Paolo Attivissimo, giornalista informatico, coordina il convegno ed è presentato come cacciatore di bufale. "Gli immigrati riceverebbero la cittadinanza qualora votassero sì" (al referendum costituzionale del 4 dicembre) è una delle false notizie ricordate. Ci sono anche false dichiarazioni attribuite alla stessa Presidente, sicuramente tra i protagonisti più odiati dalla rete: "imporre ai ristoranti italiani almeno un menù con il kebab" e "un Corano in ogni famiglia" sono solo due degli esempi elencati.
Ida Colucci, direttrice del TG2, apre sul recente scandalo inerente ad un presunto video porno mandato in onda dalla CNN, al posto di un programma di cucina, a causa di un imprevisto tecnico. L'inverosimilità della vicenda non ha impedito il suo propagarsi nella rete, nonostante la fonte fosse un tweet ripreso dall'Indipendent e dal New York Post (tra le altre testate).
Come è mutato il processo di verifica di una notizia, con l'avvento di internet? Il terremoto e il fake sulla magnitudo, abbassata "di ufficio", con un complotto, per impedire alle vittime di accedere ai rimborsi, è solo un aspetto di una rete virtuale dove il materiale arriva direttamente, in tempi immediati. Le agenzie di stampa "hanno bisogno di tempi di verifica della notizia", quindi sono considerate attendibili dai telegiornali, che hanno spazi limitati per trattare gli argomenti ed una gerarchia sui contenuti. Nel sommario dei media tradizionali "le bufale hanno minore possibilità di accesso", secondo Colucci.
La direttrice del TG2 propone un "marchio" (digitale) da imporre sulle notizie false, senza però sapere quanto sia fattibile una proposta del genere, da avanzare a Google e agli altri protagonisti del web. Spiega inoltre la funzione della stampa come di semplice "messa in pagina" di quanto accade, dichiarando l'impotenza del sistema di informazione di fronte all'innalzamento dei toni e al deteriorarsi del linguaggio.
I giovani sarebbero i più vulnerabili nel nuovo contesto: la distanza da una serie di fonti tradizionali e il venire meno di una condivisione di pellicole o libri, sostituita da "una tavoletta", avrebbero accellerato "all'infinito" il metabolismo con cui si assumono le notizie (senza che le informazioni vengano trattenute). Interrogata da Attivissimo, Colucci risponde, in conclusione: "meglio essere esatti che primi".
Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia dei media digitali (Università di Urbino), evidenzia come sia cresciuta l'attenzione sociale rispetto al tema trattato, con una forte tensione sia da parte delle istituzioni che dei cittadini e delle piattaforme. L'innovazione tecnologica non basta a spiegare la situazione presente: la locuzione macchina del fango può essere utilizzata anche in riferimento al sistema tradizionale. "L'ecosistema dell'informazione è cambiato e si è prodotta una continuità tra i media mainstream e non", con una complessità in cui è difficile distinguere tra i due ambiti.
Le agenzie di stampa non sono un filtro sufficiente, secondo il professore. Viene citato l'esempio delle presunte parole di Trump sulla Statua della Libertà di New York, come un simbolo deil'immigrazione e per questo da rimuovere. "Una persona mediamente dotata di buon senso", tenuto conto del contesto sociale, avrebbe dovuto cogliere l'assurdità della notizia. In questo caso non si tratta neanche di una bufala ma di un testo satirico pubblicato sull'Huffington Post statunitense e ripreso dai media italiani senza comprendere la natura dell'articolo.
Le modalità di partecipazione dei cittadini si sono "granularizzate", disperse in attività "che vanno dal consumo responsabile al supermercato al soffermarsi su delle news che leggiamo online, con un'attenzione che esce ed entra continuamente". Più del 50% degli italiani fruisce di Facebook e Twitter attraverso dei dispositivi mobili, quindi con uno schermo di dimensioni ridotte e una dimensione di personal media slegata dalle relazioni sociali forti. Si crea "un'abitudine ad informarsi in ambienti di tipo diverso". I giovani praticano una dieta tra strumenti online e offline, si informano principalmente da Facebook senza escludere i telegiornali. Le reti sociali aumentano semmai la pervasività dei contenuti, più che escludere altri sistemi.
