Nel corso degli incontri di marzo i contributi dell'avv. Alessandra Ballerini ci hanno aiutato ad inquadrare il tema nella materia giuridica, permettendoci di capire che il fenomeno del caporalato se non è istituito per legge è comunque tollerato dalla medesima, poiché attualmente la legislazione italiana (Bossi-Fini) ed europea non contribuisce a contrastare lo sfruttamento di chi già proviene da una condizione ad elevato sfruttamento, innescando un circolo vizioso dalle conseguenze preoccupanti. Il primo fattore che porta ad una lunga serie di negazioni dei diritti per gli immigrati irregolari è l'introduzione del "reato di clandestinità", un vero monstrum giuridico che incontreremo ancora in questa relazione.
Approfondendo si capisce chiaramente il rapporto di classe che si cela dietro questo reato, poiché non solo il padrone assume in nero un lavoratore, ma questo è pure irregolare per lo Stato, quindi è il secondo a commettere reato e non il primo. La regolarizzazione, quando avviene, è solo tramite sanatorie che si realizza (l'ultima risale a 3 anni fa) e anche qui l'irregolare resta solo l'oggetto della procedura, il soggetto resta il padrone che mantiene così il diritto al ricatto sul sottoposto. Volgarizzando un po', ma non troppo, si potrebbe definire la procedura come una sorta di condono per i padroni. La schizofrenia del sistema securitario costruito attorno alla figura del migrante impone poi che per essere sanato, il lavoratore immigrato irregolarmente, deve prima provare di aver reiterato il reato, cioè di essere irregolare da almeno un anno. Una curiosità non da poco poiché la condizione di "clandestino" ("colui che si nasconde dalla luce del sole") impone al migrante di rifuggire dalla pubblica amministrazione. La condizione di sfruttamento vero e proprio, fino alla riduzione in schiavitù dei migranti tuttavia ha inizio nei centri, a partire dai Cara (dove viene vagliata la loro condizione secondo il diritto internazionale) come quello di Mineo, e da dove inizia la tratta di uomini sul nostro territorio. Il Regolamento di Dublino che impone l'obbligo di richiedere l'asilo nel paese di approdo evita poi che lo smistamento dei migranti venga ripartito nel continente, oltre a privare i malcapitati del basilare diritto alla libertà di circolazione sul suolo europeo.
In seguito, durante i seminari organizzati con chi ha concretamente vissuto l'esperienza del caporalato, come nuova condizione lavorativa che si è sviluppata sul nostro territorio sono emerse tra i protagonisti storie come quella di Yvan Sagnet (vedi qui), ossia di vero e proprio neoschiavismo legalizzato.
Tuttavia gli spunti di ragionamento più interessanti sono sorti durante la conferenza del Cest, tenutasi in un giorno particolare, il 20 aprile, ovvero il giorno seguente al recente naufragio nel Canale di Sicilia. In questa occasione il focus si è spostato sulle politiche che mirano deliberatamente a "costruire lo straniero" ergendo un muro con funzionalità specifiche tra il Noi e l'Altro. Gli interventi di Alessandro Dal Lago e di Donatella Di Cesare, con un taglio rispettivamente sociologico il primo e filosofico il secondo, hanno affrontato rigorosamente il tema dello straniero come soggetto privo di identità, impossibile da definire e totalmente in balìa degli altri. Il problema del muro che si viene a frapporre deriverebbe così dall'assunto primordiale Noi (proprietari legittimi)/Loro (usurpatori). Secondo Dal Lago si tratterebbe così di una vera "sparizione ontologica" di queste persone e il soggetto "straniero" che abbiamo di fronte verrebbe così ad assumere la condizione tipica di "vinto della Storia" nell'accezione fornita da W.Benjamin. Ma il problema dell'identità si pone anche in riferimento all'identità europea e alla storia europea, in cui è chiaramente presente un "neorazzismo" che ha un forte retaggio nell'hitlerismo, nella misura in cui "oggi vi è la pretesa di decidere con chi abitare e coabitare", questo naturalmente incardina l'identità "all'interno del luogo in cui io sono" dimenticando totalmente che "questo luogo non ci appartiene". Se pensiamo che "il progetto dell'hitlerismo era proprio quello di decidere specificamente con chi abitare il pianeta", tutto questo diventa tanto più inquietante. Inoltre, se pensiamo che la stessa distinzione tra Stato totaltario e democrazia diventa sempre più labile per via della produzione, anche da parte di quest'ultima, di campi d'internamento allora i retaggi nella cultura europea dell'hitlerismo diventano forse più evidenti. Donatella Di Cesare racconta che in seguito alla sua visita al Cie di Ponte Galeria venne interrogata dal sen. L. Manconi in Commissione diritti umani del Senato per sapere se il Cie poteva essere filosoficamente definito come facente parte dell'universo concentrazionario. Ebbene, la risposta non poteva che essere positiva come spiega anche nel suo libro "Crimini contro l'ospitalità. Vita e violenza nei centri per gli stranieri" (Il nuovo melangolo, 2014). L'intervento di Luigi Pannarale ha approfondito la difficoltà del diritto a rapportarsi con la figura del migrante. Proprio perché il diritto dovrebbe essere uno strumento di tutela delle posizioni più deboli verso quelle più forti al fine di evitare soprusi ci si chiede come sia possibile che il diritto odierno finisca per escludere alcuni diritti invece riconosciuti ad altri. Anche in questo caso emerge la sempre più labile differenza tra gli Stati totalitari e le democrazie, laddove nei primi le identità venivano imposte e nelle seconde rivendicate.
Oggi invece questa differenza sparisce, ed ecco riemergere il monstrum giuridico del "reato di clandestinità" richiamato all'inizio, poiché attribuendo un reato penale ad un semplice status accade che si viene puniti con l'incarcerazione semplicemente perché si è qualcosa e così la persona viene ridotta ad una sola identità, per di più sotto imposizione dello Stato. Siamo così di fronte ad una situazione senza precedenti, tanto più pericolosa perché, salvo le rare eccezioni del sistema delle quote (ridotte a qualche migliaio di unità annuali e ancora più assottigliate dalla crisi), non vi è un altro modo per migrare regolarmente in Europa.