Il fatto che la multinazionale proprietaria, che da anni ha abbandonato l’area al niente, chieda – a quanto appreso – lo sgombero, dimostra che teme principalmente che questa esperienza faccia aumentare a dismisura il valore sociale che questa area e questi spazi possono avere, un valore tale da non potere poi farne a meno, scontrandosi questo valore con il mero interesse verso la miglior “valorizzazione edilizia” possibile.
Ma il successo di interesse, partecipazione, frequentazione, progettazione e creatività sviluppate negli spazi dell’ex colorificio liberato, dimostrano anche quanto ci sia un gran bisogno oggi di spazi di aggregazione sociale anche per sviluppare progettualità, pratiche e lavori, e che le amministrazioni pubbliche siano ormai sorde e cieche nel vedere questo bisogno, dimostrandosi troppo spesso anche esse subordinate alla “commercializzazione e valorizzazione economica dei propri beni”.
Nelle città stanno sparendo i luoghi di incontro, di aggregazione, di socializzazione. Nonché luoghi dove sperimentare ed avviare nuovi “lavori” senza essere asfissiati da affitti esosi, così come luoghi di riunione, di elaborazione e sperimentazione di buone pratiche. L’ex colorificio “liberato” rappresentava una risposta a quanto si stanno scordando di fare le amministrazioni.
Il tema del contrasto alla speculazione edilizia, alla valorizzazione delle aree, non era certo estraneo e non conosciuto a chi sta portando avanti questa esperienza. E proprio dal luogo fisico dell’ex colorificio si stava lavorando a mettere insieme un gruppo di giuristi, urbanisti, ecc per lavorare a un testo di legge che rimettesse in discussione l’irremovibilità del costruito. In parole povere introdurre un nuovo concetto che farebbe crollare la rendita e le speculazioni ed è quello che le trasformazioni del suolo, da non edificato a edificato, sono concesse solo temporaneamente e per lo scopo vincolante per le quali vengono concesse. Finito lo scopo l’area ritorna non edificata. Questo romperebbe la catena per la quale una area produttiva si dismette e viene riconvertita, spesso per le stesse volumetrie se non maggiorate, in residenziale e commerciale, con un aggravio urbanistico notevole e con il soggetto pubblico ridotto a contrattare la concessione di qualche spazio come compensazione al cambio di destinazione concesso all’ennesima speculazione. Una prassi con la quale si è continuato a mangiare inesorabilmente suolo. La priorità oggi è un’altra - tanto più in tempi di crisi economica, e tempi con crescita demografica zero. Oggi la priorità è di ritrovare spazi comuni, sociali, spazi liberati dalla speculazione e dalla rendita immobiliare. Oggi la priorità è contribuire - a partire dalla riprogettazione delle città e dei suoi manufatti - a migliorare tutte le questioni ambientali: surriscaldamento, inquinamento acustico e atmosferico.
“Ripensare – come si legge nell’appello per il no allo sgombero - il futuro delle tantissime aree industriali dismesse e il loro riutilizzo, un tema con cui la politica deve confrontarsi ascoltando le esigenze dei cittadini e non sempre e soltanto gli interessi dei grandi speculatori. Vincere la battaglia contro lo sgombero dell’ex colorificio liberato significa dare una possibilità concreta ad un’altra forma di società.”
Ed proprio perché sono profondamente convinta che difendere l’ex colorificio liberato significhi difendere un luogo dove è possibile ripensare e praticare un futuro diverso e solidale che aderisco e invito ad aderire convintamente all’appello che è stato lanciato per la manifestazione di sabato 16 febbraio contro lo sgombero dell’ex colorificio. “Uniti per un bene comune. Usciamo dal grigiore, coloriamo la città.”
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