Giovedì, 10 Maggio 2018 00:00

Nella globalizzazione la religione vince sulla politica?

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Nella globalizzazione la religione vince sulla politica?

Su Il Dio personale di Ulrich Beck 

Ormai ad agosto dell’anno scorso avevo proposto due letture diverse ma agilmente collegabili tra loro. L’invito di Pietro Ingrao a valorizzare la dimensione della contemplazione e un testo di Byung-Chul Han su come il nostro tempo distrugga ogni dimensione temporale, non attraverso l’accelerazione ma con uno svuotamento di senso.

Nel 2008 il sociologo Ulrich Beck (morto nel 2015) scelse di affrontare il tema della religione, confessando “un fallimento”, quello della sua disciplina rispetto alla capacità di comprensione di un “reincanto del mondo”.

L’apertura del volume ha un forte impatto emotivo, riportando alcuni passaggi del diari di Etty Hillesum, vittima dell’Olocausto e di cui abbiamo gli appunti manoscritti tra il 1941 e il 1943. In una sua preghiera della domenica mattina leggiamo: «una cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio» [pp. 5-9]. L’obiettivo della donna è sopravvivere “senza amarezza e senza odio”, per salvarsi e prendere parola a guerra finita.

Da questa potente testimonianza Beck ci spiega che «il Dio personale non è il Dio onnipotente, ma colui che nella catastrofe escatologica è impotente e senza patria», legato a un essere umano che soffre non perché abbia perso la speranza, ma perché non può vederla. «È appunto chi spera che viene tormentato» [p. 12].

In questo passaggio si ribaltano le categorie tradizionali: «l’individuo che decide e dubita diventa Chiesa, diventa custode di Dio e della fede, mentre la Chiesa si trasforma in eresia» [p. 13].

Fuori dal campo della scienza e del misurabile l’uomo contemporaneo ha riscoperto una propria interiorità, a cui la psicologia contemporanea non sembra riuscire a dare risposte pienamente adeguate, dato il fiorire di varie proposte esoteriche e religiose. Il bisogno di senso accerchia la singola persona, accerchiata dalla frammentazione imposta dalla società presente. La complessità della realtà implica una convivenza tra i dubbi individuali e l’adesione a strutture organizzate, con una diversità di fedi all’interno delle stesse confessioni (elementi sulla reincarnazione convivono anche in chi si dichiara cattolico ad esempio).

Nelle sale italiane è uscito poche settimane fa Io c'è, debole ma non infelice commedia in cui un imprenditore italiano sceglie di inventare una nuova confessione, incentrata sul se stesso, per evitare le tasse sulla sua struttura alberghiera. Riassume bene l'idea di un senso comune diffuso, distrattamente impegnato a passeggiare tra gli scaffali di  un supermercato della fede, in cui prendere alcuni elementi da un settore e altri da un altro.

La provocazione più forte di Beck è però forse quella che sottrae «all’Occidente il monopolio della modernità» [p. 27], evidenziando come la crisi del cristianesimo riguarda le sue forme europee, in particolare quelle protestanti, declinatesi spesso su una dimensione di stato nazionale (così come il cattolicesimo in una determinata fase storica). Nella crisi di scienza e Stato rispetto alla loro pretesa di onnicompetenza la Chiesa può tornare a rivendicare un ruolo limitato alla spiritualità, anche se oggi l’individualizzazione pone a ogni realtà collettiva la concorrenza del Dio personale. L’autore traccia le differenze tra il vecchio continente e la capacità degli Stati Uniti di porsi in maniera neutrale rispetto ad ogni religione, oltre a evidenziare il ruolo di costruzione di identità collettiviste nell’est europeo, ma è più interessato al fenomeno che attraversa l’islam e l’istituzione vaticana: la prossimità di territorio diventa secondaria rispetto alla prossimità sociale. Non è banale l’effetto dato dal leggere parole sul «papato come oggetto massmediatico» [p. 48] scritte in un periodo precedente a quello inaugurato da Bergoglio (Francesco I), o quelle riferite al ruolo unificante della fede musulmana ancora prima della nascita dell’ISIS. Il Dio personale rimane un libro attuale tanto più perché riferito a una fase in cui era ancora evidente la memoria dell’11 settembre 2001 e la crisi economica (o gli attentati) avevano ancora un carattere di novità destabilizzante (mentre oggi potremmo dire che sono diventati costituitivi della nostra quotidianità).

Nel rapporto organizzazioni e individui si va oltre la teoria della secolarizzazione. Le imagined communities possono essere riscostruite nel mondo globalizzato, con nuovi orizzonti di senso in cui le religioni si scoprono più capaci di muoversi rispetto alle altre organizzazioni sociali e politiche (partiti e sindacati).

«Lo Stato nazionale di diritto, con la messa in quarantena di Dio, offre forse stimoli di riflessione, ma nessuna risposta, proprio perché si tratta di uno Stato nazionale e non di uno Stato mondiale» [p. 55].

