La Toscana ha, sino ad oggi, sostanzialmente garantito la copertura del proprio servizio sanitario pubblico e l’ha fatto in un contesto nazionale difficile, come abbiamo ripetutamente denunciato, in cui oltre a essere messo in discussione il diritto alla salute come diritto fondamentale, puntando verso le assicurazioni integrative e la privatizzazione della sanità, si sono prodotti effetti pesantissimi sul lavoro e sull’occupazione, in particolare su quei lavoratori già a forte rischio di precarizzazione e con già scarsissimi livelli salariali.
Ultima, la spending review montiana con il taglio di migliaia di posti letto, i nuovi ticket, l’ulteriore blocco del turn-over, l’obbligata revisione, sino al 10%, delle convenzioni e dei contratti in essere con le ditte e le cooperative cui si sono appaltati i vari servizi sanitari e sociosanitari con il rischio consistente di diminuire pericolosamente la sicurezza igienica e sanitaria con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare.
Oggi, il filo del rasoio su cui la prossima riorganizzazione del servizio sanitario regionale rischia seriamente di ritrovarsi sta nel saper scegliere tra quella che oramai è diventata la retorica dell’ineluttabilità dei numeri e delle cifre e del luogo comune che chiede di risolvere il disinvestimento sulla sanità pubblica comprimendone, sempre più, l’universalismo e la salvaguardia, per l’appunto del diritto universale all’assistenza sanitaria.
Un esempio, che prende piede anche nella nostra Regione, è l’idea del “copayment intelligente”, attraverso l’introduzione dell’ISEE per la compartecipazione alla spesa dei servizi e delle prestazioni sanitarie e l’aumento dei ticket.
Misura, la cui applicazione rischia da una parte di avere una ricaduta pesante sulle famiglie già oggi costrette a pagare di tasca propria un terzo dei servizi e delle prestazioni che nel prossimo futuro "rinunceranno" alla diagnostica perché impossibilitate a sostenerne i costi e dall'altra parte diventando equivalente o quasi la richiesta di compartecipazione, si verificherà lo spostamento di persone e risorse dalla sanità pubblica a quella privata disegnando un sistema pubblico residuale, di cui ai primi passi sono sotto gli occhi di tutti.
Sono già 5 milioni in meno, nell’arco 2011-2012, le richieste di prestazioni di diagnostica e specialistica nel servizio sanitario pubblico regionale. Nella sola specialistica 800 mila persone in meno, a conferma che l’aumento della spesa sanitaria per compartecipazione e ticket spingono chi può permettersi la spesa verso il privato o costringe a rinunciare chi non può. Si stimano quasi 120 milioni che mancheranno al servizio sanitario regionale. E' evidente che tutto questo porta all'azzeramento sostanziale della prevenzione con conseguenze drastiche e negative che si vedranno sulla crescita percentuale di malattie mortali e anche sulla diminuzione del tempo vita.
Quanto denunciato sul piano economico di drammatico allargamento della forbice sociale, ossia di ricchi sempre più ricchi e di poveri sempre più poveri, si sta riproponendo anche in sanità. I più ricchi potranno vivere meglio e più a lungo proprio perché avranno più possibilità di prevenire e curarsi.
Ma, diciamo noi, cosa c’è di più intelligente del principio di dare a ciascuno secondo il proprio bisogno e di prendere da ciascuno secondo il proprio reddito che è quello insito nella fiscalità generale progressiva? Il tema dei temi è proprio l'abbandono della progressività, elemento specifico della fiscalità generale, che sta producendo una riorganizzazione dello Stato Sociale drammatica, fortemente diseguale che ci sta riportando indietro, al dopoguerra.
In Toscana, nel triennio 2012-2014 complessivamente verranno a mancare ulteriori 750 milioni di euro che andranno a sommarsi ai 550 milioni di minori trasferimenti nel 2011. Questa è la coperta troppo stretta delle risorse per la sanità per coprire i servizi.
Da qui, un piano drammatico e pericoloso di riorganizzazione complessiva del sistema. Si parla di misure pesanti che dovranno essere adottate in questi primi mesi dell'anno: la riduzione di circa 2000 posti letto; la riorganizzazione dei distretti territoriali; l’accorpamento di servizi e prestazioni (prevenzione, laboratori analisi, centrali 118, ecc.).
Saranno settimane cruciali per capire se si procede sul binario della salvaguardia del sistema o si finisce con il cedere alla forza retorica di una visione meramente economicista - i famosi numeri e le cifre-, operando quei “tagli lineari” che pure tanto contestiamo al governo nazionale.
Preme precisare che non avremmo potuto accettare il criterio di meri e semplici tagli di posti letto, oltre a quanto richiesto dalla spending review.
Questa scelta è stata ricondotta allo spostamento dei posti letto da strutture ad alta specializzazione (le aziende ospedaliero universitarie) alle aziende territoriali e alle strutture di cura intermedie territoriali.
E' evidente l'operazione di risparmio che questo comporterebbe, e se così fatta questa riorganizzazione non si tradurrebbe in impoverimento dell'offerta sanitaria ma in quello che è una migliore appropriatezza dei ricoveri: un operato può necessitare di un ricovero più lungo, o lungo, ma finito il post operatorio non necessariamente in ospedale.
Da qui le strutture intermedie che essendo territoriali, e dunque più vicine, potranno essere anche di giovamento per i familiari. Se così sarà, potremo sostenere questa riorganizzazione difficilissima e pericolosa. Se così non fosse dovremo assumere le decisioni conseguenti.
Ci sono, infatti, a nostro avviso, contenuti irrinunciabili, a partire proprio dal processo di riorganizzazione ospedaliera che dovrà necessariamente avvenire con monte un rafforzamento del territorio, della sanità territoriale (cure intermedie, forme di ospedalizzazione domiciliare, posti letto territoriali, ecc.), spostando concretamente risorse e potere decisionale su questi ultimi.
Così come vanno salvaguardati e tutelati i diritti dei lavoratori del settore, dai lavoratori pubblici alle fasce più precarie dei lavoratori delle cooperative e delle società in appalto che più di tutti pagheranno, altrimenti, i processi in atto.
Una riorganizzazione, quella regionale, che non trovasse partenza dall'analisi dei bisogni dei cittadini, in investimenti che potenzino il pubblico migliorandone le prestazioni ed eliminandone gli sprechi, da una centralità effettiva del territorio e del bisogno sanitario, dal controllo qualitativo sulle prestazioni, dalla riduzione delle liste di attesa, rischierebbe seriamente di trasformare il diritto alla salute in un “affare di mercato”, dove vince il più forte.
Un diritto, quello alla salute che, ribadiamo, può essere garantito solo da una forte sanità pubblica a carattere universale.
A questo siamo impegnate nella società, nelle istituzioni e nel partito. Una battaglia dura che va tenuta tutta insieme.