Recensione di The Weird And the Eerie di Mark Fisher
«Avvicinandosi al porto dalla campagna, dalla visuale degli acquitrini di Trimley, si osservano le gru ergersi sullo scenario agreste come lucidi dinosauri cibernetici che irrompono in un paesaggio di Constable. Da quel punto di vista il porto appare quasi un fenomeno weird, un'eruzione aliena e incommensurabile nel mezzo di uno scenario "naturale".
I Nuovi re taumaturghi
I profeti della società dell'ottimizzazione
Il Medioevo ipertecnologico nel quale viviamo ha resuscitato antiche credenze. I nuovi re taumaturghi non sono più investiti da poteri soprannaturali, ma compiono comunque il loro miracolo. Al contrario dei sovrani studiati dal grande storico Marc Bloch, non curano con l'imposizione delle mani ma con il discorso. Discorso mitico, racconto leggendario popolato da figure dell'abbondanza e della possibilità. L'estasi di arterie commerciali proliferanti, l'incanto di un intrattenimento continuo, di una danza vorticosa e frenetica di stimoli, suggestioni, segni. Tutto è a portata di click: l'ebbrezza di una comunicazione sconfinata, la vertigine di una libertà illimitata. Vivere è un gioco, è l'eccitazione di una corsa all'oro permanente.
Nella globalizzazione la religione vince sulla politica?
Su Il Dio personale di Ulrich Beck
Ormai ad agosto dell’anno scorso avevo proposto due letture diverse ma agilmente collegabili tra loro. L’invito di Pietro Ingrao a valorizzare la dimensione della contemplazione e un testo di Byung-Chul Han su come il nostro tempo distrugga ogni dimensione temporale, non attraverso l’accelerazione ma con uno svuotamento di senso.
Per una sociologia del capitalismo.
Recensione di Sociologia della tecnca e del capitalismo di Lelio Demichelis.
L’ultimo saggio del professor Demichelis ripercorre le varie forme di organizzazione del lavoro che il capitalismo ha sviluppato fin dalla sua nascita per imbrigliare il lavoro e accrescere la sovrapproduzione di merci e capitali.
Il punto di partenza è come sempre il fordismo che ha creato la prima razionalizzazione cristallizzatasi nella produzione di massa, ma arriva al toyotismo e alla lean production, alla rete e al capitalismo delle piattaforme di oggi. Tentare di descrivere l’organizzazione del capitalismo di oggi è certamente encomiabile, vista la difficoltà di trovare un filo conduttore a un modo di produzione che si è ramificato ed è divenuto sempre più dispersivo.
Retrotopia: l'ultimo saggio di Zygmunt Bauman
Recensione dell'ultimo lavoro del sociologo polacco
Il ventesimo secolo che si è aperto con il movimento futurista si è chiuso con una epidemia di nostalgia. Di fronte a un futuro che spaventa e un presente gravido di miserie materiali e spirituali, il passato sembra essere per molti cittadini della società liquida globale un rifugio rassicurante. Nel suo ultimo saggio, uscito a settembre per Laterza e scritto poco prima di morire, Zygmunt Bauman prova a tracciare le coordinate di un diffuso sentimento di ritorno a “un passato perduto, rubato, abbandonato ma non ancora morto”. Gli anni della retrotopia prendono svariate forme ma riflettono la perdita di certezze e di punti di riferimento della tarda modernità.
Di carcere in Italia si parla sempre troppo poco. È raro che le condizioni, gli avvenimenti e la gestione del sistema carcerario risalgano la china della cronaca quotidiana (eccezion fatta forse quando a pronunciarsi e l’Unione Europea) ed ancora più raro è che si parli delle difficoltà che deve fronteggiarsi chi deve o decide di confrontarsi con questo.
Ascesa della Meritocrazia e declino della Giustizia Sociale nell’Italia renziana
In uno Stato in cui le sopravvivenze di stampo feudale sono diffuse e radicate, non stupisce che qualsiasi generico appello alla “meritocrazia” venga salutato come moderno e rivoluzionario. In effetti, ogni aspetto della società sembra essere sempre più colonizzato da una cultura civica povera che fa del nepotismo, della cooptazione e della raccomandazione gli strumenti e le credenziali più utili per le opportunità di carriera. La politica più populista e il sistema mediatico più sensazionalistico ci mettono poi del loro nel semplificare il quadro complessivo resuscitando in tutta la loro incompletezza termini come quelli fortunatissimi di “casta” o di “baronato”.
