Il giorno dopo la Giornata internazionale contro la violenza maschile (che sembra essere diventata una mera ricorrenza) il corteo, promosso dalla rete IoDecido, D.i.Re-Donne in rete contro la violenza (che riunisce più di 77 centri antiviolenza in tutta Italia) e Udi (Unione Donne in Italia), ha preso il via da piazza Esedra.
Duecentomila donne e uomini, perché il patriarcato riguarda anche questi ultimi, si sono riuniti e, nonostante il silenzio dai media, hanno dato vita ad un'onda colorata gioiosa ma decisa, che ha attraversato Roma in un pomeriggio d’autunno invadendo le strade rendendo visibile la propria forza.
Una marea, per usare l'hastag lanciato delle organizzatrici, composta da generazioni diverse che si sono mescolate in un variegato serpentone ed hanno manifestato insieme per combattere contro una cultura che legittima la violenza, la giustifica e continua a giudicare e rivittimizzare le donne.
Una marea variegata che è giunta a piazza San Giovanni accompagnata dai cartelli con i volti delle donne uccise dall’inizio dell’anno, schierata contro medici obiettori e la chiusura dei consultori, inneggiante la libertà dei corpi.
Tra gli slogan più significativi: "il femminicida non è un malato ma un figlio sano del patriarcato", "tieni le tue leggi lontano da mio corpo", “le strade libere le fanno le donne che le attraversano”, oltre ai classici "siamo tutte antifasciste", "non tutte le donne hanno l'utero" e "il corpo è mio e decido io".
Una marea felice quella che ha scaldato il centro di Roma per diverse ore. Presenti gli attivisti dei centri antiviolenza, le associazioni sparse per tutto il territorio nazionale, donne ucraine e musulmane, signore affacciate che facevano con le dita il gesto femminista, ma anche balli, bandiere colorate, abbracci.
Una manifestazione gioiosa e concretamente politica con al centro temi che affondano nella quotidianità e condizionano la salute e la famiglia. In una parola: la vita.
Solo un primo passo, quello del chilometrico corteo, alla quale sono seguiti, il 27 novembre presso la Facoltà di Psicologia della Sapienza ed otto tavoli tecnici (Piano Legislativo e Giuridico; Lavoro e Welfare; Educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità: la formazione come strumento di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere; Femminismo migrante, sessismo nei movimenti; diritto alla salute sessuale e riproduttiva; narrazione della violenza attraverso i media; Percorsi di fuoriuscita dalla violenza) nei quali le donne hanno continuato a confrontarsi, evidenziando le problematiche sulle quali lavorare e cercando punti in comune utili per le lotte future, in un momento storico nel quale la sordità del governo viene mostrata con la querelle del piano antiviolenza straordinario. Non basta, quindi, soltanto manifestare la propria rabbia, occorre elaborare un piano femminista contro la violenza sulle donne.
Una plenaria, quella seguita ai tavoli, partecipatissima e che ha mostrato volontà nel trovare punti di incontro e determinazione nel proseguire verso un secondo appuntamento: per il 4 e il 5 febbraio a Bologna, in attesa dello Sciopero globale delle donne previsto per il prossimo Otto marzo.
Una tappa, quest'ultima, del cammino che si incrocia con quello di tutte le donne che in ogni parte del pianeta stanno lottando per i loro diritti.
Rabbia e gioia rendono la due giorni di “Non Una Di Meno” un momento assolutamente da ricordare. Una parte importante di un percorso, sicuramente lungo, non soltanto di contrasto alla violenza ma per il diritto di ogni persona ad autodeterminarsi abbattendo quella cultura patriarcale che legittima le violenze e ingabbia tutti e tutte.
Foto di copertina dell'autrice