La contronarrazione è problematica, sembra più efficace una corretta informazione. La verità pare potersi affermare solo nel tempo, come dimostra la bufala di Facebook a pagamento, ora non più creduta perché l'ambiente è stato detossificato. Occorre tenere distinti i momenti dell'elaborazione e quello della condivisione della disinformazione: la misinformation è utilizzata dai giovani anche per produrre conversazione, perché è considerata stimolante ed in grado di avviare una relazione sociale. La qualità dell'informazione e il senso dato alle conversazioni che si producono sono due degli elementi principali da tenere in considerazione. "Nella dimensione processuale" si può lavorare sugli ambienti: un amico che mette in discussione un contenuto nei commenti ha più efficacia di un giornale che denuncia la bufala condivisa.
Siamo di fronte ad un ambiente nuovo, con una crescita dell'approccio critico. Dopo il terremoto di questa estate è vero che c'è stato un movimento di denuncia del presunto complotto per comunicare una magnitudo più bassa, ma al contempo si sono registrate numerose voci critiche che hanno cercato di contrastare la falsità. "Oggi abbiamo dei giovani debunker" attivi, con un processo di crescita della sensibilità e della responsabilità sociale degli utenti. Siamo forse arrivati ad una situazione in cui si è stanchi "di abitare in un ambiente tossico".
Sulle piattaforme Artieri precisa come le responsabilità non siano esclusivamente degli algoritmi, dato che "gli amici" sviluppano i processi interni alla rete e non sono esenti da un ruolo attivo rispetto alla circolazione di false notizie. La certificazione delle notizie, accennata da Colucci, non può funzionare quando c'è una sfiducia verso le autorità e una diffusa denuncia di presunti complotti. "Abbiamo una responsabilità morale e sociale delle piattaforme", verso cui si deve esercitare una pressione, ma quest'ultima deve partire dalle comunità degi utenti anziché aspettare soluzioni da parte della politica. Non ci sono strumenti efficaci, se non sul piano educativo, sociale e relazionale. Processi lenti anziché automatici algoritmi: "rendere cool il debunking" è una delle soluzioni, senza pressioni forti sul piano legislativo.
Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana), sceglie tra gli aneddoti di apertura quello relativo a Manlio Sgalambro. Poco dopo la morte del filosofo, nel 2014, qualcuno modificò immediatamente la pagina Wikipedia a lui dedicata, rendendolo autore di Madama Dorè e Fra' Martino Campanaro: anche alcune testate autorevoli inciamparono in questa trovata, riportandola come notizia.
Uno dei problemi evidenziati è quello degli investimenti, segnalando come la richiesta diffusa in Italia sia quella di fare giornali "al massimo ribasso e con il massimo risparmio". La qualità risente dei tagli.
Occorrerebbe ripartire, secondo Lorusso, dai diritti e dai doveri, tenendo conto di una norma contenuta già nella regolamentazione del settore dei giornalisti (del 1963, ancora in vigore): "è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”.
Il problema riguarda regole, responsabilità e cultura. La Fnsi è stata in piazza contro il carcere per i giornalisti e cerca di mobilitare sul tema della libertà di stampa, ma queste battaglie saranno efficaci solo se si riusciranno a ricreare delle condizioni di credibilità rispetto al mondo dell'informazione. Tra le proposte di Lorusso ci sono quella di un giurì sull'informazione, di pene per chi intimidisce i giornalisti, del contrasto attivo contro l'hate speech e una lotta per la libertà di espressione (distinguendola dalla libertà di insultare).
Luca Sofri, direttore del Post, ricorda come lo Stato sia diventato molto "debole e fragile", delegando le sovvenzioni pubbliche alla stampa in modo complicato. Se l'informazione nel Paese non è corretta, viene meno il funzionamento stesso della democrazia. Gli esempi vengono accompagnati da delle slide, ma si aggiungono riferimenti alla recente cronaca: dal Corriere della Sera, che sul proprio sito aveva annunciato la morte di Fidel Castro anche l'anno scorso, a seguito di una delle numerose false notizie sul tema, alle tre giornate di due anni fa in cui tutti i quotidiani titolarono sul nesso tra vaccini e morte. Perdere la vita per un'influenza, a causa del sistema di informazione, è stato possibile. "Gettati in mare perché cristiani" è un altro caso in cui la smentita da parte dei quotidiani nazionali è stata del tutto inadeguata, rispetto al dannoso allarmismo diffuso.
Secondo Sofri non c'è "un problema di mele marce" (che pure "non vengono perseguite"), ma una questione generale "di cultura e disattenzione all'accuratezza dell'informazione". La notizia dell'invasione della Libia da parte dell'Egitto via terra, ripresa da molte testate, nasceva da un'agenzia di stampa italiana che aveva male interpretato le parole di un giornalista egiziano, trasformando una battuta in una notizia. La smentita è arrivata dalla rete e i quotidiani cartacei non la hanno nemmeno riportata, limitandosi a glissare, a non trattare più l'argomento.
