Venerdì, 01 Agosto 2014 00:00

Senato: perché non abolirlo?

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Appare quasi paradossale che in un Paese che subisce la più grande crisi economica degli ultimi decenni tra i principali argomenti in discussione vi siano: la rimozione di un relitto dall'isola del Giglio, i sempreverdi casi di cronaca nera e la riforma del Senato.
Quest'ultimo tema ha oramai assunto la dimensione di una specie di ossessione nazionale tanto nel ceto politico quanto nella strada: un aspetto che la dice lunga sull'impoverimento del livello di dibattito ed analisi nella società.

La riforma attualmente in discussione (o in ratifica, vista la fretta del Presidente Grasso) rappresenta l'apice di una sovrapposizione anche formale della Costituzione scritta con la proclamata costituzione materiale del Paese.
Una costituzione materiale che ha come propri cardini il bipolarismo (mantenuto in vita anche e soprattutto con artifici e trucchi elettorali quali gli sbarramenti e i seggi ricevuti in premio come una volta venivano regalati i gettoni d'oro dal buon Mike Bongiorno) nonché l'acquisizione da parte del Presidente del Consiglio della guida della maggioranza parlamentare (con il conseguente svuotamento del ruolo del parlamento) e che si è ramificata nel Paese con l'elezione diretta di sindaci e presidenti di regioni: rappresentazione plastica della trasformazione della politica in tifo calcistico tra tribune e curve contrapposte.
La variegata opposizione parlamentare sta conducendo una battaglia sicuramente meritoria ma che rischia - proprio in virtù delle trasformazioni profonde subite dal Paese - di apparire come una difesa del “vecchio” (e dunque visto come automaticamente “cattivo”) contro il “nuovo” rappresentato dal renzismo.

Inoltre, se poco o nulla si può rimproverare a SEL, l'altro partito impegnato nell'ostruzionismo (quello del comico genovese) ha assunto la difesa delle istituzioni democratiche quantomeno tardivamente. Di più: i pentastellati sono responsabili almeno quanto l'attuale maggioranza nel vilipendio delle istituzioni, e nell'aver imposto all'agenda politica - in maniera ossessiva e priva di ogni altra visione - il tema dei costi della politica.
La giusta denuncia di intollerabili privilegi e sperperi è altra cosa dall'accusare la politica di ogni nefandezza - quasi a scaricare la coscienza di milioni di cittadini sui tanti, piccoli furti e ruberie commessi dagli stessi - fornendo la base morale all'operato di quanti stanno plasmando a proprio uso e consumo le istituzioni tagliando sulla democrazia: la vicenda delle Province è esemplificativa. Movimento Cinque Stelle e maggioranza pro-riforma hanno marciato divisi e colpito uniti il nostro sistema istituzionale.

In tal senso la sinistra - parlamentare e non - dovrebbe cercare di non essere vista come la principale giocatrice di una battaglia di retroguardia: alla sfida reazionaria, lanciata ormai da oltre vent'anni da gran parte delle classi dirigenti italiane, occorre una risposta di cambiamento che sappia al tempo stesso apparire come nuova conservando e tutelando gli elementi che maggiormente caratterizzano la Carta del '48.
Il bicameralismo perfetto andrebbe bene ad ognuno di noi: quando ci alziamo al mattino abbiamo tutti ben altre preoccupazioni. Sembra però quasi un delitto, anche agli occhi della maggioranza, del “popolo della sinistra” difenderlo.

Mi chiedo quindi se non sarebbe utile far vivere, tanto nelle aule parlamentari quanto nel dibattito fuori da esse, la seguente proposta: l'abolizione del Senato, l'adozione dunque di un sistema monocamerale ma nel quale l'unica camera venga eletta con un sistema proporzionale costituzionalizzato. Un sistema nel quale la maggioranza si formi dopo il voto (e nel corso di una legislatura se ne possano conseguentemente formare anche diverse o parallele su alcune questioni).

Una proposta che avrebbe il merito da un lato di contribuire a saziare - ed in maniera anche più estrema di quanto proposto da Renzi - la voglia di “sangue dei politici” che ossessiona buona parte degli italiani tutelando però dall'altro lato il sistema a base parlamentare che ha caratterizzato quasi tutta la storia della nostra Repubblica e che – nonostante i governi rimanessero in carica al massimo per un anno ciascuno – ci ha condotto a diventare la settima potenza economica mondiale in barba a tutte le baggianate sulla “governabilità” come valore addirittura superiore alla rappresentanza. 

Una proposta che sarebbe anche più in linea non soltanto con l'impianto istituzionale ma complessivamente con il Paese reale. Un Paese che non ha nessun motivo storico di eleggere una camera delle autonomie (recentissime per istituzione e dotate già di poteri eccessivi), e di eleggerla adottando un sistema quanto mai bislacco nel quale alcuni sindaci hanno più valore di altri.

Ultima modifica il Giovedì, 31 Luglio 2014 15:45
Roberto Capizzi

Nato in Sicilia, emiliano d'adozione, ligure per caso. Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.

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