Da qui nascono leggi elettorali su misura fatte da parlamenti (e dunque maggioranze) a fine mandato, con il solo obiettivo di predeterminare l’esito delle votazioni, ossia gli esclusi ma anche la maggioranza che governerà. Dal porcellum che ha consegnato una maggioranza parlamentare senza precedenti al Governo Berlusconi (alla quale non corrispondeva una maggioranza nel paese) al tentativo invece di imporre anche per il prossimo mandato una grande coalizione al fine di impedire al partito ritenuto probabile vincitore (PD) di governare. L’astensionismo, che nelle ultime elezioni in Sicilia rappresenta lui si il 50% degli elettori, non è forse il risultato della negazione al diritto di essere rappresentati?
Nelle istituzioni il potere è sempre più monocratico - La grande riforma (controriforma?) della Bassanini che ha cancellato il potere del consiglio comunale di eleggere sindaco e giunta introducendo l’elezione diretta del sindaco, il quale a sua volta nomina gli assessori, segna il giro di boa per una progressiva un progressivo e costante trasformazione dell’assetto istituzionale, sotto il segno dell’indebolimento della rappresentanza democratica dello Stato. La gestione è affidata al sindaco e alla sua giunta, mentre ai consigli rimane su carta il potere di indirizzo e controllo. Nonostante ciò, già si continua a sostenere che la burocrazia e i tempi decisionali sono ancora troppo lunghi e così si moltiplica il ricorso allo strumento delle conferenze dei servizi: un unico appuntamento dove tutti i rappresentanti istituzionali (figure monocratiche) titolari di una competenza (comuni, provincia, regione, arpat, usl, soprintendenze) danno il loro “si” e così per questa via si supera il consiglio comunale (titolare dell’urbanistica) relegato a un mero ruolo di ratifica.
E qui arriva la seconda riforma che riduce del 20% il numero dei consiglieri e contestualmente ne abbassa il gettone di presenza. Riforma che passa tra l’indifferenza o il plauso per la cosiddetta riduzione dei costi della politica. Ma non basta ancora, a inizio 2012 il governo usando uno strumento del tutto improprio, decreto legge, impone l’obbligo dell’esercizio associato dei servizi essenziali per i comuni con meno di 5000 abitanti. Insomma eletto il sindaco sarà lui ad esercitare indirizzo controllo e gestione tramite l’unione dei comuni (la cui giunta è composta dai soli sindaci) o tramite consorzi (di cui nomina i rappresentanti).
Ma ancora non basta, si perde ancora troppo tempo e così si arriva all’uso oramai consolidato dell’istituzione del “commissario”, persona nominata che per un determinato periodo di tempo e su un obiettivo specifico raggruppa tutti i vari poteri! A tutti i livelli, nazionale e regionale prendono il via i commissari straordinari: si pensi alla ricostruzione dell’Aquila - e i disastri del commissariato emergono anni dopo - e ora, temporalmente l’ultimo, alla nomina del presidente della regione commissario per superare gli eventi calamitosi del novembre 2012 (provincia di Grosseto e di Massa Carrara).
L’uso e abuso dello strumento del decreto legge - Anche i parlamenti nazionali e regionali sono svuotati. Al parlamento nazionale e a quelli regionali sostanzialmente rimane sulla carta il potere legislativo. Il ricorso sempre più frequente del governo al voto di fiducia e la trasformazione dello strumento straordinario del decreto legge, previsto solo per motivi di imprevedibile urgenza, in strumento ordinario di legislazione denunciano un sostanziale svuotamento anche del massimo organo del nostro sistema istituzionale.