L'articolo è di Livio Sansone, Pesquisador da CAPES e Professor do Departamento de Antropologia Centro de Estudos Afro-Orientais (CEAO), Universidade Federal da Bahia [tradotto dal nostro Roberto Travagli)
Circa quattro anni fa, mi è stato chiesto da un certo numero di amici e colleghi di scrivere un breve testo, come parte della campagna per dare il prestigioso Premio Holberg a Stuart Hall. Julia Kristeva e Jurgen Habermas hanno avuto tale premio. A Stuart Hall, per ragioni che non conosco, non è mai arrivato. Questo breve testo mi è tornato in mente lunedi notte, quando ho sentito della scomparsa di Suart Hall. Io ora mi prendo la libertà di condividerlo con quelli di voi che potrebbero essere interessati .
“L'introduzione del computer nel lavoro non è riuscita a realizzare l'aumento di produttività atteso (forse Tetris era parte di un progetto segreto dei sovietici per fermare l'economia capitalista)"
«L’ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet» è un libro del 2011, scritto dal sociologo Evgeny Morozov. L’autore, nato in Bielorussia nel 1984, ha portato avanti gli studi universitari fuori dal suo paese, grazie a una borsa di studio della Open Society Foundation (presieduta da George Soros), ed è attualmente professore invitato alla Stanford University. Ha collaborato con le organizzazioni non governative che sostengono la “libera informazione” nei paesi dell’ex Unione Sovietica.
Nel suo libro definisce Angela Davos una “controversa attivista” e invece non dubita delle giuste finalità della blogger anticastrista Yoani Sánchez (anche se ne contesta l’efficacia). L’impostazione delle argomentazioni dà sempre per scontata la necessità di esportare il modello democratico occidentale negli altri paesi, da quelli dell’America Latina alla Cina.
Un giovane conservatore con discutibili idee politiche. Questo impedisce di rimanere avvolti completamente dalla scrittura brillante e dall’efficace impostazione delle argomentazioni.
Immagine tratta da www.abc.net
Negli ultimi tempi, una nuova moda sembra essersi imposta sul linguaggio ordinario, giornalistico e della pratica politica. Il termine “populismo” appare ormai con frequenza costante su tutti i canali di comunicazione, e non c’è esponente politico, di qualsiasi schieramento, che non l’abbia utilizzato almeno una volta in senso dispregiativo in riferimento a un avversario. Abbiamo sentito più volte Casini e Vendola tuonare contro la “minaccia populista” rappresentata dal Movimento 5 Stelle di Grillo. Formisano ha motivato la sua decisione di lasciare Italia dei Valori con la “deriva radical populista” impressa al partito da Di Pietro, e Bersani si è opposto all’ipotesi di un ritorno di Berlusconi alla guida del Pdl dichiarando che “di populismo ne abbiamo avuto già un bel po’”.
Gli esempi potrebbero continuare. L’aggettivo “populista“ è comunemente usato come sinonimo di “demagogo”, “qualunquista”, e persino “fascista”, in riferimento a soggetti e fenomeni molto diversi tra di loro, con una facilità che spesso nasconde la totale ignoranza del reale significato del termine.
In effetti, il populismo è sempre stato un concetto estremamente volatile e mutevole, difficile da inquadrare in una categoria specifica. Il primo tentativo, risoltosi in un insuccesso, di formulare una teoria generale, risale alla conferenza sul populismo tenuta alla London School of Economics nel 1967. Da allora, non si è ancora giunti a un accordo neppure sulla classificazione del populismo come ideologia, mentalità, o stile politico. Nell’analisi del fenomeno, tuttavia, è possibile almeno circoscrivere una serie di elementi chiave che ne rappresentano le caratteristiche salienti, e sui quali è possibile registrare un certo grado di accordo tra gli studiosi.
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