Venerdì, 25 Luglio 2014 00:00

La Colt di John Wayne ha fatto cilecca. Allarme rosso.

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Stando all’ossessiva campagna pubblicitaria a sostegno di Renzi, questi a Bruxelles, presiedendo il Consiglio dei capi di stato e di governo, lo ha giustamente strapazzato, protetto da una Merkel sorridente e da un Hollande entusiasta. Così l’Italia d’ora in avanti verrà rispettata e beneficerà senz’altro di un allentamento dei vincoli di spesa pubblica, in più le daranno un bel po’ di soldi da spendere per la ripresa dell’economia e dell’occupazione. È vero che un paio di riottosi hanno tentato di mettersi di mezzo, Weidmann della Bundesbank, il finlandese Likainen, commissario pro-tempore all’economia (in sostituzione dell’arcigno ultraliberista Olli Rehn): ma Renzi gli ha imposto di non impicciarsi di cose che non li riguardano. La strada dunque è spianata. In cambio l’Unione Europea vuole dall’Italia semplicemente quelle “riforme” che Renzi stesso vuole, quella che toglie di mezzo il Senato e quella che porta alla legge elettorale antirappresentativa concordata con Berlusconi.

Tuttavia, ahimè, nei resoconti ufficiali del Consiglio e in quelli di Eurogruppo e Consiglio Eurofin, alle cui discussioni ha preso parte il ministro dell’economia Padoan, non c’è nulla in grado di confermare tali strabilianti successi. Non solo: vi si legge un radicale insuccesso, niente delle richieste italiane è stato accolto, c’è solo la conferma del rinvio del pareggio strutturale di bilancio al 2015, cosa che la Commissione europea aveva già deciso di accordare. Le formule continuamente usate da tutti, Renzi tra i primi, sono state che occorre, data la crisi e la disoccupazione, che “austerità” e “crescita” vengano declinate assieme e che al primato assegnato all’“austerità” venga sostituito quello della “crescita”, e che questo debba avvenire senza alterare i contenuti al riguardo nei Trattati, cioè usando quella “flessibilità” ch’essi “prevedono”. Tradotto dal politichese, tutto quindi dovrà procedere da parte italiana alle condizioni di sempre, cioè stando all’interpretazione che del termine “flessibilità” darà la Commissione europea, cioè, con ogni probabilità, proprio l’ultra-arcigno ultraliberista Likainen (infatti, anche se Renzi non lo sa, sono proprio affari del commissario all’economia). Si apprende inoltre dai resoconti che Renzi e Padoan hanno solo chiesto che fossero scorporate dal conteggio della spesa pubblica, quindi dal deficit di bilancio, alcune voci di investimento, quelle cofinanziate da parte europea: un obiettivo modestissimo, assolutamente insufficiente a rimettere in movimento alcunché. Ma anche se ciò non fosse il fatto è che anche a questo proposito la risposta è stata negativa. Siamo in una situazione dell’economia del paese di sostanziale deflazione, e per uscirne occorrerebbero non alcuni ma molte decine di miliardi in appoggio a un piano di investimenti coerenti in sede di rilancio industriale e infrastrutture e creatori di centinaia di migliaia di posti di lavoro; siamo distanti, dunque, anni luce da questa possibilità, l’Unione Europea non ci sente, anzi concretamente ci chiede, o meglio ci impone, rivendicando l’applicazione dei Trattati liberisti, di sprofondare ancora di più, di perdere a ritmo ancor più celere imprese e occupazione.

Per la verità un modo per uscire da questa trappola c’è: la dichiarazione dell’Italia dell’intenzione unilaterale e insindacabile di sospendere per quanto la riguarda l’applicazione dei Trattati in materia di bilancio. Pericolo di ritorsioni? Zero, non ne esiste la minima possibilità. Utilità? Oltre a quelle economiche e sociali ovvie, finalmente una discussione democratica, seria e coinvolgente le popolazioni su come rimettere decentemente in sesto l’Unione Europea. Possibilità, tuttavia, di un’iniziativa del genere dal lato del governo Renzi? Zero; le premesse, come stiamo vedendo, vanno in tutt’altro senso.

