“La parola d’ordine sarà scoprire il Prestigio della Maternità” e “Cosa fare, dunque, di fronte a una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?” sono solo due delle frasi che consentono di considerarlo retrogrado, stantio e mancante di rispetto dell’autodeterminazione altrui. Come può, l’attuale Ministra, ignorare tutto ciò? Come può pensare di spingersi con così poca grazia in questo campo minato?
Le risposte a queste domande potrebbero essere molteplici e aprirebbero altrettante discussioni. Si potrebbe partire, ad esempio, dalla vita delle donne e degli uomini che vogliono bambini e non possono. Ma anche da coloro che li vorrebbero tanto ma non possono permetterselo, visto che procreare, negli ultimi anni, è un lusso per pochi, una possibilità - sempre che la si voglia - che la precarietà imperante non consente. Oppure, ancora, si potrebbe parlare di coloro che non vogliono figli, analizzando il famoso e abusato concetto del “senso materno”: se questo sia istintivo o eteroindotto. Si potrebbe dire, con le parole di Simone de Beauvoir, che “non si può essere madri senza la possibilità di non esserlo” aprendo la nota dolente, in questo Paese, delle interruzioni volontarie di gravidanza. Oppure, ancora, si potrebbe fare riferimento al grande tema della Gestazione Per Altri o delle adozioni per single e/o coppie dello stesso sesso, raccontando di come alcuni (e fra essi la Ministra Lorenzin) abbiano osteggiato la cosiddetta Stepchild Adoption.
Appare evidente, dunque, quanto questo piano trasudi di omotransbifobia e che sia una sorta di regolamento di conti tutto interno al Governo per lo smacco subito da una sua parte (di cui la Lorenzin è massima rappresentante) con l’istituzione delle unioni civili. Si potrebbe scrivere di quanto mostri la sua violenza razzista con quel nastrino italiano in un Paese che ancora si mostra sordo nei confronti dello Ius soli e troppo spesso intollerante verso chi giunge nel nostro Paese. Oltre tutte queste riflessioni e qualsiasi siano le nostre risposte, l’attuale situazione ci spinge a mettere un attimo da parte l’evento scatenante di queste critiche (il Fertility Day in sé), per riflettere sul ruolo delle donne nella politica italiana (non che gli errori maschili siano meno di rilievo uomini).
“Il Governo più giovane e rosa della storia d’Italia”: furono queste le parole di presentazione del primo esecutivo Renzi. Una scelta di toni molto forte che destò subito apprezzamenti e critiche. Una scelta, quella di chi lo definì “rosa”, che mostra la visione di un mondo diviso in due parti e che non racconta, anzi nasconde, le molteplici sfumature umane. La tendenza alla femminilizzazione della politica istituzionale, dal primo governo Berlusconi a oggi, ha indubbiamente fatto moltissimi passi in avanti fino all’attuale governo che vede al proprio interno ben cinque ministre (Boschi, Madia, Lorenzin, Pinotti e Giannini. Erano sei prima delle dimissioni di Guidi dal dicastero dello Sviluppo Economico). Alcune sono collocate alla guida di settori chiave del Paese, anche se, contando la presenza femminile anche tra i sottosegretari, la bilancia complessiva del governo pende molto verso il lato maschile.
La scelta del governo Renzi ha, però, senza dubbio aiutato a mutare l'immaginario comune di una politica istituzionale appannaggio dei soli uomini. Alcune reazioni e cadute di stile della stampa (e non solo di essa) ci fanno interrogare seriamente sull'importanza del linguaggio anche in questa sfera della vita del Paese (basti guardare alla violenza sessista di alcuni commentatori - i quali in taluni casi si sentono probabilmente anche progressisti - nei confronti di alcune ministre). La presenza di tante donne in ruoli importanti non può farci considerare la “pratica” della “questione femminile” come archiviata, in quanto i processi di cambiamento sono lunghi e hanno al loro interno numerose contraddizioni. In questo tempo, nel quale per la prima volta una donna ha la possibilità concreta di diventare Presidente degli Stati Uniti, dovremmo chiederci se portare le donne al potere, chiunque esse siano, rappresenti un salto di qualità per tutte. Anche se una nota a parte la meriterebbe la scelta di Hillary Clinton di adoperare il cognome del famoso marito.
La storia delle donne in politica è prima di tutto storia di lotte di piazza, storia di battaglie femministe: parole da troppi ritenute, oggi, obsolete. Femminismo è la scelta di cambiare il mondo, di spezzare il senso comune della cultura dominante, di cambiare se stesse, di riappropriarsi di se stesse. Femminismo è decidere di fare la differenza, costruire un altro mondo possibile e fare irrompere sulla scena parole nuove capaci di rompere i vecchi schemi. Viene da chiedersi, dunque, dove soffi - se soffia ancora - quel vento di cambiamento che in tante e tanti si aspettavano dalla presenza di tante donne nei ruoli di comando. Dove sono l’irruzione sulla scena sociale, la scossa alla politica, il mutare dei rapporti tra i sessi e la cancellazione delle discriminazioni?
La storia delle donne in politica è lunga e piena di ostacoli e non sempre è stata caratterizzata da quella volontà di abbattere le barriere sociali, culturali e psicologiche che impediscono una piena parità. La differenza fra la storia delle donne in politica, salvo diverse eccezioni, e la storia delle femministe dovrebbe essere lapalissiana. Invece, non lo è. La storia delle donne in politica continua ad avere troppo spesso a che fare con il capitale, con chi ne è espressione, e ciò prescinde dall'essere o meno eterodotate. Essa aderisce, troppo spesso, a logiche patriarcali, autoritarie, reazionarie, non meno di quanto avvenga con gli uomini.
Non si tratta, sia chiaro, di demolire le cosiddette “quote rosa”, ma nemmeno il suo opposto, cioè il fatto che sia sufficiente avere più donne nei ruoli apicali per avere un miglioramento complessivo della condizione femminile e non solo. La storia delle donne in politica è sempre stata tribola e lunga e non sempre caratterizzata da quella volontà - squisitamente femminista - di abbattere le barriere sociali, culturali e psicologiche che impediscono una parità piena. Le “quote rosa” esistono e sono lo strumento per non rimuovere, anche in quella che è la sinistra radicale, la traccia delle donne. Ma in politica la differenza conta e in questo caso conta la differenza di classe, così come quelle politiche che ne sono riflesso. La ministra Lorenzin, con questo suo voler piegare tutte e tutti alla propria concezione del ruolo femminile nella società, ce ne fornisce ulteriore dimostrazione.
Il vento dei cliché preconfezionati, degli stereotipi sessisti, del paternalismo e del maschilismo continua a soffiare forte, anche con il Parlamento e il governo più rosa della politica italiana: perché non c’è bisogno semplicemente di donne, c’è bisogno di femminismo. E se questa parola vi risulta ostica, beh, non c’è bisogno di usarla, c’è bisogno semplicemente di attuarla, c’è bisogno di donne che facciano la differenza. Siate quelle donne.