Nonostante Marx avesse subordinato la nazione alla classe, la storia dal secondo dopoguerra, almeno in Europa, si è declinata con un’integrazione del proletariato nelle società nazionali e l’internazionalismo si è tradotto (aggiungo io) in una fede nel mito sovietico (per quanto sempre più appannata con l’avvicinarsi alla caduta del Muro di Berlino).

Nel passare a definire le parole, Beck specifica una differenza tra religione (come sostantivo, caratterizzato da un meccanismo di aut aut – o o, eslusivo) e religioso (come aggettivo, da sviluppare in una logica di vel vel- sia sia, inclusivo).

Come si relaziona la religione con l’alterità? Come già scritto sopra, secondo Beck è fondamentale comprendere che la Chiesa cattolica è un global player già alla sua nascita, mentre le organizzazioni politiche del Novecento sono figlie della società capitalista organizzata in nazioni.

Il problema, nello sviluppo istituzionale ecclesiastico, sarebbe stato il non prevalere del riconoscimento della diversità, ma le religioni hanno la potenzialità di costruire ponti tra i confini definiti, laddove riescono a evitare le «barricate tra ortodossi da un lato ed eretici o non credenti dall’altro» [p. 65].

È interessante apprendere il valore della comunità religiosa di Obama nella sua campagna elettorale incentrata su speranza e disponibilità a credere (il riferimento è al pastore Jeremiah Wright e alla «teologia della liberazione nella sua variante nera» [p. 67]).

L’altro lato della medaglia, rispetto alle possibilità aperte dal sentimento di fede, è la sovrapposizione tra l'alterità e il male, che «mette in questione l’umanità dell’altro» [p. 69]. Il dualismo trasforma la Chiesa nell’istituzione capace di difendere il bene di fronte all’Anticristo, giustificando il sangue oggi fortunatamente studiato e denunciato, con sempre minori resistenze. La svolta cattolica del Concilio Vaticano II avrebbe riportato il Vaticano a principi di cosmopolitismo oscurati nei secoli dell’età moderna, con il nascere degli stati nazionali.

Pensando al pontefice di oggi è difficile non comprendere facilmente il senso di quanto scrive Beck su quanto le religioni siano capaci di affascinare con il loro orizzonte di senso a prescindere dall’adesione a un sistema di liturgie.

«La sociologia non ha mai indagato sistematicamente il rapporto della religione con la diversità altrui. Le religioni monoteistiche anticipano, da un lato, l’etica internazionalista della società globale, ma liberano così un potenziale di violenza difficilmente controllabile» [p. 79].

Nel nuovo millennio la questione torna attuale perché «in presenza di confini che diventano permeabili, e che dunque non sono più tali, viene pronunciata la parola magica di un’esistenza cosmopolitica…». Il problema è «la conservazione dei singoli nonché di intere società di fronte all’arrivo massiccio dell’alterità» [nota 31, p. 81].

Beck inserisce a questo punto dell’argomentazione la teoria della modernizzazione riflessiva, in cui sparisce ogni semplicità di fronte al rischio, all'individualizzazione e alla globalizzazione da cui siamo travolti. Il nodo è «l’ambivalenza di fondo del rapporto tra religione e alterità, ossia: da un lato superamento di vecchi confini e dall’altro istituzione di nuovi confini» [p. 86]. La soluzione sarebbe un cosmopolitismo religioso (distinto dall’universalismo religioso, che cerca di uniformare e creare omogeneità tra le eterogeneità), in cui il diverso è accettato e riconosciuto, sulla base di un principio universale di tolleranza. Il problema non è essere indifferenti ma tolleranti. «La tolleranza inizia quando si prova sofferenza nel sopportare qualcosa. Per tale ragione, il fondamentalismo può essere compreso come una fuga da quella sofferenza» [p. 90].

Dal momento in cui viviamo in una “seconda modernità”, dovendo far fronte dall’assalto dell’alterità [p. 92] e allo sgretolamento delle dimensioni nazionali, occorre andare oltre le “superstizioni” a dimensione statale, evitando la contrapposizione io-società e accettando come quest’ultima sia sia interna che esterna (è intorno a noi ma ci definisce anche).

La religione ha un suo ritorno nella contemporaneità perché è «il contrario dell’individualizzionazione e la sua fonte. Questa antitesi è presente, come una scia di sangue, lungo la storia del cristianesimo » [p. 98]. La Chiesa oggi si ritroverebbe ad avere le competenze manageriali per gestire l’umanità nel nuovo contesto globalizzato, laddove sappia accettare un suo ridimensionamento rispetto alla fede individuale.

«L’analfabetismo religioso si va propagandando; gli atei non sanno neppure più a quale dio non credono più. L’individualizzazione della religione è paragonabile all’individualizzazione delle classi sociali (disuguagllianza, povertà) e all'individualizzazione della famiglia (genitorialità, rapporto tra i sessi ecc.). Solamente la connessione tra queste dimensioni (considerate per lo più isolatamente) produce individualizzazione a livello sociale, la quale trasforma profondamente l’«aggregazione» ovvero la qualità della società» [p. 107].