Nessuna svolta dunque; parimenti la campagna pubblicitaria continuerà. Qualche briciola infatti arriverà, e ciò consentirà per un po’ a Renzi di continuare a parlare di grandi successi grazie al proprio decisionismo e alle proprie battaglie. Quali briciole. In questa prospettiva già da ora si sta muovendo Juncker, solido democristiano di antico stampo, mediatore palla al centro per cultura e vocazione. Egli ha dichiarato l’intenzione di mobilitare per investimenti nell’apparato produttivo e in infrastrutture (in specie di trasporto) 300 miliardi di euro in tre anni. Detto così sembra una grande cifra, suscettibile di portare fuori dai guai tutta l’Europa, non solo l’Italia. Attenzione! “Su tre anni” significa una media di 100 miliardi l’anno. Inoltre sono cifre da spartire tra 28 paesi: fanno quindi una media di poco più di 10 miliardi l’anno cadauno (però, benevolmente, supponiamo che l’Italia riesca a prenderne 15). Soprattutto, questi 300 miliardi non ci sono, ma sono solo 80. Quelli cioè messi effettivamente sul tavolo dall’Unione Europea, attraverso vari canali, sono 80: gli altri 220 sono una stima di ciò che gli 80 riuscirebbero a mobilitare come investimenti privati su progetti ai quali gli 80 andranno dedicati. Insomma l’Italia avrà a effettiva disposizione, diciamo sempre con un certo ottimismo, 5 miliardi in tutto; e Renzi dovrà trovare il resto, convincendo banche e grandi realtà imprenditoriali. Aggiungo che quella di Juncker, stitichezza estrema delle cifre a parte, è la ripresa quasi letterale di quel Piano Delors che all’inizio della vicenda dell’UE voleva collocare un 20-30% di investimenti di Banca Centrale Europea, Banca Europea per gli Investimenti, altri organismi UE in aggiunta a un 70-80% di investimenti privati nella costruzione di grandi infrastrutture: un piano quasi interamente naufragato, poiché quanto a investimenti privati venne molto meno. Una cosa più seria è invece l’intenzione della BCE di immettere prossimamente nel sistema bancario europeo, a dosi massicce, 1000 miliardi di euro. Ma c’è un problema di molto ardua soluzione: le banche europee dovrebbero poi impiegare questi denari in investimenti nell’apparato produttivo e in infrastrutture: avverrà davvero? Basterà a questo un saggio di interesse negativo su questi denari, se lasciati dalle banche nei forzieri della BCE? Le banche normalmente non investono per beneficenza, ma per fare soldi; e se l’economia non tira, è ben difficile che rischino, soprattutto dal lato dell’investimento produttivo. L’Europa tende ormai tutta, Germania addirittura compresa, alla deflazione, e l’Italia è tra le posizioni di testa. In queste condizioni le banche tesaurizzano o investono in titoli pubblici più o meno sicuri o, una loro parte, si inventano speculazioni.

L’Italia ha rivendicato rispetto e l’ha ottenuto, ha detto Renzi. Ma perché sia vero avrebbe dovuto agire diversamente. Lottare davvero, non fornirci una pièce a base di slogan sanguigni e di comizi. Per esempio: sul piatto della discussione in fatto di rispetto Renzi ha messo la richiesta del ministro degli esteri Mogherini come prossimo alto rappresentante dell’UE in politica estera. Tutti sanno che è un ruolo che non serve a niente: ogni paese UE si fa la sua politica estera. Perché, a nome del rispetto, e degli interessi del popolo italiano, Renzi non ha chiesto il ruolo di commissario all’economia?

La previsione che è più facile fare, constatando come usualmente avvengono discussioni e decisioni significative in ambito europeo, è che Renzi verrà neutralizzato da un’infinità di cavillose lungaggini. L’Unione Europea non è uno stato, né federale né confederale, bensì un’unione di stati che rimangono sovrani. Questo significa che ognuno dei 28 stati attualmente membri dice in ogni discussione la sua, pretende qualcosa, approva o respinge altre cose, ecc. I tempi di decisione sono già di loro natura obiettiva lunghissimi. E alla fine, quindi, con violento shock, credo, del 40,8% del popolo italiano, e forse di più, esso constaterà che la crescita non c’è, che le imprese continuano a chiudere o a licenziare, che la disoccupazione, giovanile e non, continua ad aumentare. L’adorazione popolare e mediatica per Renzi comincerà a rovesciarsi nel suo contrario. Che farà Renzi, onde anticipare una caduta di consensi sempre più forte, avendo a disposizione una legge elettorale, come probabilmente accadrà, che gli consegnerebbe, prevalendo anche di poco, la maggioranza parlamentare assoluta? Ci sono perciò, sempre più, elezioni anticipate all’orizzonte. E che vinca lui, o la sua attuale coalizione, oppure vinca un redivivo Berlusconi, il governo che sortirà dalle elezioni non potrà che usare a manetta la strumentazione illiberale e antisociale (cioè a danno del mondo del lavoro, delle donne, dei giovani) in corso d’opera. Allarme rosso.

 

Ultima modifica il Giovedì, 24 Luglio 2014 22:43
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

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