Con tale strumento, un decreto legge appunto si mette mano a una riforma straordinaria dell'assetto istituzionale, andando a toccare organi previsti dalla Costituzione. Si tratta della riforma delle province, di fatto abolite con decreto legge, ridotte numericamente e soprattutto trasformate in ente di secondo grado. Riforma o più precisamente controriforma. Sempre con decreto si travalica la competenza e l’autonomia statutaria delle Regioni. Infatti, dopo lo scandalo Fiorito, con un decreto legge si impone alle regioni i criteri per adeguare la composizione numerica dei loro parlamenti e si annuncia che con successivo provvedimento saranno dettati i criteri per la rimodulazione delle indennità. Per obbligare le regioni a legiferare in ottemperanza al decreto viene usata la clava della penalizzazione economica per quelle che non lo faranno. È paradossale comunque che il governo intervenga con decreto su competenze delle Regioni quando non propone altrettanto sul proprio consesso elettivo visto che nessun provvedimento similare (riduzione numerica dei parlamentari, trasformazione del senato in camera delle regioni) viene né proposto né tanto meno adottato.
Riassetto province - La vicenda che ha riguardato il riassetto delle province è rivelatrice di come si viene concludendo la seconda repubblica e di come si aprirà la prossima. Il riassetto delle province è l’occasione per mettere in luce le profonde trasformazioni che hanno segnato questa seconda repubblica, tutte sostanzialmente sotto il segno della limitazione della democrazia intesa come partecipazione alla sfera decisionale e smantellamento dello stato sociale tramite la progressiva esternalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici, fatti non più di diritti esigibili ma resi merci che vanno comprate. Quanto avvenuto sulle province ripercorre in piccolo tutto questo. Nonostante l’uso e abuso del ricorso al voto di fiducia e ai decreti legislativi è però la prima volta che per una riforma degli assetti istituzionali si ricorre a un decreto legge in assenza dunque di una qualunque motivazione d’urgenza e imprevedibilità. Il governo interviene proprio su una materia che esula completamente dalle sue competenze perché riguarda il sistema degli assetti democratici e istituzionali che trovano collocazione nella Costituzione e nelle leggi ordinarie. Materia di esclusiva competenza delle camere, ma gli attuali gruppi (partiti) che sostengono il governo non difendono le loro prerogative costituzionali! Solleticando la pancia all’antipolitica e di chi, in nome dei costi della politica, chiedeva lo scioglimento delle province, il governo adotta questo decreto in maniera del tutto disorganica. Siamo di fronte, da parte del Governo cosiddetto tecnico ed a fine mandato, ad un “colpo di mano” .
Cavalcando la questione dei costi della politica si superano le province come enti di primo grado: la posta vera in gioco è superare la rappresentanza territoriale e il pluralismo politico e soprattutto impedire la scelta e il controllo su chi e come ci governa. Si annullano gli spazi democratici con la loro trasformazione in enti di secondo grado (quindi senza elezione diretta da parte dei cittadini) e tutto ciò senza ottenere i risparmi desiderati, ma con ogni probabilità si spenderà di più.
Si moltiplicheranno infatti i costi impropri con la “privatizzazione” di fatto di molti servizi d’area vasta che saranno gestiti in toto da enti e società per azioni che non avranno più il controllo di enti “forti” perché dotati di strumenti adeguati e perché eletti direttamente dai cittadini come le attuali province. Se a ciò si aggiunge la scelta governativa di avere altri enti di secondo grado come le Unioni dei Comuni (replicando la restrizione degli spazi democratici nell’ente di secondo grado e dei poteri di controllo su servizi essenziali da parte dei consigli elettivi dei singoli comuni), emerge l’impossibilità del cittadino di incidere col proprio voto sulle scelte in ordine alle principali questioni e gestione dei servizi fondamentali: saremo di fronte ad enti non eletti direttamente, che affideranno ad enti sempre più sfuggenti il controllo e la gestione dei servizi essenziali d’area vasta.
Quello governativo pare proprio un disegno preciso, che con la contrazione dei costi non c’entra nulla (e che incrementerà la lontananza dei cittadini dalle istituzioni e la stessa anti politica) ma che sembra voler colpire la possibilità di aver voce, colpendo il pluralismo politico, a tutte le forze che intendono combattere le politiche che stanno distruggendo a livello nazionale il welfare state e i diritti raggiunti in decenni di lotte.