematicamente infangato prima dal revisionismo e poi dal post-ideologismo. Infatti, il partigiano viveva tutti i giorni la “tensione morale” che ricordava Pasolini, spesso portando la coerenza fino al sacrificio estremo della propria persona. Un sacrificio consapevole che si esercitava anche oltre confine, nella battaglia contro una specifica forma degenerata del capitalismo. 

Rimanendo all'Italia, c'è un elemento molto chiaro a tutti che sta sparendo sempre di più dal programma politico, questo elemento è fondativo della Repubblica ed è la Costituzione. L'impianto istituzionale, nonché i principi fondativi della carta costituzionale, sono stati e vengono costantemente posti sotto attacco. La battaglia portata avanti da Berlusconi è stata completamente assimilata dal centro-sx e, come se non bastasse, giungono pure gli sforamenti alla carta costituzionale di Napolitano. 

Se poi pensiamo a cosa rappresenta storicamente, prima ancora che politicamente, la nostra Costituzione non possiamo non notare la messa in discussione dei valori fondanti dell'esperienza che sta dietro a quella carta. Il revisionismo della seconda repubblica si è trasformato in post-ideologismo e siamo approdati ad una nuova fase costituente: nuova ideologia per un nuovo ordine politico. La difesa a oltranza di quel documento è un discrimine molto netto nella politica odierna: riservato ad una ristretta minoranza, mentre tutti gli altri mantengono un rispetto che è tanto ossequioso quanto liturgico verso la Costituzione e i suoi principi. Poi, si mostrano subito pronti a decretarla “vecchia” e a “rottamarla” in nome dell'efficienza e della governabilità imposti dal mercato. Ancora una volta c'è la degenerazione del capitalismo ad intaccare la base democratica, ma nessuno sembra percepire l'emergenza.  

Proporre il recupero filologico del pensiero e dell'esperienza resistenziale, evitando ogni possibile revisionismo e post-ideologismo, per riprendere il percorso democratico repubblicano interrotto, dovrebbe essere, un obiettivo condiviso da ogni democratico, oltreché schiettamente comunista. Il dubbio che sorge spontaneo in una sinistra schiacciata tra M5S e PD-PDL è se siano rimaste altre anime politiche a difendere quest'operazione archeologica …

Immagine tratta da www.historynotes.info

Ultima modifica il Domenica, 28 Aprile 2013 22:43
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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