L’argomento che viene preso di punta dalla dettagliata cronologia fornita da Steccanella è delicatissimo, nonché un tema ampiamente demonizzato e censurato negli ultimi trent’anni, cioè da quando negli anni Ottanta si è assistito alla più gretta regressione culturale del Novecento dalla quale non ci siamo ancora ripresi. Il nostro sprofondare nelle amenità dell’età postmoderna è infatti un problema dal quale non ci riprenderemo se non avremo la forza di reagire collettivamente contro l’individualismo e la chiusura nel privato che negli anni Ottanta hanno accompagnato l’offensiva neoliberista.
Gli “anni di piombo” sono al centro del resoconto che ci viene fornito dall’avvocato bolognese che, al contrario di quello che si può pensare prendendo in mano una cronologia, non è affatto scevro da commenti e opinioni. Lo stesso sottotitolo ci fornisce già una precisa scelta di campo da parte dell’autore che non esita a definire la lotta armata degli anni di piombo una “rivoluzione mancata”. L’attenta ricostruzione del contesto storico è degna di chi è intento a ristabilire la verità storica, coperta dalla retorica del potere statale nel quarantennale del sequestro Moro.
La partecipazione ampia dei settori proletari provenienti dalle periferie disagiate alla lotta armata e il consenso raccolto nella società civile raccontano una realtà totalmente ribaltata rispetto alla narrazione che viene data dal mainstream. Non fu un manipolo di terroristi ideologizzati ad agire in quegli anni e i numeri che ci vengono restituiti dall’indagine di Steccanella parlano da soli: «269 sigle armate, 36.000 cittadini inquisiti di cui 6.000 condannati, 7.866 attentati compiuti»1.
La reazione spontanea della società all’abbraccio mortale tra DC e PCI che determinava un allineamento al blocco delle “democrazie” occidentali, evidentemente non percepite come tali da una larga fetta della popolazione che era a conoscenza delle brutalità degli alleati fascisti nella Spagna franchista e nel Cile di Pinochet, risulta evidente da tutti i resoconti che parlano di azioni di appoggio fornite dai civili. E’ altrettanto evidente che la sopravvivenza di tante sigle armate attive sul territorio per un numero considerevole di anni è qualcosa che non sarebbe potuto avvenire senza la possibilità di muoversi in mezzo al popolo “come pesci nell’acqua”.
La ricostruzione storica dei fatti che incendiarono la miccia della lotta armata, dagli scontri di Corso Traiano a Torino alla battaglia di Valle Giulia a Roma alla strage di Piazza Fontana e allo stragismo di Stato per arginare una situazione che stava sfuggendo di mano, attraversa la cronologia fornita dall’autore e aiuta a calare il lettore nel contesto storico. Un contesto in cui la violenza politica era all’ordine del giorno e in cui era normale non tornare a casa dopo che si era usciti per andare ad una manifestazione. Così accadde a Francesco Lorusso a Bologna, dove lo Stato per sedare la guerriglia nata in seguito alla notizia dell’uccisione dovette mandare nientemeno che i carri armati in piazza.
La “Risoluzione strategica” del febbraio 1978 in cui le Brigate Rosse teorizzarono «il salto di qualità» cioè «l’attacco al cuore dello Stato Imperialista delle Multinazionali al cui centro stava la Democrazia Cristiana»2 sarebbe dovuta avvenire con il coinvolgimento del Movimento nella lotta armata. Il Movimento nel decennio di maggior espansione della lotta armata in Italia, cioè dal 1969 al 1979 era tra i più forti in Europa. La DC veniva identificata come «la forza centrale e strategica della gestione imperialista dello Stato»3 e la figura di Aldo Moro la personalità politica maggiormente responsabile del Compromesso storico. Il Sequestro Moro indubbiamente fu l’azione che segnò il futuro della lotta armata. La risonanza di un evento simile generò tanto clamore nell’opinione pubblica mondiale quanto shock tra l’establishment.