Una delle bufale a cui il direttore del Post è più affezionato, è quella di la Repubblica sugli "8 milioni di italiani [che] ricorrono all'ipnosi" (riportata in prima pagina): la fonte era un comunicato stampa di una scuola dedicata ai corsi di ipnosi, con un sito che gridava inaffidabilità. Ci sarebbe da ridere se le bufale non contribuissero a "costruire l'idea del mondo" di chi ne fruisce: ogni notizia si accompagna ad una narrazione.
Uno dei metodi più scorretti dei giornali rispetto alla cattiva informazione è quello di mettere tra virgolette un'affermazione dubbia. Il messaggio che passa non è interrogativo, ma nessuno si assume la responsabilità delle parole.
Come si fa fronte a tutto questo? Smorzare la sensazione di assedio che si avverte dentro le redazioni rispetto ai debunker, cercando di portarvi maggiore attenzione. L'ansia da errore è utile ma non sufficiente. "Un grande tema è come si costruisce una cultura dell'accuratezza dell'informazione". Nella parte conclusiva Sofri ricorda, per riprendere l'argomento del sisma, come il Fatto Quotidiano avesse dedicato una prima pagina sulla prevedibilità dei terremoti, poco dopola scossa in Emilia nel 2012.
Sofri sostiene la necessità di attribuire le giuste responsabilità, non mettendo sullo stesso piano i direttori dei grandi giornali e chi condivide notizie false. La politica e l'informazione sono i responsabili di quel processo che ha portato gli utenti a sfogare la loro aggressività su Facebook: "quando la politica è fatta di balle, di violenza, di odio" e l'informazione riprende quel sistema, come si può chiedere alle persone di comportarsi bene?
Walter Quattrociocchi, direttore del Laboratorio computational social science Imt di Lucca, propone una prospettiva diversa: il problema della misinformation riguarda come l'uomo si rapporta con la complessità del mondo che gli è esplosa davanti. La ricerca quantitativa nell'ambito dei sistemi sociali dimostra che siamo in generale altamente influenzabili da chi abbiamo intorno. Inoltre il pregiudizio di conferma (ci credo perché mi dà ragione o mi piace) predomina sui processi di verità, in un sistema dove non c'è più mediazione rispetto alla fruizione delle informazioni, nonostante spesso si faccia ancora finta che non sia così.
"Sfruttiamo una narrazione. Non esiste il mondo razionale e perfettamente divisibile in vero o falso. C'è tutto un intermedio di incertezze a cui la scienza risponde con la falsificabilità delle assunzioni". Sono aumentate le cose che hanno a che fare con la complessità di fronte a cui si ferma la logica.
Rispetto ai vaccini la corretta informazione non può rispondere limitandosi a dare di stupido a chi ha dei dubbi. Occorre fornire gli strumenti per un corretto orientamento, anche se il contesto contemporaneo lo rende complicato.
Nessuno è immune dal confirmation bias. L'esperimento portato avanti dal laboratorio di Quattrociocchi è stato quello di mettere a confronto chi segue l'informazione scientifica con chi invece segue la scia del complotto. Regolarmente si formano due gruppi che si circondano di persone legate ad una narrazione conforme alle aspettative: nascono delle isole in cui non si guarda al debunking e ad opinioni diverse (se non per denigrare).
Il problema è la polarizzazione creata dalla misinformation. Tra le risposte per far fronte a questa situazione viene proposta una "cultura dell'umiltà" capace di mettere in comunicazione le persone. "Trump ha vinto perché ha fornito una narrazione alternativa a quella che aveva stancato". Comunicare per aver ragione è un atteggiamento che favorisce la disinformazione, da contrastare con meccaniche inclusive. Per farlo occorre accettare la fine dell'illusione illuminista di un uomo come creatura razionale.
Prima del dibattito (che da questo articolo rimuoviamo solo per pietà verso il coraggioso lettore arrivato fino a qui), Boldrini interviene per proporre "un'alleanza contro l'odio".
Per la politica la questione però non può risolversi solo in una dimensione morale. Su questo tema sarebbe bene invece che l'informazione e li partiti (o i movimenti, o i sindacati) sviluppassero un rapporto dialettico sistematico, ognuno nel proprio ambito e secondo le proprie caratteristiche (o capacità).
Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".
«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)
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