Il paradosso dell’oggi è quello di chiese vuote e un reincanto delle singole persone rispetto alla fede, da cui deriverebbe la sfida di un nuovo ruolo pubblico delle religioni. Beck si spinge a paragonare Amnesty International a una Chiesa moderna del Dio personale, con la sua battaglia per i diritti umani. Se la dottrina evapora e quasi tutto si riduce a esperienza emotiva, non bisogna fare l’errore di ritenere il Dio personale un prodotto postmoderno: se il cristianesimo saprà riconoscere di essere stato alla base dell’individualizzazione moderna, saprà tornare a essere protagonista del contemporaneo, anziché considerarsi vittima.

Le contraddizioni qui trattate appartengono anche alla sfera del potere: il battesimo è una cessione di sovranità alla comunità, da cui si può distinguersi diventando “infedeli” o “eretici”, se non ci sono meccanismi capaci di accettare la diversità e l’alterità.

A fronte di grandi aperture di credito (talvolta eccessive) traspare nel testo superficialità nell’affrontare l’evoluzione storica dello sviluppo organizzativo del cattolicesimo: nei primi decenni di vita, così come per quasi tutto il periodo medievale, lo strumento dell’inquisizione sarà utilizzato per cercare di convertire più che di reprimere, o almeno ci sarà anche questo elemento, in una fase di costruzione di nuovi poteri. Isolare l’aspetto dottrinario da quello politico, nel passato, contraddice la proposta di Beck per il presente. Viene decontestualizzato persino il povero Tommaso d’Aquino, nei passaggi in cui giustificava la persecuzione degli eretici.

Un’altra forzatura interessante è quella dell’assimilizazione del cristianesimo ai diritti sociali, con un welfare state corrispondente a un sentimento religioso, poi sviluppatosi in termini di diritti individuali e di Dio personale. Lo stato sociale avrebba assorbito anche la lotta di classe, creando un ambito di diritti in cui prevale il principio «delle esigenze e delle prestazioni individuali» [p. 146]. Chi ha seguito alcune riflessioni di Fausto Bertinotti (un esempio qui) capirà la diffusione di una sensibilità simile nell’epoca a noi contemporanea (oltre la simpatia delle sinistre per l'attuale pontefice... talvolta poco giustificabile).

Tutto è quindi ormai ridotto a dimensione di singolo, ognuno deve investire su se stesso, costruire la propria identità e narrarsi, creando una società a un passo dal collasso, in cui tutto diventa immediato, pericoloso, senza spazio per riflettere. Stabilità lavorativa, partiti, sindacati, Chiese: sarebbero tutte vittime di individualizzazione e cosmopoliticizzazione. Le religioni sembrererro quelle pià titolate a tornare ad avere un ruolo, come scuole morali, come fabbriche di senso incentrate sul meticciato e sul riconoscimento del diverso, da accettare. Questa strada servirebbe a evitare risposte di senso opposto, come quelle reazionarie che le cronache non mancano di indicarci. Il Dio personale deve essere quello ricordato in apertura con le parole di Etty Hillesum: non una purezza idnividuale (presunta) che «rende ciechi nei confronti della realtà» [p. 171], ma accettare di essere un guazzabuglio di identità, dove l’identità religiosa è composta da più elementi.

Il rifiuto di ogni sorta di shared history, delle varie forme di antitesi, spingerebbe a guardare con simpatia al modello del mercato: la mercificazione di Dio, citata anche nei paragrafi di apertura, dove ognuno si sceglie il suo pezzo di fede a seconda dei gusti, rischia però di spegnere anche il senso religioso reale che muove al credere. Per farlo Beck propone di rimpiazzare il valore della verità con quello della pace, sviluppando intolleranza per gli intolleranti e accettando ogni altra forma di diversità.

Il libro di Beck è uno stimolo problematizzante di indiscutibile interesse ma spinge a chiedersi perché la religione dovrebbe sostituire effettivamente la politica. La contingenza storica non è una ragione sufficiente per affidarsi al rischio della fede, a meno che l'autore non interesse per religione ogni narrazione capace di andare oltre il materiale e saper costruire narrazioni condivise. Nel caso la differenza tra ideologia e dottrina ecclesiastica sembrerebbe solo una distinzione nominalistica.

Il limite più grande del testo è invece dichiarato dall'autore: una visione eurocentrica che guarda esclusivamente alla comunità cristiana del vecchio continente e al suo relazionarsi con il mondo islamico. L'intento nobile dietro alle intenzioni dell'autore sembrerebbe quello di disinnescare i conflitti di apertura del XXI secolo, quando ancora la crisi economica sembrava non riuscire a travolgere ulteriormente ogni altro conflitto.

A distanza di qualche anno dalla pubblicazione il libro di Beck si conferma attuale e coraggioso nel cercare di superare i limiti delle scienze sociali. Meriterebbe di essere non dimenticato, visti i dibattiti sulle identità nell'oggi.


Ulrich Beck, Il Dio personale. La nascita della religiosità secolare, traduzione di S. Franchini, Laterza, Roma-Bari, 2009, ISBN: 9788842088875, 280 pagine
 

Immagine liberamente ripresa da time.com, L'Osservatore Romano/AP

 

Ultima modifica il Giovedì, 10 Maggio 2018 10:11
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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