Se il colpo al cuore dello Stato era fallito, si può dire che il colpo al cuore della DC era assolutamente andato a segno con le 35 lettere dalla prigionia di Moro cadute nel vuoto e i funerali dello statista celebrati senza alcun esponente democristiano per espresso volere del defunto che trovò solo terra bruciata attorno a sé venendo immediatamente classificato come sacrificabile in nome della Ragion di Stato, ma evidentemente non bastò. E sempre la Ragion di Stato mosse la DC negli anni successivi ad agire in deroga alle norme basilari dello Stato di diritto con la legislazione speciale, le torture dei detenuti e la detenzione preventiva.
Con l’arrivo degli anni Ottanta arrivò il «colpo più duro» per le Brigate Rosse, quello del «tradimento di un compagno di lotta»4. La cronologia attraversa tutti gli anni Ottanta passando attraverso i fatti salienti di ogni anno, dove si nota: la significativa riduzione della guerriglia armata, azioni sempre più scollegate da una strategia definita per via delle varie divisioni interne e soprattutto il venir meno dell’acqua dove per anni “avevano potuto nuotare i pesci”. Ma fu la regressione culturale a stroncare definitivamente tutto il sostegno di cui avevano usufruito i combattenti durante gli anni Settanta.
Non solo l’attentato alla stazione di Bologna, ma la marcia dei 40 mila colletti bianchi della Fiat e l’accordo sindacati-confindustria sulla riduzione della scala mobile segnarono la definitiva fine di un’epoca. Nel decennio successivo si assiste alla fine della lotta armata con l’arresto in successione di tutti gli ultimi leader rimasti, una fine che verrà annunciata formalmente il 21 marzo 1988 in un servizio del Tg2 da Renato Curcio, Mario Moretti e Barbara Balzerani.
Si chiudeva così, con azioni di guerriglia che divenivano sempre più sporadiche nel corso degli anni Ottanta, l’ultimo tentativo di rivoluzione nel Novecento in Italia, una rivoluzione mancata per l’appunto. La cronologia di Steccanella, aggiornata con una terza edizione uscita lo scorso febbraio, ci aiuta soprattutto a stralciare il velo gettato dal potere su quegli anni in cui vi fu l’ultima manifestazione della guerra di classe del Novecento in Italia.
Le varie «falsità della ricostruzione storica operata dai vincitori»5 cadono una dopo l’altra all’attento studio cronologico e fattuale di quanto avvenne in quegli anni: come risulta evidente «non è vero che si trattò di una deriva isolata di pochi violenti, che si inserì in un contesto pacifico», alla luce dei dati sulla provenienza sociale dei lottarmatisti «non è vero che fu una guerriglia condotta da annoiati studenti radical chic istigati da cattivi maestri», «non è vero che la lotta armata non trovò mai adesione in una considerevole parte della società italiana», «non ci furono solo le Brigate Rosse e Prima Linea ad attaccare militarmente lo Stato», «non è vero che le Brigate Rosse furono “manovrate” da misteriosi poteri occulti nell’operazione Moro», «non è vero che il movimento del ’77 era figlio di quello del ’68», «non è vero che lo Stato sconfisse la guerriglia senza ricorrere a metodi extra-legali» e «non è vero che tutti coloro che ai tempi si erano armati si sono poi dissociati»6.
Ripristinare la memoria storica su quegli anni in piena libertà è l’ottima operazione svolta da Steccanella che, per citare lo stesso Mario Moretti intervistato da Rossanda, rifiuta la morte crudele dell’oblio.
1 D. Steccanella, Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata, Edizioni Bietti, Milano, 2018
2 Ivi, p. 200.
3 Comunicato n.1 del Sequestro di Aldo Moro, 16 marzo 1978, cit. p. 205.
4 D. Steccanella, op. cit., p. 258.
5 Ivi, p. 396.
6 Ivi, pp. 396 - 397 - 398.
Foto di Paolo Pedrizzetti nel pubblico dominio, ripresa liberamente da wikipedia.org